EPILOGO
Livia atterrò all’aeroporto El Prat di
Barcellona alle dieci e mezza del mattino, in dieci minuti per mezzo di un
autobus si ritrovò a Plaza Catalunya, nel cuore della città. Si accorse di
avere ancora un po’ di tempo prima dell’appuntamento, decise di sfruttarlo
facendo una passeggiata per la Rambla. Conosceva la città, l’aveva visitata
tanti anni prima in una gita d’istruzione, l’ultimo anno del liceo. Era stato
il suo primo viaggio senza la famiglia, e risultava uno fra i ricordi più
divertenti della sua carriera scolastica. Man mano che andava indietro con i
ricordi, le venivano in mente tanti episodi buffi che le erano capitati durante
il viaggio, si ricordava anche dell’ostello che li aveva accolti, situato
esattamente a metà Rambla davanti il teatro Liceu. Constatò che era cambiato
poco dall’ultima volta, la via più famosa d’Europa era identica a come l’aveva
lasciata, ora si poteva notare la massiccia presenza di diverse catene di
fastfood americani, la quasi scomparsa di commercianti spagnoli dai negozietti
sostituiti da persone orientali, indiani, cinesi, ma ormai in questo tutto il
mondo è paese, pensò. Per il resto era tutto uguale, i grandi alberi, i
venditori di fiori e di uccelli, la stessa vivacità dovuta al via vai di persone,
dei turisti e dei tavolini dei caffè pieni di gente intenta a consumare la
prima colazione.
Si avvicinò ad un banchetto
di un fioraio, attratta dai colori primaverili dei fiori esposti, comprò un
mazzolino di fresie dai colori bianco e ocra, dopo l’acquisto proseguì la
passeggiata, voleva arrivare alla statua di Colombo e dare un’occhiata al mare.
Fece un’altra deviazione quando si ritrovò alla sua destra l’ingresso della
Boqueria. Anche lì non era cambiato nulla, provò anche le stesse sensazioni di quando
vi entrò tanti anni prima.
Percorsa tutta la Rambla
superò il monumento a Colombo, questo era il tratto che amava di più.. La
Rambla che si va via progressivamente aprendo verso il mare sfociando nella
placa del Portal de la Pa. Con soddisfazione per l’itinerario appena concluso,
guardò l’orologio, era passata un’ora da quando era scesa dall’autobus in placa
Catalunya, si rendeva conto che per la prima volta dopo quasi più di un mese si
era ritagliata un po’ di tempo per se, aveva osservato gente fiori e cose senza
cadere nel vortice di tristezza a cui era ormai soggetta.
Era ora di cercare
l’indirizzo che le era stato dato, si doveva recare a Gracia. Un quartiere di
Barcellona che aveva una storia a se rispetto la città. Si trovava in una delle
parti più alte della città, durante il franchismo era stato l’epicentro della
rivolta anarchica e ne conservava tutt’ora con le sue viuzze strette la sua
anima estremamente bohemien. Scese in Placa Juan Carlos I, percorse Placa
Salvador Espriu fino ad immettersi, superata Casa Fustre, splendido esempio di
Modernismo Catalano, nel Paseo de Gracia.
Il quartiere era un
labirinto costituito da palazzine basse e antiche dall’aspetto squadrato e da
piazzette tutte molto simili tra loro. Le stradine erano deserte, l’ora era
quella di pranzo, i negozietti tutti chiusi. Si sentiva proveniente da chissà
quale locale la canzone Clandestino di Manu Chao. Si rese conto subito di essersi
persa.
Mentre cercava di capire
dove si trovasse su una mappa comprata sulla Rambla, vide scendere un giovane,
con maglietta rossa e pantaloni larghi neri, portava una barba nera molto
curata e una montatura d’occhiali piuttosto pesante di colore nero.
-Lo siento, una pregunta. –
Rischiò Livia al giovane.
-Sì. Me dica – rispose
questi, fermandosi.
-Vorrei sapere dove si
trova Carrer del Cigne? – chiese in italiano.
-Hummm, Carrer del Cigne?
