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venerdì 30 maggio 2014

LE NOTE DI LUCIANA

 


                                     LE NOTE DI LUCIANA  


          Il pianoforte 

Cari lettori oggi vi suggerisco di perdervi per qualche istante in questo meraviglioso dipinto, fatevi rapire dai suoi colori, una bellissima immagine, il colore del cielo e il mare si confondono con i colori degli alberi che fanno da sfondo...


Meraviglioso... il quadro ha come titolo Antibes, al mattino ed è di Monet uno tra i miei pittori preferiti.
Dopo questo piacere per gli occhi vi suggerisco l'ascolto del piano concerto numero 21 andante di Mozart. Questo concerto fa scoprire un "leggero pianoforte" che scandisce la melodia con precisione, creando una magia musicale avvolgente.Vi auguro un buon ascolto.


Spero che tutto ciò abbia contribuito a concedervi qualche minuto di relax e di gioia.

                      Luciana

                            

giovedì 29 maggio 2014

IL GIOCO DEL RAGNO CAPITOLO 31 LA PROSSIMA SETTIMANA PUBBLICHERO' L'EPILOGO










                                          31

 Il telefonino squillò per circa un minuto prima che il suono riuscisse a svegliarmi, lo cercai a tentoni tastando qua e la il divano, poi lo presi e senza vedere lo schermo digitai sul tasto che rifiutava la chiamata e lo spensi.
-Ancora cinque minuti e mi alzo. – ripetei tra me e me.
  In realtà di minuti ne passarono trenta. Quando mi alzai, mi diressi in bagno, riempii la vasca e mi ci immersi. Con la mente ripensavo al percorso che avevo fatto a piedi dalla villetta del professore sopra Monreale fino a casa mia, era stata una lunga camminata, durante il tragitto avevo cercato di mettere in ordine tutti i pezzi della storia. Mi sfuggiva qualcosa,  un particolare che non avevo messo a fuoco. Poi non riuscivo a capire il significato di quei simboli lasciati sui corpi delle vittime, Tusa era una persona ormai ossessionata dalla vita dei quattro ingegneri, era diventata una persona del tutto squilibrata, così si potevano spiegare quei segni e quelle frase enigmatiche in latino? “In girum imus nocte, ecce et consumimur igni” questa frase mi rimbombava in testa, “Così la mano del diavolo fu veloce, diceva.. quel povero uomo era totalmente impazzito, vedeva diavoli ovunque, cercava di togliersi dalla coscienza il peso degli omicidi scaricandoli al diavolo. Un uomo così grande e grosso, ma allo stesso tempo così tanto fragile”. Il telefonino riprese a squillare, questa volta non mi sentivo di ignorarlo, uscii in fretta dal bagno, e ancora bagnato e avvolto da un’ asciugamano mi diressi verso il cellulare che aveva appena smesso di squillare. Guardai nel display, vidi che avevo diverse chiamate non risposte, quattro di Domenico, una di Serena dalla Spagna, il resto erano dell’ingegnere Lo Vecchio. “Prima mi asciugo e mi vesto e poi lo chiamo, sarà molto preoccupato per la mia sorte”. Dubitavo però che quell’uomo dagli occhi di ghiaccio e dall’espressione glaciale si fosse mai preoccupato per qualcuno. L’ingegnere però mi anticipò, il telefonino squillava nuovamente.
“Come non detto. E va bene togliamoci questo dente, rispondiamo.”
-Pronto, ingegnere è lei? –
-Sì, salve! Ma che fine ha fatto? Dove si trova? –
Il tono di voce di Lo Vecchio sembrava ansioso. Cercai di tranquillizzarlo.
-Mi deve scusare ingegnere, ma ieri nella mattinata ho deciso di tornare a casa. Sto bene comunque, non le ho risposto prima perché dormivo. –
-Mattinata? Sarà stato molto presto! Senta le devo dare delle novità, ieri notte mi sono recato dai carabinieri, ho dichiarato che il giorno prima avevo ricevuto una lettera anonima, nella quale mi si intimava di presentarmi il giorno dopo alle sei del pomeriggio alla chiesa di Santa Rita, ho detto che potevano esserci legami tra la lettera anonima e l’incendio della chiesa. Non ho aggiunto altro, non l’ho neppure menzionata. –
-Non le hanno fatto altre domande? E del prete non ci sono tracce? –
-Mi hanno chiesto se conoscevo il Tusa, ovviamente ho risposto di no. Io questo signore è la prima volte che lo sento nominare. –
 “E certo povera vittima, non ricorda niente..” anche se era passato tanto tempo e quella tragedia è stata casuale, lui e gli altri tre erano comunque responsabili della morte dei genitori di Don Tusa, sempre se il suo racconto fosse stato corretto.
