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giovedì 5 giugno 2014

IL GIOCO DEL RAGNO EPILOGO

 








                                    EPILOGO
  
 Livia atterrò all’aeroporto El Prat di Barcellona alle dieci e mezza del mattino, in dieci minuti per mezzo di un autobus si ritrovò a Plaza Catalunya, nel cuore della città. Si accorse di avere ancora un po’ di tempo prima dell’appuntamento, decise di sfruttarlo facendo una passeggiata per la Rambla. Conosceva la città, l’aveva visitata tanti anni prima in una gita d’istruzione, l’ultimo anno del liceo. Era stato il suo primo viaggio senza la famiglia, e risultava uno fra i ricordi più divertenti della sua carriera scolastica. Man mano che andava indietro con i ricordi, le venivano in mente tanti episodi buffi che le erano capitati durante il viaggio, si ricordava anche dell’ostello che li aveva accolti, situato esattamente a metà Rambla davanti il teatro Liceu. Constatò che era cambiato poco dall’ultima volta, la via più famosa d’Europa era identica a come l’aveva lasciata, ora si poteva notare la massiccia presenza di diverse catene di fastfood americani, la quasi scomparsa di commercianti spagnoli dai negozietti sostituiti da persone orientali, indiani, cinesi, ma ormai in questo tutto il mondo è paese, pensò. Per il resto era tutto uguale, i grandi alberi, i venditori di fiori e di uccelli, la stessa vivacità dovuta al via vai di persone, dei turisti e dei tavolini dei caffè pieni di gente intenta a consumare la prima colazione.
Si avvicinò ad un banchetto di un fioraio, attratta dai colori primaverili dei fiori esposti, comprò un mazzolino di fresie dai colori bianco e ocra, dopo l’acquisto proseguì la passeggiata, voleva arrivare alla statua di Colombo e dare un’occhiata al mare. Fece un’altra deviazione quando si ritrovò alla sua destra l’ingresso della Boqueria. Anche lì non era cambiato nulla, provò anche le stesse sensazioni di quando vi entrò tanti anni prima.
Percorsa tutta la Rambla superò il monumento a Colombo, questo era il tratto che amava di più.. La Rambla che si va via progressivamente aprendo verso il mare sfociando nella placa del Portal de la Pa. Con soddisfazione per l’itinerario appena concluso, guardò l’orologio, era passata un’ora da quando era scesa dall’autobus in placa Catalunya, si rendeva conto che per la prima volta dopo quasi più di un mese si era ritagliata un po’ di tempo per se, aveva osservato gente fiori e cose senza cadere nel vortice di tristezza a cui era ormai soggetta.
Era ora di cercare l’indirizzo che le era stato dato, si doveva recare a Gracia. Un quartiere di Barcellona che aveva una storia a se rispetto la città. Si trovava in una delle parti più alte della città, durante il franchismo era stato l’epicentro della rivolta anarchica e ne conservava tutt’ora con le sue viuzze strette la sua anima estremamente bohemien. Scese in Placa Juan Carlos I, percorse Placa Salvador Espriu fino ad immettersi, superata Casa Fustre, splendido esempio di Modernismo Catalano, nel Paseo de Gracia.
Il quartiere era un labirinto costituito da palazzine basse e antiche dall’aspetto squadrato e da piazzette tutte molto simili tra loro. Le stradine erano deserte, l’ora era quella di pranzo, i negozietti tutti chiusi. Si sentiva proveniente da chissà quale locale la canzone Clandestino di Manu Chao. Si rese conto subito di essersi persa.
Mentre cercava di capire dove si trovasse su una mappa comprata sulla Rambla, vide scendere un giovane, con maglietta rossa e pantaloni larghi neri, portava una barba nera molto curata e una montatura d’occhiali piuttosto pesante di colore nero.
-Lo siento, una pregunta. – Rischiò Livia al giovane.
-Sì. Me dica – rispose questi, fermandosi.
-Vorrei sapere dove si trova Carrer del Cigne? – chiese in italiano.