Si, mira siempre por delante, despues de
la tercera a la izquerda. –
-Sempre dritto, dopo la
terza traversa a sinistra. – ripetè traducendo Livia.
-Sì, despues la terza a
sinistra. – confermò il giovane.
Le indicazioni del ragazzo
erano esatte, si trovò a Carrer del Cigne. Ora le rimaneva da cercare il civico
ventitre. Scorse però un ragazzino intento a citofonare davanti ad un portone
di uno di quei palazzi. Lo riconobbe, era Domenico.
-Domenico! Ciao! Sono
Livia!- esclamò la donna.
Il ragazzino si girò di
scatto e appena la vide le fece un sorriso a trentadue denti.
-Livia ciao! Che bella
sorpresa! –
Dopo un lungo abbraccio, i due ragazzi
salirono a casa. Entrando nell’appartamento, Livia si ritrovò in un atmosfera
calda e vivace dovuta dai mobili etnici e dalla struttura accogliente della
casa, piccola ma ben articolata. Nell’ingresso spiccava sopra un mobiletto una
rosa bianca sistemata dentro un vasetto di vetro.
-Domenico è pronto, ora
porto a tavola la pasta! –
Era la voce di Serena,
intenta in cucina ad ultimare la preparazione del pranzo.
Livia sentita la voce di
Serena cominciò a tremare, iniziava a ricordare il periodo più brutto della sua
vita.
Domenico le fece strada in
quella che doveva essere la stanza principale della casa, un soggiorno che
funzionava da sala da pranzo salottino, che dava su una piccola terrazza.
-Eccoti qua, ce ne hai
messo tempo a comprare il
pane! –
Disse Serena rivolgendosi
al fratello, entrando nella stanza con una zuppiera fumante contenente della
pasta. La donna appena vide Livia si bloccò, rimase in piedi senza posare la
zuppiera sul tavolo.
L’ultima volta che le due
ragazze si erano viste fu per il funerale di Andrea Restivo. Livia la fissava senza dire una
parola, le tornavano in mente le immagini di quella mattina di Marzo, quando
davanti alla bara del fratello non riusciva a farsi uscire una lacrima, come se
il dolore le avesse prosciugato ogni goccia salata dai suoi occhi. Era rimasta
per tutta la funzione come una statua di ghiaccio, ricordava le lacrime della
madre, quelle, in modo invano, trattenute del padre, e il pianto di Serena,
quella ragazza che sarebbe potuta diventare sua cognata, la donna che stava facendo
rinascere suo fratello. Andrea le voleva bene, sapeva che sarebbe stata la
donna della sua vita. Durante le vacanze di Natale le aveva parlato tanto di
lei, era a conoscenza anche del loro progetto di trasferirsi in Spagna.
Per Serena, vedere il viso
di Livia era come se si trovasse davanti una mappa nella quale era tracciato un
percorso di dolore e sofferenza che partiva dal giorno della morte del fratello
fino ad oggi. Era molto sciupata, pallida e parecchio dimagrita. Quel maledetto
giorno le aveva fatto impressione quella ragazza immobile per tutto il tempo,
sempre accanto alla madre. Si vedeva che il dolore la stava divorando
dall’interno, lei la mitica Livia, la sorella che per Andrea era quasi un mito,
la ragazza che aveva girato il mondo, la donna forte che aveva lasciato la casa
dei genitori appena maggiorenne, adesso appariva totalmente travolta dal
dolore.
-Serena, ciao, scusa la
sorpresa, dovevo venire una settimana fa, ma.. non me la sono sentita. –
-Ma che dici! Non sai
quanto mi fa piacere vederti! –
-Grazie, anche per me
rivedere te e Domenico. Tieni ho portato questi fiori per la casa. –
Serena la ringraziò per le
fresie, i tre ragazzi pranzarono insieme, fu l’occasione per raccontarsi le
ultime novità. Livia si informò di come si stavano trovando a Barcellona, e
come andava il lavoro.
Consumato il pasto ancora
non si era toccato il tasto Andrea.