-Ho però da dirle una cosa. – continuò Lo Vecchio – quando sono tornato a casa mia, ho ricevuto una telefonata.. era quel pazzo del prete, ha detto che vuole incontrarmi alle diciotto a Monte Pellegrino. Ho provato a fargli domande, ma ha riattaccato subito. Ora, mi stia a sentire, ci ho pensato tutta la notte, ho deciso di presentarmi all’appuntamento, senza dire niente alle forze dell’ordine.. perché.. perché.. insomma io ho una reputazione, siamo davanti ad un pazzo, e non tollererei che la mia vita che ho costruito con tanta fatica e con essa anche la mia famiglia, venisse distrutta e infangata da una mente malata. Andrò da solo e le confesso che ho molta paura, ma lo devo fare, e lo faccio anche per lei, visto i pericoli che ha corso ieri notte e a casa di Tommasini. –
“Il vigliacco non vuole dirlo ai carabinieri, perché uscirebbe la storia della morte dei genitori di Tusa! Questo matto si farà ammazzare”.
-L’accompagno, non mi chieda perché, ma vengo con lei. –
Risposi senza rifletterci su, sapevo benissimo che non lo facevo per lui, andavo a fondo perché volevo essere certo che ci sarebbe stata una conclusione “L’ingegnere forse non ne uscirà vivo, ma io non potrei vivere con la paura di essere minacciato o osservato da uno squilibrato! Rifletti Andrea sarebbe meglio andare dai carabinieri e riferire loro tutta la storia.. Si e poi nell’attesa che fanno qualcosa, uccide me altri e.. se tocca Serena.. No lei no, perché dovrebbe minacciare anche lei? Già e io in questa storia come ci sono caduto? Si, mettiamo fine a questa carneficina.”
Sentivo che questa storia mi stava risucchiando fin dall’inizio, più cercavo di uscirne più ne venivo invischiato, mi sentivo come quella piccola imbarcazione norvegese che finiva nel centro di un immenso vortice chiamato Maelstrom, come descritto da Edgar Allan Poe in un suo racconto.   
-Grazie, sapevo che mi avrebbe accompagnato, l’avevo giudicata come una persona coraggiosa e generosa, e non mi sono sbagliato, come vede valutare una persona è il mio mestiere. –
Accennò una risata. “Verrò, ma io la mia pelle la salvo.”
-Allora – continuò – tra dieci minuti la passo a prendere ci recheremo all’appuntamento e ci darà la radice.. e ci darà la radice del problema. –
“E ci darà la radice, già speriamo, non ci dia altro.. e ci darà la radice.. e ci darà la radice..” questa frase mi rimbombava in testa.
-Mi può dare il suo indirizzo? Pronto? Pronto..”
CLICK
“Un filo di luce forse? Forse.. Ma c’è qualche altra cosa che mi è sfuggita. Ora richiama, ora richiama”.
Il telefonino squillò subito dopo, non erano passati una manciata di secondi. Era di nuovo Lo Vecchio.
CLICK
-Pronto? Deve essere caduta la linea. –
-Sì, mi scusi mi può ripetere quello che intende fare, allora ha denunciato il fatto alla polizia, ma non ha detto niente su quest’ultima telefonata che ha ricevuto ieri notte da parte di padre Tusa? Scusi mi sono distratto un attimo ero sovrappensiero. –
-Sì, ieri prima di tornare a casa mi sono recato dai carabinieri e ho dichiarato che avevo ricevuto una lettera anonima dove mi si intimava di recarmi in una
Chiesa, che poi era quella di padre Tusa dove è scoppiato l’incendio. La notte a casa ho ricevuto una telefonata, era Tusa, mi ha detto di presentarmi oggi a Monte Pellegrino. Le ho chiesto se poteva accompagnarmi e mi è sembrato che lei abbia accettato. Mi può dare il suo indirizzo? –
Gli diedi l’indirizzo e chiusi subito la comunicazione, avevo poco e tempo e tante cose da scrivere.. dovevo scrivere, avevo bisogno di scrivere.
Scrissi due lettere, le misi in due buste diverse, ero pronto per scendere e aspettare giù l’arrivo di Lo Vecchio, prima di lasciare l’appartamento mi recai in cucina tirai fuori dal cassetto il coltello più affilato e grosso che avevo e lo misi nella tasca interna della giacca. Poi scesi, comprai i francobolli e spedii le due lettere che avevano lo stesso destinatario.
“Fatto”. La Mercedes dell’ingegnere si accostò al marciapiede. Presi coraggio ed entrai dentro.
-Salve, andiamo. – Disse senza aggiungere altro, in macchina cadde un silenzio pieno di domande.
-E’ teso vero? Non si faccia ingannare dal mio aspetto apparentemente calmo, lo sono anch’io. Apra il cruscotto per favore, ci dovrebbe essere uno stick di caramelle alla menta extra-forte, può passarmelo? –
Presi le caramelle erano quelle che mi offrì quel pomeriggio quando lo andai a trovare nel suo studio. Ne mise in bocca una.
