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martedì 28 gennaio 2014

IL GIOCO DEL RAGNO CAPITOLO 17

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 -Il problema mi chiede di trovare l’area del triangolo che ha come vertici il fuoco della parabola e i punti di intersezione tra la retta passante per l’origine e coefficiente angolare quattro e la parabola stessa. Humm.. Andrea penso di aver capito come risolvere l’esercizio. –
-Bravo, risolvi quest’ultimo problema e poi ti accompagno all’allenamento. –
Domenico era proprio portato per la matematica, era un piacere aiutarlo nei compiti, il ragazzo era molto sveglio e intelligente. Avevamo costruito un buon rapporto, era nata una simpatia spontanea, passavamo tanto tempo insieme. Si era integrato nel gruppetto della domenica, spesso usciva con me e Serena, o ci ritrovavamo insieme a casa sua a guardare tutti e tre un dvd. Adesso che lo aiutavo in matematica non c’era un giorno che non ci si frequentasse. Era entrato in confidenza con me, mi raccontava delle sue giornate a scuola, del suo rapporto con la ragazza, spesso voleva consigli su come comportarsi con lei, mi parlava dei suoi parenti, mi confidava quanto soffrisse per la perdita dei genitori. Ne aveva passate tante, e voleva un gran bene alla sorella.
Mi alzai e mi avvicinai al balcone, guardai la strada trafficata da passanti, il cielo era coperto, girai lo sguardo verso la scrivania, Domenico era concentrato nei suoi calcoli, accanto aveva il borsone che riportava il logo della sua scuola calcio. Mi voltai di nuovo verso la strada, ripensai al sabato e alla domenica appena trascorsi. L’incontro fortuito con Tommasini, ci aveva dato la certezza che qualcosa non quadrava, che il legame tra le due persone uccise e l’ingegnere ci fosse. Da un lato volevamo chiudere questa storia, stracciare la fotografia, e dimenticare tutto, ed era sicuramente la scelta migliore.. però.. però c’era quella maledetta curiosità, quel desiderio di andare fino in fondo. Avevamo passato il giorno prima a decidere su cosa fare. A valutare tutti i pro e i contro, a valutare cioè tutti i rischi. E in questa storia c’erano solo rischi. L’ultima persona della foto era Ciro Lo Vecchio.
Forse lui ci avrebbe dato quelle spiegazioni che cercavamo, o magari lo avremmo salvato da qualche pericolo. “Forse possiamo salvare una vita” questa frase che pronunciai fece ridere Serena, risata che mi contagiò “Certo ora diventiamo eroi”.
Alla fine decidemmo di fare l’ultimo passo. Terminati i compiti avrei accompagnato Domenico a calcetto, poi sarei passato in facoltà da Serena, che alle sei terminava le lezioni e ci saremmo recati ad Ingegneria, dove avremmo cercato Lo Vecchio. Cosa avremmo fatto se lo avessimo trovato ancora non lo sapevamo.
Domenico aveva terminato l’esercizio, posò nello zaino i libri. Eravamo pronti per uscire.
-Andrea posso chiederti una cosa?-
-Sì certo, dimmi pure. -
-Prima di accompagnarmi al calcetto, potremmo passare dalla parrocchia? Dalla chiesa di Santa Rita. Dovrei parlare un secondo con padre Tusa, riguardo la mia cresima, dovrei comunicargli il nome del
padrino. –
-Non ci sono problemi, ci passiamo subito. -
-Ecco volevo anche chiederti, se.. insomma avevi piacere di farmi da padrino. -
Il ragazzo era visibilmente imbarazzato.
-Mi farebbe molto piacere, ma non pensi che ci siano altre persone, magari qualche parente che potrebbe ricoprire questo ruolo? -
-No, cioè.. mi sono affezionato a te, insomma in questo periodo mi hai aiutato in tante cose, mi hai dato tanti consigli, ne ho parlato con mia sorella ed è contenta della scelta, insomma mi faresti un bel regalo accettando.. -
In cuor mio ero felice, era una cosa del tutto inaspettata, era un caro ragazzo.
–Accetto, grazie per avermi scelto. È una cosa che mi fa molto piacere. –
Arrivammo davanti al cortile della chiesa, c’erano tanti ragazzini più piccoli di Domenico, che correvano, scherzavano, e agitavano cartelline trasparenti che contenevano libri e quaderni, seduto sulla scalinata della chiesa a fumare  una sigaretta, c’era un uomo sulla cinquantina con folta capigliatura riccia e una barba nera che andava sul grigio, portava dei grossi occhiali da vista e lo sguardo perso nei suoi pensieri.
-Vieni Andrea, lui è padre Tusa. –
Ci avvicinammo al prete, che accortosi della nostra presenza, spense la sigaretta, si alzò e ci venne in contro sorridente.