-Serena – fu Livia a
prendere il discorso – sono venuta anche per consegnarti una cosa. –
Serena, sapeva di cosa stava parlando Livia,
il nome di Andrea era finora rimasto nell’aria pronto a piombare su di loro da
un momento all’altro.
-Il giorno prima del
ritrovamento del corpo di mio fratello, ricevetti due buste, le aveva spedite
due giorni prima Andrea. Una era per me e la mia famiglia l’altra per te. Nella
nostra busta abbiamo trovato una lettera scritta di suo pugno. Una lettera
commovente, una lettera di addio. Capisci era come se sapesse che avrebbe fatto
quella.. - le parole cominciavano a rimanere
strozzate in bocca - ..quella fine. –
-Le indagini non hanno
portato a nessuna novità, vero? – chiese Serena.
-No l’ unica cosa che hanno
scoperto è che le quattro vittime Lo Vecchio, Tommasini, Leone e De Felice,
erano stati compagni di scuola. Ma perché mio fratello è stato trovato ammazzato
accanto al corpo di Lo Vecchio e di padre Tusa, non sono riusciti a capirlo.
Alcuni giornalisti hanno legato la morte di Andrea alla chiesa andata a fuoco e
alle misteriose morti dei quattro ingegneri. La cosa che mi ferisce è che c’è
chi crede che sia stato lui la mente di quei crimini. La lettera che abbiamo
ricevuto non basta a far comprendere che mio fratello è estraneo a questo
orrore. –
-Andrea aveva capito il
legame di tutte queste morti. Se solo fossi rimasta a Palermo.. – Le lacrime
cominciarono a bagnare il viso di Serena.
Livia tirò fuori dalla
borsetta una busta bianca e la porse alla ragazza.
-Questa invece è tua.
-
Il peso di quella busta
appariva a Serena centuplicato, dentro ci potevano essere quelle risposte e
spiegazioni che non l’avevano fatta dormire per un mese. Forse avrebbe trovato
un po’ di pace, ma poteva contenere anche altro, qualcosa di inaspettato che
l’avrebbe definitivamente distrutta. Ma si fidava di Andrea, lei sapeva in cuor
suo com’erano andate le cose, voleva solamente la conferma, trovare quel filo
logico che mancava. Le venne in mente l’immagine del ritrovamento del corpo del
suo amico, disteso in una pozza di sangue, dovuto ad un botta che aveva preso
in testa, causata da una botta presa su un masso. Eccolo lì pallido, con gli
occhi aperti puntati al cielo, nascosto in quel boschetto a Monte Pellegrino,
accanto al cadavere dell’ingegnere Lo Vecchio, accoltellato, e questo era certo
da Andrea. E poco più in la don Tusa, sepolto e coperto da un tumulo di
fogliame e rami di pino. Quante volte aveva cercato di darsi una spiegazione su
quello che era potuto accadere quel giorno. Probabilmente Lo Vecchio era
implicato negli omicidi, e Andrea si è ritrovato da solo con l’assassino. Forse
il prete è stata una vittima innocente, rimasto coinvolto perché ha saputo per
caso qualcosa. No, non poteva essere andata così, c’era altro. Questa storia
non era finita, non sarebbe finita mai.. aveva voglia di piangere, di urlare,
si era illusa di aver trovato la pace allontanandosi da Palermo, e invece ora
aveva paura.
Osservò con attenzione la
busta, era una busta come altre, riconobbe nell’intestazione la calligrafia di Andrea. Era indirizzata alla
sorella, ma in alto sulla destra c’era scritto tra parentesi e in piccolo per
Serena Landisi.
-L’indirizzo è di Verona,
dove abito. Ma non mi trovavo in quel periodo a casa mia, poi ho saputo della
morte e.. mi sono fermata a Palermo con i miei genitori. Una settimana fa,
tornata a Verona ho trovato queste due buste nella buca della posta. Mi
dispiace non avertela potuta dare prima. –
-Non preoccuparti Livia,
anzi ti ringrazio per avermela portata tu. –
Domenico osservava la busta
nelle mani della sorella, la curiosità per scoprire
cosa contenesse cresceva
ogni minuto, Serena sembrava avesse paura di aprirla come se aprendola
scoperchiasse il vaso di Pandora. Sulla casa calò un silenzio che fu la stessa
Serena a rompere.