-Buona, forte, sono le mie preferite, ne prenda una! –
Presi una caramella e la lasciai sciogliersi in bocca.
-Dove ci aspetta? – chiesi.
-A Monte Pellegrino, all’altezza della grotta del Pidocchio ci dovrebbe essere uno slargo. –
Non sapevo dove fosse questa grotta “Ingegneri.. sicuramente avrà passato la notte a scoprire dove fosse questa grotta e a studiare il percorso migliore per arrivarci”.
 Anche se avevo dormito abbastanza, cominciavo a sentirmi stanco, avevo sempre più desiderio di chiudere gli occhi e addormentarmi.
“Ma cosa c’è che mi sfugge? E  se avevo ragione? In girum imus nocte, ecce et consumimur igni..  e ci darà la radice..” Sorrisi, ma non bastava questo..
guardai attraverso il finestrino, le giornate si andavano allungando c’era ancora tanta luce, si avvertiva il primo caldo e i vestiti più leggeri dei passanti lo confermava. “.. la mano del diavolo fu veloce.. avevo davanti ai miei occhi ciò che per anni avevo solamente desiderato, ancora agonizzante .. Entrai dentro e mi imbattei nella figura imponente di padre Tusa.. Questa doveva essere l’arma con la quale mi sarei fatto giustizia..  ma qualcuno più potente di me ha deciso che la vendetta sarebbe stata in altro modo..”
Eravamo giunti ai piedi del monte, stavamo iniziando la salita.
“E no caro Tusa, qui ti sei sbagliato! A guidarti nella vendetta non era un essere soprannaturale.. tra dieci minuti la passo a prendere ci recheremo all’appuntamento, mi può dare l’indirizzo? Come faceva a sapere quanto ci avrebbe impiegato se non sapeva dove vivo?”
Il mare azzurro della Addaura splendeva alla nostra destra, un peschereccio si allontanava dalla costa.. avevo trovato la chiave.. Andrò da solo e le confesso che ho molta paura, ma lo devo fare, e lo faccio anche per lei, visto i pericoli che ha corso ieri notte e a casa di Tommasini.. così aveva detto.. solo l’assassino e Serena, alla quale avevo raccontato tutto, potevano sapere della mia presenza a casa dell’ingegnere Tommasini, la notte in cui morì.. E io quell’assassino l’ho visto ed ora ricordo che non aveva la corporatura di padre Tusa. Avevo ragione.”
-Non avete mai provato rimorsi per ciò che avevate provocato ai genitori di Tusa, lei ei suoi colleghi? Non erano altro che una prostituta e un prete    vero? –
Sbottai improvvisamente cercando di incrociare lo sguardo di Lo Vecchio. L’ingegnere rimase imperturbabile, stava affrontando una curva che finiva su un lungo tratto rettilineo.
-Poi è spuntato dal nulla un uomo che si dichiarava figlio di quella strana coppia. Aveva le prove di ciò che accadde quella notte, foto che lui stesso aveva
scattato. –
-Ma cosa sta dicendo? Si prepari a scendere siamo arrivati. –
L’ingegnere non percorse tutto il tratto rettilineo, svoltò a destra a metà strada, entrammo in uno slargo, continuò ad avanzare con la macchina e ci addentrammo in un boschetto di pini, lì fermò la macchina.
“Devo scappare, o sarà troppo tardi per me” non avevo altra scelta era l’unica via di salvezza, l’unica intenzione dell’ingegnere era quella di togliermi di mezzo, ero certo che non avremmo trovato nessun padre Tusa.
“Il bastardo l’avrà ucciso ieri sera”. Sentivo però alle gambe un certo torpore, e in generale una stanchezza sempre crescente, i muscoli pesanti i riflessi sempre meno pronti.
-Avanti scenda, l’appuntamento è qui. –
Appena mi diede quest’ordine, aprii la portiera della macchina, e mi lanciai verso l’uscita, ma anziché mettermi a correre verso la strada, caddi in avanti. Le gambe erano intorpidite, le sentivo molto pesanti come sassi. Quando mi rimisi in piedi, Lo Vecchio era già di fronte a me.
-Ma dove vuole andare? – disse ridendo.
-Non vede che siamo dove dovevamo essere? Guardi lì c’è Michelangelo Tusa. -  e mi indicò un punto in cui la terra sembrava rialzata, c’era una sorta di tumulo di terra e fogliame.
-L’ha ucciso! Vero bastardo?! Lei ha anche ucciso tutti gli altri, Leone, De Felice, Tommasini e Pintacura. –
-Che bravo, lei dimostra di essere intelligente e siccome mi è anche simpatico le racconterò tutta la storia. –
- Lei è un pazzo, e non è nemmeno tanto furbo, se sono riuscito a smascherarla io ci riusciranno polizia e carabinieri, lei si è tradito più volte stamattina al telefono. Sa da cosa ho capito che era stato lei? Da un palindromo, e ci darà la radice.. le devono piacere molto i giochi di parole.. –