-Hummm, Carrer del Cigne? Si, mira siempre  por delante, despues de la tercera a la izquerda. –
-Sempre dritto, dopo la terza traversa a sinistra. – ripetè traducendo Livia.
-Sì, despues la terza a sinistra. – confermò il giovane.
Le indicazioni del ragazzo erano esatte, si trovò a Carrer del Cigne. Ora le rimaneva da cercare il civico ventitre. Scorse però un ragazzino intento a citofonare davanti ad un portone di uno di quei palazzi. Lo riconobbe, era Domenico.
-Domenico! Ciao! Sono Livia!- esclamò la donna.
Il ragazzino si girò di scatto e appena la vide le fece un sorriso a trentadue denti.
-Livia ciao! Che bella sorpresa! –
  Dopo un lungo abbraccio, i due ragazzi salirono a casa. Entrando nell’appartamento, Livia si ritrovò in un atmosfera calda e vivace dovuta dai mobili etnici e dalla struttura accogliente della casa, piccola ma ben articolata. Nell’ingresso spiccava sopra un mobiletto una rosa bianca sistemata dentro un vasetto di vetro.
-Domenico è pronto, ora porto a tavola la pasta! –
Era la voce di Serena, intenta in cucina ad ultimare la preparazione del pranzo.
Livia sentita la voce di Serena cominciò a tremare, iniziava a ricordare il periodo più brutto della sua vita.
Domenico le fece strada in quella che doveva essere la stanza principale della casa, un soggiorno che funzionava da sala da pranzo salottino, che dava su una piccola terrazza.
-Eccoti qua, ce ne hai messo tempo a comprare il
pane! –
Disse Serena rivolgendosi al fratello, entrando nella stanza con una zuppiera fumante contenente della pasta. La donna appena vide Livia si bloccò, rimase in piedi senza posare la zuppiera sul tavolo.
L’ultima volta che le due ragazze si erano viste fu per il funerale di Andrea  Restivo. Livia la fissava senza dire una parola, le tornavano in mente le immagini di quella mattina di Marzo, quando davanti alla bara del fratello non riusciva a farsi uscire una lacrima, come se il dolore le avesse prosciugato ogni goccia salata dai suoi occhi. Era rimasta per tutta la funzione come una statua di ghiaccio, ricordava le lacrime della madre, quelle, in modo invano, trattenute del padre, e il pianto di Serena, quella ragazza che sarebbe potuta diventare sua cognata, la donna che stava facendo rinascere suo fratello. Andrea le voleva bene, sapeva che sarebbe stata la donna della sua vita. Durante le vacanze di Natale le aveva parlato tanto di lei, era a conoscenza anche del loro progetto di trasferirsi in Spagna.
Per Serena, vedere il viso di Livia era come se si trovasse davanti una mappa nella quale era tracciato un percorso di dolore e sofferenza che partiva dal giorno della morte del fratello fino ad oggi. Era molto sciupata, pallida e parecchio dimagrita. Quel maledetto giorno le aveva fatto impressione quella ragazza immobile per tutto il tempo, sempre accanto alla madre. Si vedeva che il dolore la stava divorando dall’interno, lei la mitica Livia, la sorella che per Andrea era quasi un mito, la ragazza che aveva girato il mondo, la donna forte che aveva lasciato la casa dei genitori appena maggiorenne, adesso appariva totalmente travolta dal dolore.
-Serena, ciao, scusa la sorpresa, dovevo venire una settimana fa, ma.. non me la sono sentita. –
-Ma che dici! Non sai quanto mi fa piacere vederti! –
-Grazie, anche per me rivedere te e Domenico. Tieni ho portato questi fiori per la casa. –
Serena la ringraziò per le fresie, i tre ragazzi pranzarono insieme, fu l’occasione per raccontarsi le ultime novità. Livia si informò di come si stavano trovando a Barcellona, e come andava il lavoro.
Consumato il pasto ancora non si era toccato il tasto Andrea.