-Venite, seguitemi, non è
qui che voglio aprirla. –
Senza ribattere Livia e
Domenico, seguirono Serena. I tre ragazzi, abbandonarono la casa e si
incamminarono per le strade di Barcellona. Il passo di Serena era svelto e
sicuro, nessuno si permise di chiederle dove si stesse dirigendo.
La strada si faceva sempre
più in salita, e man mano che aumentava la pendenza si incontravano sempre più
turisti. Livia capì dov’erano, i ricordi di quella gita scolastica
riaffioravano nuovamente, ricordava la zona, quella salita che aumentava sempre
di più, stavano andando al Parc Guell. Serena si fece largo tra i capannelli di
turisti che stanziavano davanti il cancello del parco e senza voltarsi per
vedere se anche gli altri fossero entrati, proseguì dritto, fece tutta la
scalinata e si diresse verso la terrazza. Livia e Domenico rimasero indietro,
la ragazza fu colpita dalla bellezza della scalinata del parco con quella
meravigliosa salamandra che da un secolo accoglieva gli abitanti della città e
i turisti da tutto il mondo. Vide poi Serena che saliva un’altra rampa di scale
che portava alla terrazza, il punto più alto del parco. Attraversò la foresta
di colonne. Quel colonnato così fitto l’aveva incantata la prima volta che
l’aveva visto e la stupiva tutt’ora, per lei Gaudì era un genio. In più in
mezzo a quel colonnato si stava esibendo un violinista, eseguiva La musica
notturna delle strade di Madrid di Boccherini. Attraversarono questa foresta di
pietra incantata, salirono la scala e si trovarono nella grande terrazza che
dominava Barcellona.
Serena stava seduta con le
mani poggiate su uno schienale che faceva da bordo alla terrazza. Livia e
Domenico la raggiunsero, quando si trovarono tutti e tre vicini, Serena con le
lacrime agli occhi aprì la busta, dentro vi trovò una lettera e una piccola
scheda di memoria di un cellulare.
Osservò stupita quella
scheda di memoria, poi la mise nella tasca del pantalone e cominciò a leggere
la lettera.
Cara Serena,
spero tanto che non
leggerai questa lettera, che la stracciamo insieme senza nemmeno aprirla
davanti ad un piatto di paella surgelata seduti ad uno dei tanti ristoranti
vicino la Rambla. Se non dovesse andare così, in queste righe ti lascio la
verità sulla morte di Tommasini Leone De Pasquale e Tusa.
La storia che ti sto per
raccontare è un fatto che ha colpito fatalmente tante vite sconvolgendone il
loro corso.. e forse potrebbe segnare anche la mia.
Tommasini, De Felice,
Leone e Lo Vecchio, sono stati compagni di scuola. Ragazzi molto brillanti,
portati a distinguersi e ad isolarsi dagli altri studenti. Disprezzavano il
mondo che li circondava, pieni di boria tipicamente giovanile, bollavano tutto
ciò che era diverso dal loro modo di pensare come volgare, ignorante e
intaccato da stupide superstizioni e mode del tempo. In particolare presero di
mira un prete che insegnava religione nel loro istituto. Si trattava di un
povero diavolo, uno di quelli che predica bene, ma razzola male. Scoprirono che
questo aveva una tresca con una prostituta, una sera lo seguirono fino a casa
della donna e lo minacciarono di diffondere la notizia a scuola, gli urlarono
che si doveva vergognare, che lui e gli uomini come lui si prendevano gioco
delle persone più deboli. Il prete invece di non rispondere alle provocazione,
affrontò i tre giovani a casa della prostituta. Li la situazione scappò di mano
a tutti, e a farne le spese fu il prete stesso e la donna. I ragazzi resisi
conto di ciò che avevano combinato scapparono, l’appartamento a seguito della
colluttazione che ne era scoppiata, andò a fuoco, e si lasciarono questa storia
alle loro spalle. Solamente che non sapevano che ad assistere alla morte del prete
e della donna c’era assistito anche un bambino. Questo bambino che era rimasto
nascosto per tutto il tempo della lite tra il sacerdote ei suoi allievi era
padre Tusa.