- In girum imus nocte, ecce et consumimur igni.. Allora quel foglio, l’ha trovato lei, pensavo fosse andato disperso, peccato, non ho avuto tempo di tatuarlo sul corpo del povero Tommasini. Sicuramente sarebbe stato un altro colpo di scena. Lei è più astuto di quanto pensavo. Anche se ha commesso un errore. Non riesce a camminare bene, vedo.. le è piaciuta la caramella? –
“Mi ha drogato, che stupido che sono stato! Sono fregato..”
-Si tratta solamente di Ketamina, non è altro che un potente anestetico che blocca le vie nervose.. sa è fortunato.. non solo perché è riuscito per ben due
volte a salvarsi, ma anche perché non sentirà troppo dolore.. tra poco.. –
Mi appoggiai con la schiena alla macchina, cominciai a sudare freddo, mi sentivo sempre più debole. Tenevo una mano sopra la giacca in corrispondenza con la tasca interna dove avevo sistemato il coltello, era l’unica strumento per difendermi che potevo utilizzare e dovevo essere pronto in ogni istante a controbattere un possibile improvviso attacco da parte dell’ingegnere. Lui in realtà era sempre calmo e distaccato, come un cobra aspetta che il veleno iniettato ad una preda facesse effetto immobilizzandola.
-Io e gli altri miei tre ex colleghi, eravamo compagni di scuola, frequentavamo il liceo classico Umberto I. Eravamo molto amici, un’amicizia cementata dalla comune passione per la scienza e per il Positivismo. Ovviamente l’humus nel quale vivevamo è uguale a quello che c’è oggi.. ed è tutto dire.. ci isolavamo nelle nostre letture, nelle nostre traduzioni di greco e latino, nelle dimostrazioni di Analisi Matematica, nei nostri esperimenti di fisica. A scuola godevamo di una certa fama, i nostri insegnanti o ci apprezzavano per la nostra vivacità intellettuale o ci detestavano. E quelli che ci detestavano ci vedevano come delle teste calde, degli agnostici filo comunisti, dissacratori delle sacre tradizioni popolari della nostra terra. In realtà non capivano niente, non eravamo filo comunisti, a noi della politica non interessava nulla, del resto anche quelli che si definivano comunisti ci disprezzavano, accusandoci di snobismo e individualismo. A noi di queste persone non interessava nulla.. che continuassero a cullarsi nelle loro illusioni. L’unica persona che non tolleravamo era il nostro insegnante di religione. Per noi la religione era uno specchio per allodole, entrammo subito in conflitto con lui. Era un personaggio squallido, predicava bene e razzolava male. Cominciammo e seguirlo, assistevamo alle sue messe e gliene facevamo di tutti i colori. Era un individuo ignorante, scoprimmo che si approfittava delle sue parrocchiane, e che aveva una relazione con una prostituta. Era un pappone, un uomo semplicemente ridicolo. Quella sera a cui si riferisce, noi volevamo solo smascherarlo, la cosa poi degenerò. Riuscimmo ad entrare nella casa della prostituta, il prete era furioso. Impazzito si avventò su di me. Mi voleva strozzare! Capisce?! –
Lo Vecchio, mi faceva terrore, confrontavo il racconto che mi aveva fatto don Tusa, tutto agitato, sudato, lui al contrario era imperturbabile, pacato, ricostruiva la storia con lucidità, un pezzo alla volta, il tempo c’era, le mie gambe perdevano forza a poco a poco.
-L’ho ucciso io, per difendermi, o morivo io o moriva lui. E per fortuna trovai un coltello sul tavolo e lo feci secco. La donna non ricordo nemmeno come sia morta. Abbandonammo il posto e cercammo di riprendere la nostra vita. Per quanto mi riguarda, non ebbi nessun rimorso, per me si trattava di un pidocchio, per gli altri miei amici fu più difficile, ma eravamo giovani, non potevamo rischiare di compromettere il nostro futuro. Tutto fu superato, con gli anni la faccenda venne sepolta, la nostra amicizia si allentò finché non persi le tracce di Tommasini e De Felicie, rimasi amico di Leone. Lo scorso Settembre, tutto improvvisamente precipitò. Ciascuno di noi cominciò a ricevere delle buste anonime che contenevano nostre foto di anni diversi che ritraevano vari spaccati delle nostre vite. Qualcuno ci aveva spiati per anni a nostra insaputa. Non riuscivamo a capire il senso di tutto questo, a Novembre però ricevetti una foto particolare, era di quella maledetta sera, mi rivedevo da adolescente davanti al corpo inerme del prete, ad accompagnare la foto c’era un bigliettino che ci diceva di presentarci il quattordici Novembre a Piazza Pretoria. –
L’ingegnere sbottò in una risata che aveva un qualcosa di atroce.