-Padre, le presento quello che sarà il mio padrino. Andrea Restivo. -
Mi strinse la mano con energia, quell’uomo era una vera e propria roccia.
-Mi fa piacere conoscerla, lei non è parrocchiano di questa zona vero? Non l’ho mai notata a messa.-
“Bel padrino si è scelto Domenico!” non ero un buon cattolico, non ero molto osservante, in chiesa ci andavo per Pasqua, e l’ultima volta che mi ero confessato risaliva alle guerre Puniche.
-Beh, sì, non sono un cattolico modello. – ammisi con un po’ di imbarazzo.
- Ancora mi chiedo se esista questo cattolico modello. – disse sorridendo. Rimanemmo un po’ a chiacchierare, poi richiamando tutti i ragazzini, si congedò spiegandoci che ora doveva fare catechismo ai bambini.
-Si faccia vedere ogni tanto a messa, male non fa. –
Lasciai Domenico al calcetto e mi diressi all’università. L’appuntamento era per le cinque e mezzo di fronte al bar di ingegneria. Serena si presentò con un po’ di ritardo, non avevamo il tempo nemmeno per un caffè, era già una fortuna se saremmo riusciti ad incontrare Lo Vecchio. Percorremmo i portici della facoltà ormai deserta, non c’era più luce naturale e spirava un vento freddo. Entrammo nel dipartimento di meccanica, ci imbattemmo nel bidello, era tutto imbacuccato da una lunga sciarpa di lana, poneva tutta la sua attenzione ad una settimana enigmistica. Gli chiedemmo del professore Ciro Lo Vecchio.
-Mi sembra che ci sia ancora, comunque dovete salire al secondo piano, lì c’è il suo studio. – rispose con voce annoiata. Appena assolto il suo compito, si isolò nel suo passatempo.
Salimmo al secondo piano e ci trovammo in una grande sala che dava su diverse stanze, le porte avevano una targhetta col nome del professore che la occupava.
-Ecco la stanza dell’ingegnere bussiamo?-
Questa volta non avevamo nessun piano, non ci eravamo preparati discorsi, non sapevamo come affrontare l’incontro.
Stavo per bussare, quando la porta si spalancò e ne uscì un uomo che poteva dimostrare non più di sessant’anni, ben portati.
-Buona sera professore, scusi se.. - Serena fu interrotta subito.
-Ragazzi devo scappare, mi dispiace, se avete qualcosa da chiedere c’è l’ingegner Uva che può aiutarvi.- Detto questo, senza nemmeno guardarci l’ingegnere si dileguò verso le scale.
Dalla stessa stanza che aveva appena lasciato il professore uscii un uomo molto più giovane dell’ingegnere.
-Ragazzi avete bisogno?-
-No, no grazie ingegnere, dovevamo parlare col professore.-
-Come volete, ma vi ricordo che il professore, tornerà in dipartimento la settimana prossima per gli esami. Buonasera.-
Chiuse la porta, si vedeva che era irritato dal fatto che volevamo rivolgerci solamente al professore.
-Meno male che non dobbiamo fare esami con lui, se la sarebbe legata al  dito. - 
Ci mettemmo in macchina fortunatamente prima che iniziasse a piovere, la città si era bloccata per l’acquazzone il traffico era impazzito. Eravamo silenziosi, entrambi persi per i propri pensieri. Fui io a rompere il silenzio.
– Serena, tuo fratello mi ha chiesto di fargli da padrino di cresima, mi ha fatto molto piacere. –
-Sì, ci teneva tanto, ormai ti vede come una guida, e sono molto felice di questo rapporto che si è instaurato tra di voi. Non poteva fare una scelta migliore. -
La pioggia continuava a scendere copiosa e noi eravamo bloccati nel traffico.
-Questa città è invivibile – sbuffai.
-Sì. Ma è anche tanto bella, ricordo ancora la bella passeggiata che abbiamo fatto sabato. – il suo volto si accese di colpo, rise. – Ogni città riceve la sua forma dal deserto a cui si oppone. Sai chi lo ha detto? –
-No . -  risposi
-Italo Calvino, caro mio. Uno a zero per me, stasera mangi con noi. Domenico sarà rientrato a casa. –
Mi diede un bacio sulla guancia e iniziò a canticchiare una canzone che stava dando la radio.
A casa davanti al portone, riparata da un ombrello, trovammo la signora Rosa.
–Serena, quella è la signora Rosa, la donna che abita con l’ingegner Tommasini. -
Stupiti, le andammo incontro. Era pallida e infreddolita, chissà da quanto tempo mi stava aspettando. Entrammo dentro in portineria.
-Signor Andrea le devo parlare, è piuttosto importante. –
Notai che le tremavano le mani, era spaventata. Non sapevo cosa dire.

Intervenne Serena -Saliamo a casa mia, signora ci segua. - 

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