-Serena – fu Livia a prendere il discorso – sono venuta anche per consegnarti una cosa. –
  Serena, sapeva di cosa stava parlando Livia, il nome di Andrea era finora rimasto nell’aria pronto a piombare su di loro da un momento all’altro.
-Il giorno prima del ritrovamento del corpo di mio fratello, ricevetti due buste, le aveva spedite due giorni prima Andrea. Una era per me e la mia famiglia l’altra per te. Nella nostra busta abbiamo trovato una lettera scritta di suo pugno. Una lettera commovente, una lettera di addio. Capisci era come se sapesse che avrebbe fatto quella.. -  le parole cominciavano a rimanere strozzate in bocca - ..quella fine. –
-Le indagini non hanno portato a nessuna novità, vero? – chiese Serena.
-No l’ unica cosa che hanno scoperto è che le quattro vittime Lo Vecchio, Tommasini, Leone e De Felice, erano stati compagni di scuola. Ma perché mio fratello è stato trovato ammazzato accanto al corpo di Lo Vecchio e di padre Tusa, non sono riusciti a capirlo. Alcuni giornalisti hanno legato la morte di Andrea alla chiesa andata a fuoco e alle misteriose morti dei quattro ingegneri. La cosa che mi ferisce è che c’è chi crede che sia stato lui la mente di quei crimini. La lettera che abbiamo ricevuto non basta a far comprendere che mio fratello è estraneo a questo orrore. –
-Andrea aveva capito il legame di tutte queste morti. Se solo fossi rimasta a Palermo.. – Le lacrime cominciarono a bagnare il viso di Serena.
Livia tirò fuori dalla borsetta una busta bianca e la porse alla ragazza.
-Questa invece è tua. -    
Il peso di quella busta appariva a Serena centuplicato, dentro ci potevano essere quelle risposte e spiegazioni che non l’avevano fatta dormire per un mese. Forse avrebbe trovato un po’ di pace, ma poteva contenere anche altro, qualcosa di inaspettato che l’avrebbe definitivamente distrutta. Ma si fidava di Andrea, lei sapeva in cuor suo com’erano andate le cose, voleva solamente la conferma, trovare quel filo logico che mancava. Le venne in mente l’immagine del ritrovamento del corpo del suo amico, disteso in una pozza di sangue, dovuto ad un botta che aveva preso in testa, causata da una botta presa su un masso. Eccolo lì pallido, con gli occhi aperti puntati al cielo, nascosto in quel boschetto a Monte Pellegrino, accanto al cadavere dell’ingegnere Lo Vecchio, accoltellato, e questo era certo da Andrea. E poco più in la don Tusa, sepolto e coperto da un tumulo di fogliame e rami di pino. Quante volte aveva cercato di darsi una spiegazione su quello che era potuto accadere quel giorno. Probabilmente Lo Vecchio era implicato negli omicidi, e Andrea si è ritrovato da solo con l’assassino. Forse il prete è stata una vittima innocente, rimasto coinvolto perché ha saputo per caso qualcosa. No, non poteva essere andata così, c’era altro. Questa storia non era finita, non sarebbe finita mai.. aveva voglia di piangere, di urlare, si era illusa di aver trovato la pace allontanandosi da Palermo, e invece ora aveva paura.
Osservò con attenzione la busta, era una busta come altre, riconobbe nell’intestazione la  calligrafia di Andrea. Era indirizzata alla sorella, ma in alto sulla destra c’era scritto tra parentesi e in piccolo per Serena Landisi.
-L’indirizzo è di Verona, dove abito. Ma non mi trovavo in quel periodo a casa mia, poi ho saputo della morte e.. mi sono fermata a Palermo con i miei genitori. Una settimana fa, tornata a Verona ho trovato queste due buste nella buca della posta. Mi dispiace non avertela potuta dare prima. –
-Non preoccuparti Livia, anzi ti ringrazio per avermela portata tu. –
Domenico osservava la busta nelle mani della sorella, la curiosità per scoprire
cosa contenesse cresceva ogni minuto, Serena sembrava avesse paura di aprirla come se aprendola scoperchiasse il vaso di Pandora. Sulla casa calò un silenzio che fu la stessa Serena a rompere.