-Che stupidi! Dovevamo non presentarci! Glielo spiegai, dissi chiaramente di cestinare la foto, si trattava di uno squilibrato, che non dovevamo temere niente. Invece scoprii che i miei ex compagni, chi per motivi morali, Tommasini per esempio mi confessò di aver portato questo grosso peso per anni, chi invece per paura di una tardiva giustizia, cominciavano a cedere. Io la notte del quattordici, mi presentai prima dell’ora dell’appuntamento, dopo di me si fece vivo solo Leone.. non c’era altra scelta, avevo costruito la mia carriera con molta fatica e col sudore, non potevo distruggere tutto per uno squilibrato e per dei rammolliti, avevo portato con me un coltello, la pioggia fitta fu decisiva per ucciderlo senza dare nell’occhio. La croce che spuntò dopo, non fece altro che romanzare tutto. Non so nemmeno da dove sia spuntata. –
“Quella notte eravate in tre all’appuntamento”.
-Le illusioni mio caro.. i media trasformarono la morte di Leone in un romanzo. L’effetto che ne scaturì sugli altri miei ex compagni fu quello desiderato. Avevano paura, pensavano che l’assassino fosse stato l’enigmatico ricattatore, ma qualcosa andò storto, Tommasini voleva lavarsi la coscienza presentandosi alla polizia, De Felice dava segni di squilibrio. In più non sapevamo chi fosse quest’uomo che ci ricattava. Non potevo rischiare, dovevo uccidere gli altri due. Poi è entrato nella storia lei, Tommasini pensava che fosse lei l’assassino. Scoprì dove abitava, ma una volta conosciuta ha capito che lei era estraneo a tutto. Decisi così di ucciderli entrambi e di alimentare la falsa pista dell’omicidio seriale. Le devo confessare che la cosa cominciò a piacermi, riempire di frottole gli italiani era una cosa che pensavo di poter fare solamente se avessi fatto il prete o il politico. In fondo Palermo mi deve ringraziare, ho donato un brivido, una scossa a tutti gli abitanti. L’essere umano è più attratto dal male che dal bene, se lo ricordi. –
“Quest’uomo è pazzo”. Le gambe stavano cedendo, mi stavo accasciando sulla macchina, le palpebre le tenevo aperte a stento.
-Una volta uccisi, mi mancava da scoprire chi fosse l’artefice di quelle foto, e sistemare anche lei. Fu più facile la prima cosa. Con grande sorpresa fui contattato da padre Pintacura, mi disse che aveva cose importante da dirmi, chi fosse costui non lo sapevo minimamente. Ci incontrammo nella chiese di San Giuseppe dei Teatini, a quest’incontro si presentò anche Michelangelo Tusa. Tusa rimase in silenzio per quasi tutto l’incontro, Pintacura mi spiegò tutta la storia, pensavano che a causare gli omicidi fosse stato il demonio. Si può arrivare a questo mi chiedo? –
“In effetti ci hanno preso, che differenze possono esserci tra questo pazzo e il diavolo?”
-Tusa voleva il mio perdono, e io glielo detti. Quello squilibrato non si rendeva conto di aver condannato a morte un altro uomo. Rimasto solo col vecchio prete lo uccisi. La cosa più difficile invece, come dicevo, era eliminare lei. Ho provato a farlo a casa del Tommasini, ho ritentato a casa sua, stava per morire nell’incendio che ho appiccato alla chiesa, ma i pompieri l’hanno tratto in salvo. –
-Lei ha ucciso padre Tusa, e poi ha incendiato la chiesa con me dentro! Lei è un pazzo! –
Gli urlai in faccia con tutta la rabbia che avevo.
-Ho saputo, con pazienza, come un ragno, tessere la mia rete, e lei involontariamente c’è caduto, comunque sia se non fosse caduto in quella mia, sarebbe finito in quella costituita da illusioni, tessuta dalla vita, in questa rete ci finiamo tutti, come vede per lei il destino non è stato banale.. Adesso caro mio tutto finisce, si cala il sipario, troveranno il suo corpo accanto a quello di Tusa. Un ultimo mistero per questa città assetata di mostri e di eroi. –
Mi girai di scatto e cercai di correre, Lo Vecchio si fiondò su di me, mi afferrò da dietro per il collo, mi voleva girare e strozzare, infilai una mano nella tasca interna della giacca dalla quale presi il coltello, lo impugnai con tutta la forza, adesso aspettavo solamente di trovarmelo davanti. Ed infatti l’ingegnere mi girò con una facilità impressionante, quell’uomo era dotato di una forza mostruosa, persi l’equilibrio caddi all’indietro con l’uomo su di me. Lo Vecchio cadendo si ritrovò l’addome squarciato dalla lama del mio coltello, io invece urtai la testa su un masso e persi i sensi.
E fu il buio.