So che ora sarai
incredula, ma ciò che ti sto dicendo è ancora più assurdo. Questi due poveri
diavoli rimasti vittima dell’intolleranza di quei giovani erano i genitori di
Michelangelo Tusa. È stato lui stesso a raccontarmelo..
Il bambino è cresciuto
col pensiero fisso di capire perché avevano ucciso i suoi genitori e sul modo
di vendicarsi. Sebbene si fosse messo nelle mani di padre Pintacura, altra
vittima innocente di questa storia, e avesse cercato conforto nella fede fino a
decidersi di farsi prete, Tusa non riusciva a liberarsi del suo passato e
l’ossessione di vendicarsi era sempre più forte in lui. Ha iniziato così a
spiarne le loro vite, sempre in bilico tra il farsi giustizia da se o il
ricattarli.
Questo fino a quella
tragica notte del quattordici Novembre, notte nella quale fu ucciso l’ingegnere
Leone. Ora tutto porta a dedurre che l’assassino che ha compiuto tutti questi
omicidi sia Michelangelo Tusa. L’unica persona che è riuscita a salvarsi dalla
vendetta del prete è Ciro Lo Vecchio, però l’ingegnere mi ha detto di aver
ricevuto anche lui da poco minacce di morte, e che Tusa lo vuole incontrare,
dice di aver denunciato il fatto alla polizia. Mi ha chiesto anche di
accompagnarlo all’appuntamento col Tusa.
Serena, non so come
andrà a finire questa storia. Ma ho una sensazione, non è stato il prete ha
compiere quegli omicidi, ci sono tanti particolari che non tornano che non sto
qui a scriverti, ma Tusa ha una personalità troppo fragile, è un uomo distrutto
e confuso.. l’assassino è l’ingegnere Ciro Lo Vecchio. Ho avuto questa
intuizione da un passo falso che ha commesso Lo Vecchio mentre parlava con me
al telefono.. un aforisma.. gli è sfuggito un aforisma, un altro dopo quello
che aveva lasciato accanto al corpo di Tommasini. In quegli omicidi c’era
disprezzo per la vita umana, un prendersi gioco di tutti, l’ingegnere aveva
tutto da perdere se usciva fuori questa storia.
Nella busta troverai
anche la scheda di memoria del mio cellulare, con la conversazione che ho
appena avuto al telefono con Lo Vecchio, nella quale mi dice di essere stato
contatto da padre Tusa, mi chiede di accompagnarlo e che ha denunciato le
minacce ricevute alla polizia. Non credo a nulla di tutto ciò, penso che padre
Tusa sia stato già ucciso dall’ingegnere, questa conversazione registrata può
servire come prova per condannarlo.
Ho un po’ di paura..
spero di sbagliarmi.. mi viene in mente quello che dice Robert Jordan a Maria,
la ragazza che ama, nel romanzo di Hemingway Per chi suona la campana.. nel
momento in cui morirò io sarò sempre con te e vivrò nei tuoi occhi.. perciò
vivi, non voltarti mai indietro perché io sarò sempre con te.. Ed è la stessa
cosa che dico a te Serena, perché mediante i
tuoi occhi io continuerò
a vivere..
Tuo Andrea
Serena aveva gli occhi pieni
di lacrime, la luce del sole che brillava sulla città rifletteva sul suo volto
donando alla sua pelle un colore ramato. I mostri erano spariti, gli incubi
svaniti, colui che amava non c’era più, ma lo sentiva per la prima volta
accanto a lei. Un sorriso emerse dal suo viso, intorno non c’era silenzio, ma
le diverse voci dei turisti che si mischiavano tra di loro. Livia e Domenico
non dissero una parola fino a quel momento, poi vedendo il sorriso della
ragazza si strinsero a lei in un caloroso abbraccio.
Serena guardò ancora una volta la città sotto di lei, quella città che
stava imparando ad amare e che le ricordava maledettamente Palermo.
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