-Venite, seguitemi, non è qui che voglio aprirla. –
Senza ribattere Livia e Domenico, seguirono Serena. I tre ragazzi, abbandonarono la casa e si incamminarono per le strade di Barcellona. Il passo di Serena era svelto e sicuro, nessuno si permise di chiederle dove si stesse dirigendo. 
La strada si faceva sempre più in salita, e man mano che aumentava la pendenza si incontravano sempre più turisti. Livia capì dov’erano, i ricordi di quella gita scolastica riaffioravano nuovamente, ricordava la zona, quella salita che aumentava sempre di più, stavano andando al Parc Guell. Serena si fece largo tra i capannelli di turisti che stanziavano davanti il cancello del parco e senza voltarsi per vedere se anche gli altri fossero entrati, proseguì dritto, fece tutta la scalinata e si diresse verso la terrazza. Livia e Domenico rimasero indietro, la ragazza fu colpita dalla bellezza della scalinata del parco con quella meravigliosa salamandra che da un secolo accoglieva gli abitanti della città e i turisti da tutto il mondo. Vide poi Serena che saliva un’altra rampa di scale che portava alla terrazza, il punto più alto del parco. Attraversò la foresta di colonne. Quel colonnato così fitto l’aveva incantata la prima volta che l’aveva visto e la stupiva tutt’ora, per lei Gaudì era un genio. In più in mezzo a quel colonnato si stava esibendo un violinista, eseguiva La musica notturna delle strade di Madrid di Boccherini. Attraversarono questa foresta di pietra incantata, salirono la scala e si trovarono nella grande terrazza che dominava Barcellona.
Serena stava seduta con le mani poggiate su uno schienale che faceva da bordo alla terrazza. Livia e Domenico la raggiunsero, quando si trovarono tutti e tre vicini, Serena con le lacrime agli occhi aprì la busta, dentro vi trovò una lettera e una piccola scheda di memoria di un cellulare.
Osservò stupita quella scheda di memoria, poi la mise nella tasca del pantalone e cominciò a leggere la lettera.
  Cara Serena,
spero tanto che non leggerai questa lettera, che la stracciamo insieme senza nemmeno aprirla davanti ad un piatto di paella surgelata seduti ad uno dei tanti ristoranti vicino la Rambla. Se non dovesse andare così, in queste righe ti lascio la verità sulla morte di Tommasini Leone De Pasquale e Tusa.
La storia che ti sto per raccontare è un fatto che ha colpito fatalmente tante vite sconvolgendone il loro corso.. e forse potrebbe segnare anche la mia.
Tommasini, De Felice, Leone e Lo Vecchio, sono stati compagni di scuola. Ragazzi molto brillanti, portati a distinguersi e ad isolarsi dagli altri studenti. Disprezzavano il mondo che li circondava, pieni di boria tipicamente giovanile, bollavano tutto ciò che era diverso dal loro modo di pensare come volgare, ignorante e intaccato da stupide superstizioni e mode del tempo. In particolare presero di mira un prete che insegnava religione nel loro istituto. Si trattava di un povero diavolo, uno di quelli che predica bene, ma razzola male. Scoprirono che questo aveva una tresca con una prostituta, una sera lo seguirono fino a casa della donna e lo minacciarono di diffondere la notizia a scuola, gli urlarono che si doveva vergognare, che lui e gli uomini come lui si prendevano gioco delle persone più deboli. Il prete invece di non rispondere alle provocazione, affrontò i tre giovani a casa della prostituta. Li la situazione scappò di mano a tutti, e a farne le spese fu il prete stesso e la donna. I ragazzi resisi conto di ciò che avevano combinato scapparono, l’appartamento a seguito della colluttazione che ne era scoppiata, andò a fuoco, e si lasciarono questa storia alle loro spalle. Solamente che non sapevano che ad assistere alla morte del prete e della donna c’era assistito anche un bambino. Questo bambino che era rimasto nascosto per tutto il tempo della lite tra il sacerdote ei suoi allievi era padre Tusa.