 Non so quanto tempo passò dall’impatto che ebbi col terreno al momento in cui mi rialzai. Mi sentivo leggero, non avvertivo dolori, anche se dovevo avere una grossa ferita alla testa, dietro di me c’era tanto sangue, ma non me ne curai. Con la coda dell’occhio vidi il corpo di Lo Vecchio inerme poco distante dalla chiazza di sangue, ma non me ne curai. Respirai con forza, poi mi feci avanti tra i rami bassi di alberelli di pino, per raggiungere lo spiazzale che dava sulla strada, da lì mi trovai davanti l’intera città di Palermo. Non l’avevo mai vista così bella, per la prima volta l’immagine della mia città mi strappò un sorriso, un sorriso sincero di ammirazione per la sua bellezza. La luce che proiettava era sempre più intensa, tutto era ormai il passato.

mercoledì 28 maggio 2014

Cucinare con gusto e divertimento.. Da Sergio! Quartetto di patata minimalista.. l'anima della patata





                            QUARTETTO DI PATATA










"Ragazzi eliminiamo gli eccessi,  focalizziamoci sull'essenziale per ottenere felicità, soddisfazione e libertà"                                                  

     
                                                                         









Wellà e bonasera a tutti bella gente! Intanto vorrei ringraziare il maestro Pierangelo Saglietti, per le sue lezioni sull'essenzialismo, dedico a lui questo piatto.
Ma andiamo con ordine, ecco gli ingredienti.

