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-Il problema mi chiede di trovare l’area del
triangolo che ha come vertici il fuoco della parabola e i punti di intersezione
tra la retta passante per l’origine e coefficiente angolare quattro e la
parabola stessa. Humm.. Andrea penso di aver capito come risolvere l’esercizio.
–
-Bravo, risolvi
quest’ultimo problema e poi ti accompagno all’allenamento. –
Domenico era proprio
portato per la matematica, era un piacere aiutarlo nei compiti, il ragazzo era
molto sveglio e intelligente. Avevamo costruito un buon rapporto, era nata una
simpatia spontanea, passavamo tanto tempo insieme. Si era integrato nel
gruppetto della domenica, spesso usciva con me e Serena, o ci ritrovavamo
insieme a casa sua a guardare tutti e tre un dvd. Adesso che lo aiutavo in
matematica non c’era un giorno che non ci si frequentasse. Era entrato in
confidenza con me, mi raccontava delle sue giornate a scuola, del suo rapporto
con la ragazza, spesso voleva consigli su come comportarsi con lei, mi parlava
dei suoi parenti, mi confidava quanto soffrisse per la perdita dei genitori. Ne
aveva passate tante, e voleva un gran bene alla sorella.
Mi alzai e mi avvicinai al
balcone, guardai la strada trafficata da passanti, il cielo era coperto, girai
lo sguardo verso la scrivania, Domenico era concentrato nei suoi calcoli,
accanto aveva il borsone che riportava il logo della sua scuola calcio. Mi
voltai di nuovo verso la strada, ripensai al sabato e alla domenica appena
trascorsi. L’incontro fortuito con Tommasini, ci aveva dato la certezza che
qualcosa non quadrava, che il legame tra le due persone uccise e l’ingegnere ci
fosse. Da un lato volevamo chiudere questa storia, stracciare la fotografia, e
dimenticare tutto, ed era sicuramente la scelta migliore.. però.. però c’era
quella maledetta curiosità, quel desiderio di andare fino in fondo. Avevamo
passato il giorno prima a decidere su cosa fare. A valutare tutti i pro e i
contro, a valutare cioè tutti i rischi. E in questa storia c’erano solo rischi.
L’ultima persona della foto era Ciro Lo Vecchio.
Forse lui ci avrebbe dato
quelle spiegazioni che cercavamo, o magari lo avremmo salvato da qualche
pericolo. “Forse possiamo salvare una vita” questa frase che pronunciai fece
ridere Serena, risata che mi contagiò “Certo ora diventiamo eroi”.
Alla fine decidemmo di fare
l’ultimo passo. Terminati i compiti avrei accompagnato Domenico a calcetto, poi
sarei passato in facoltà da Serena, che alle sei terminava le lezioni e ci
saremmo recati ad Ingegneria, dove avremmo cercato Lo Vecchio. Cosa avremmo
fatto se lo avessimo trovato ancora non lo sapevamo.
Domenico aveva terminato l’esercizio,
posò nello zaino i libri. Eravamo pronti per uscire.
-Andrea posso chiederti una
cosa?-
-Sì certo, dimmi pure. -
-Prima di accompagnarmi al
calcetto, potremmo passare dalla parrocchia? Dalla chiesa di Santa Rita. Dovrei
parlare un secondo con padre Tusa, riguardo la mia cresima, dovrei comunicargli
il nome del
padrino. –
-Non ci sono problemi, ci
passiamo subito. -
-Ecco volevo anche
chiederti, se.. insomma avevi piacere di farmi da padrino. -
Il ragazzo era visibilmente
imbarazzato.
-Mi farebbe molto piacere,
ma non pensi che ci siano altre persone, magari qualche parente che potrebbe ricoprire
questo ruolo? -
-No, cioè.. mi sono
affezionato a te, insomma in questo periodo mi hai aiutato in tante cose, mi
hai dato tanti consigli, ne ho parlato con mia sorella ed è contenta della
scelta, insomma mi faresti un bel regalo accettando.. -
In cuor mio ero felice, era
una cosa del tutto inaspettata, era un caro ragazzo.
–Accetto, grazie per avermi
scelto. È una cosa che mi fa molto piacere. –
Arrivammo davanti al
cortile della chiesa, c’erano tanti ragazzini più piccoli di Domenico, che
correvano, scherzavano, e agitavano cartelline trasparenti che contenevano
libri e quaderni, seduto sulla scalinata della chiesa a fumare una sigaretta, c’era un uomo sulla
cinquantina con folta capigliatura riccia e una barba nera che andava sul
grigio, portava dei grossi occhiali da vista e lo sguardo perso nei suoi
pensieri.