So che ora sarai incredula, ma ciò che ti sto dicendo è ancora più assurdo. Questi due poveri diavoli rimasti vittima dell’intolleranza di quei giovani erano i genitori di Michelangelo Tusa. È stato lui stesso a raccontarmelo..
Il bambino è cresciuto col pensiero fisso di capire perché avevano ucciso i suoi genitori e sul modo di vendicarsi. Sebbene si fosse messo nelle mani di padre Pintacura, altra vittima innocente di questa storia, e avesse cercato conforto nella fede fino a decidersi di farsi prete, Tusa non riusciva a liberarsi del suo passato e l’ossessione di vendicarsi era sempre più forte in lui. Ha iniziato così a spiarne le loro vite, sempre in bilico tra il farsi giustizia da se o il ricattarli.
Questo fino a quella tragica notte del quattordici Novembre, notte nella quale fu ucciso l’ingegnere Leone. Ora tutto porta a dedurre che l’assassino che ha compiuto tutti questi omicidi sia Michelangelo Tusa. L’unica persona che è riuscita a salvarsi dalla vendetta del prete è Ciro Lo Vecchio, però l’ingegnere mi ha detto di aver ricevuto anche lui da poco minacce di morte, e che Tusa lo vuole incontrare, dice di aver denunciato il fatto alla polizia. Mi ha chiesto anche di accompagnarlo all’appuntamento col Tusa.
Serena, non so come andrà a finire questa storia. Ma ho una sensazione, non è stato il prete ha compiere quegli omicidi, ci sono tanti particolari che non tornano che non sto qui a scriverti, ma Tusa ha una personalità troppo fragile, è un uomo distrutto e confuso.. l’assassino è l’ingegnere Ciro Lo Vecchio. Ho avuto questa intuizione da un passo falso che ha commesso Lo Vecchio mentre parlava con me al telefono.. un aforisma.. gli è sfuggito un aforisma, un altro dopo quello che aveva lasciato accanto al corpo di Tommasini. In quegli omicidi c’era disprezzo per la vita umana, un prendersi gioco di tutti, l’ingegnere aveva tutto da perdere se usciva fuori questa storia.
Nella busta troverai anche la scheda di memoria del mio cellulare, con la conversazione che ho appena avuto al telefono con Lo Vecchio, nella quale mi dice di essere stato contatto da padre Tusa, mi chiede di accompagnarlo e che ha denunciato le minacce ricevute alla polizia. Non credo a nulla di tutto ciò, penso che padre Tusa sia stato già ucciso dall’ingegnere, questa conversazione registrata può servire come prova per condannarlo.
Ho un po’ di paura.. spero di sbagliarmi.. mi viene in mente quello che dice Robert Jordan a Maria, la ragazza che ama, nel romanzo di Hemingway Per chi suona la campana.. nel momento in cui morirò io sarò sempre con te e vivrò nei tuoi occhi.. perciò vivi, non voltarti mai indietro perché io sarò sempre con te.. Ed è la stessa cosa che dico a te Serena, perché mediante i
tuoi occhi io continuerò a vivere..
                                                                                               Tuo Andrea

Serena aveva gli occhi pieni di lacrime, la luce del sole che brillava sulla città rifletteva sul suo volto donando alla sua pelle un colore ramato. I mostri erano spariti, gli incubi svaniti, colui che amava non c’era più, ma lo sentiva per la prima volta accanto a lei. Un sorriso emerse dal suo viso, intorno non c’era silenzio, ma le diverse voci dei turisti che si mischiavano tra di loro. Livia e Domenico non dissero una parola fino a quel momento, poi vedendo il sorriso della ragazza si strinsero a lei in un caloroso abbraccio.
Serena guardò ancora una volta la città sotto di lei, quella città che stava imparando ad amare e che le ricordava maledettamente Palermo.           

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