Ingredienti:

Peperoncini interi
Olio di semi
Patate 
Prezzemolo
Mentuccia
Basilico
Yogurt
Erba cipollina

Preparazione:

Olio di semi  in una padella, una volta caldo l'olio mettere le patate tagliate a rondelle fatele cucinare finché non diventino cotte al punto giusto.
Una volta pronte toglietele dall'olio e mettetele ad asciugare sulla carta assorbente. Li ho lasciati riposare per una decina di minuti. Per la salsa ho usato un vasetto di yogurt bianco, l'ho versato in una casseruola aggiungendo dell'erba cipollina, sale e pepe. Mescolate il tutto.. la nostra salsa è pronta. Ho preso un piatto piano gli ho aggiunto una foglia di prezzemolo, basilico e mentuccia creando una sorta di letto dove andranno posizionate le nostre patate fritte. Le patate sono diventate così le fondamenta della nostra costruzione sulle quali abbiamo posto del prezzemolo spezzettato e dei semi di peperoncino. Ragazzi metto la firma su questo piatto in attesa della sfida di domenica, non perdetevi la mia prossima ricetta! Giusto una chicca per veri intenditori. Bon apetit amici miei.







RAGAZZI NON PERDETEVI IL PROSSIMO EPISODIO DI CHEF SERGIO!!!! SFIDERA' I CRITICI PIU' SEVERI, ANDRA' OLTRE LE TRADIZIONI, AGGIUNGERA' UN INGREDIENTE CHE FARA' SCOPPIARE UN PUTIFERIO.

GUARDATE COSA E' SUCCESSO LA SCORSA SETTIMANA NEGLI STUDI TELEVISIVI UNGHERESI IN OCCASIONE DELLA PRESENTAZIONE DELLA RICETTA DI CHEF SERGIO! DUE CRITICI SI SONO PICCHIATI! BOTTE DA ORBI!



ALLA PROSSIMA RICETTA ALLORA!

martedì 27 maggio 2014

PAROLA AL LETTORE: L'INATTESA PIEGA DEGLI EVENTI riflessioni di NeoArgo

   







Siamo negli anni sessanta, è un Italia uscita dalla guerra sconfitta con la Germania, in pieno boom economico, il fascismo di Mussolini si è trasformato in una dittatura perpetua. 
Alle soglie del torneo delle Sette Repubbliche, ci troviamo davanti un giovane giornalista che per colpa di un’amante scontenta si ritrova a dover fare da cronista in Africa. 
Il Pellegrini Lorenzo, intrappolato in Africa, dovrà rendere conto dell’andazzo del campionato Africano, il quale decreterà la squadra che uscendone vincitrice, avrà il diritto di andare a disputare a Roma, il torneo delle Sette Repubbliche. 
Tra partite memorabili,rivoluzioni in corso per la propria indipendenza e tra vicissitudini alquanto bislacche, Enrico Brizzi ci trasporta in un’era ormai ricordata solo nei libri di storia, gettando uno sguardo a quello che poteva essere con uno stile ucronico e fantasioso.


                                            NeoArgo

lunedì 26 maggio 2014

Cucinare con gusto e divertimento.. Da Sergio! Risotto all'ortolana




        RISOTTO ALLA VECCHIA PALERMO













" Ragazzi questo risotto è adatto a cene romantiche, parlo di cene a lume di candela ovviamente! "









Wellà bonasera bella gente! Eccomi qua; di nuovo all'opera, dedito sempre più al piacere culinario. Dopo essermi cimentato nella realizzazione delle Pappardelle alla Manielle, quest'oggi vi parlerò di un risottino all'ortolana conosciuto anche col nome alla Vecchia Palermo.


INGREDIENTI : 

Olio extra vergine di oliva
Cipolla
Peperoncino
Sale
Prezzemolo
Basilico
Pomodoro
Funghi Porcini
Zafferano
Parmigiano     


                                             
                                                                               

PROCEDIMENTO:

Al solito un tegame con olio di oliva a fuoco lento fare soffriggere la nostra carissima cipolla rossa,il tempo di farla dorare e aggiungere i funghi porcini, ,pomodoro tagliato a pezzettini,sale,peperoncino e il solito basilico e prezzemolo che gli fa compagnia sempre tagliato a pezzettini. Lasciare cuocere per un po' e aggiungere la solita acqua che prenderemo dal tegame dove sta già cuocendo il riso.

                             


Una volta sceso il risotto al dente e spento sul condimento mantecare il tutto e aggiungeremo del parmigiano e dello zafferano che gli regalerà quel colore rossastro dal piacevole gusto.


                     
chef  Sergio in azione
                     
                                         
                                      

Servire sul solito piatto piano (odio i piatti fondi per i primi) e aggiungere le famose 2 foglioline di basilico per dargli quell'aroma unico nel suo genere.



Ed ecco il Risotto alla Vecchia Palermo



Scusatemi ma adesso corro a Ballarò ho degli amici che mi attendono, insomma mani da stringere. Saluti dallo Chef Sergio



sabato 24 maggio 2014

TRADIZIONI CIMINNESI... Am' à canciari











Bianca la muntagna
Niura la simenta
L’omu chi simìna, sempri pensa…!

   Martino Spina, instancabile ricercatore meridionale e meridionalista, dopo altri, diversi e interessanti  lavori di storia contemporanea a cui continua a dedicarsi, ci propone adesso un testo da lui costruito sulla memoria, sui sentimenti, sulle tradizioni   di tutta una comunità siciliana, la comunità di Ciminna, “Tradizioni ciminnesi,  Am’à canciari,  Motti Proverbi Canti”.
  Una volta era possibile incontrare facilmente comunità in cui prevaleva fortemente il senso di appartenenza e di chiusura, a salvaguardia della propria identità.  Oggi le stesse comunità, immerse nella comunicazione più sfrenata e nella globalizzazione più dirompente, appaiono molto aperte    ma anche molto incerte sulla propria identità culturale.
  L’identità culturale di un paese è qualcosa di fondamentale per i suoi abitanti, è un sostrato che regge e sostiene la vita quotidiana degli individui, dei gruppi, della società tutta.
  Vi è un’identità sociale palese e un’identità nascosta, ma non per questo meno importante.
  L’identità nascosta di una comunità si forma attraverso le emozioni, i sentimenti, le pratiche sociali, le convinzioni condivise, le pulsioni e le strategie inconsce collettive, lungo una storia o microstoria che dir si voglia che parte da lontano.
   Una comunità ancora, per certi versi,  arcaica, poco propensa ad accettare ciò che viene dall’esterno e quindi  tendenzialmente chiusa, salvaguardia la propria identità nascosta attraverso le sue pratiche tradizionali e le sue immagini forti e comuni.  Ma le immagini, per durare, si trasformano in parole e in racconti; e i racconti  necessitano, per sopravvivere, della forma ritmo-poetica, necessitano cioè di diventare poesia. Nei contenuti ,invece, i racconti subiscono processi di rielaborazione logica che sfociano nei miti collettivi, , interpretazioni della realtà attraverso schemi consolidati. Uno degli schemi primari è il dialogo della comunità con le cose che la circondano, con gli uomini che conosce, con gli dei che intimoriscono o consolano. A questo punto, nelle grandi comunità nazionali,  nasce l’epica, nelle piccole comunità locali, nasce la poesia popolare.
  Ora, ormai, nelle comunità aperte in cui viviamo, in tutte, ivi compresa  Ciminna, tutto questo , quanto abbiamo chiamato l’identità nascosta, corre il rischio di scomparire, e non è un bene. Preziosa quindi risulta l’opera  di Martino Spina e di tutti quelli che lo sostengono. I racconti ancorati alla storia nazionale o alla cronaca paesana,  ma sempre visti attraverso il colorito ed estemporaneo parlare del ciminnese,  l’ingenuo ma sentito versificare sulle vicende della storia sacra,  l’ampio e ricco repertorio di sapienza popolare  che troviamo nel testo, tutto ciò può contribuire a rafforzare o addirittura a ricostruire, se è necessario,  l’identità nascosta di una comunità che tiene al suo passato per aver chiaro il presente e per poter  contare sul suo futuro.
   Martino Spina, con pazienza ed amore,  con accuratezza filologica, con vera passione culturale, ha voluto ricostruire passo passo, ascoltando e ricordando, il racconto della sua gente, per poterlo conservare prima che  vada inesorabilmente disperso.       

Sti silenzi
Sta virdura
Sti muntagni
Sti Vallati
L’à criatu
La Natura
Pi li cori innamorati…!



U munnu è ‘mmischu si chianci e si riri!



                  Tu tagghiasti e cusisti
                  Schetta arrestasti
                  Iu lavavu e striravu
                  Mi Maritavu…!


Ma perchì non ti nni va a merica!



Noi invece restiamo,  anche per continuare a leggere questi deliziosi distillati di cultura popolare.


Il testo, edito a Ribera (AG) nel 2013 da AVALON  snc,  lo puoi trovare  contattando www. Avalonsnc.com

                                                                                             Nicola Zito