-Vieni Andrea, lui è padre
Tusa. –
Ci avvicinammo al prete,
che accortosi della nostra presenza, spense la sigaretta, si alzò e ci venne in
contro sorridente.
-Padre, le presento quello
che sarà il mio padrino. Andrea Restivo. -
Mi strinse la mano con
energia, quell’uomo era una vera e propria roccia.
-Mi fa piacere conoscerla,
lei non è parrocchiano di questa zona vero? Non l’ho mai notata a messa.-
“Bel padrino si è scelto
Domenico!” non ero un buon cattolico, non ero molto osservante, in chiesa ci
andavo per Pasqua, e l’ultima volta che mi ero confessato risaliva alle guerre
Puniche.
-Beh, sì, non sono un
cattolico modello. – ammisi con un po’ di imbarazzo.
- Ancora mi chiedo se
esista questo cattolico modello. – disse sorridendo. Rimanemmo un po’ a
chiacchierare, poi richiamando tutti i ragazzini, si congedò spiegandoci che
ora doveva fare catechismo ai bambini.
-Si faccia vedere ogni
tanto a messa, male non fa. –
Lasciai Domenico al
calcetto e mi diressi all’università. L’appuntamento era per le cinque e mezzo
di fronte al bar di ingegneria. Serena si presentò con un po’ di ritardo, non
avevamo il tempo nemmeno per un caffè, era già una fortuna se saremmo riusciti
ad incontrare Lo Vecchio. Percorremmo i portici della facoltà ormai deserta,
non c’era più luce naturale e spirava un vento freddo. Entrammo nel
dipartimento di meccanica, ci imbattemmo nel bidello, era tutto imbacuccato da
una lunga sciarpa di lana, poneva tutta la sua attenzione ad una settimana
enigmistica. Gli chiedemmo del professore Ciro Lo Vecchio.
-Mi sembra che ci sia
ancora, comunque dovete salire al secondo piano, lì c’è il suo studio. –
rispose con voce annoiata. Appena assolto il suo compito, si isolò nel suo
passatempo.
Salimmo al secondo piano e
ci trovammo in una grande sala che dava su diverse stanze, le porte avevano una
targhetta col nome del professore che la occupava.
-Ecco la stanza
dell’ingegnere bussiamo?-
Questa volta non avevamo
nessun piano, non ci eravamo preparati discorsi, non sapevamo come affrontare
l’incontro.
Stavo per bussare, quando
la porta si spalancò e ne uscì un uomo che poteva dimostrare non più di
sessant’anni, ben portati.
-Buona sera professore,
scusi se.. - Serena fu interrotta subito.
-Ragazzi devo scappare, mi
dispiace, se avete qualcosa da chiedere c’è l’ingegner Uva che può aiutarvi.-
Detto questo, senza nemmeno guardarci l’ingegnere si dileguò verso le scale.
Dalla stessa stanza che
aveva appena lasciato il professore uscii un uomo molto più giovane
dell’ingegnere.
-Ragazzi avete bisogno?-
-No, no grazie ingegnere,
dovevamo parlare col professore.-
-Come volete, ma vi ricordo
che il professore, tornerà in dipartimento la settimana prossima per gli esami.
Buonasera.-
Chiuse la porta, si vedeva
che era irritato dal fatto che volevamo rivolgerci solamente al professore.
-Meno male che non dobbiamo
fare esami con lui, se la sarebbe legata al
dito. -
Ci mettemmo in macchina
fortunatamente prima che iniziasse a piovere, la città si era bloccata per
l’acquazzone il traffico era impazzito. Eravamo silenziosi, entrambi persi per
i propri pensieri. Fui io a rompere il silenzio.
– Serena, tuo fratello mi
ha chiesto di fargli da padrino di cresima, mi ha fatto molto piacere. –
-Sì, ci teneva tanto, ormai
ti vede come una guida, e sono molto felice di questo rapporto che si è
instaurato tra di voi. Non poteva fare una scelta migliore. -
La pioggia continuava a
scendere copiosa e noi eravamo bloccati nel traffico.
-Questa città è invivibile
– sbuffai.
-Sì. Ma è anche tanto
bella, ricordo ancora la bella passeggiata che abbiamo fatto sabato. – il suo
volto si accese di colpo, rise. – Ogni città riceve la sua forma dal deserto a
cui si oppone. Sai chi lo ha detto? –
-No . - risposi
-Italo Calvino, caro mio.
Uno a zero per me, stasera mangi con noi. Domenico sarà rientrato a casa. –
Mi diede un bacio sulla
guancia e iniziò a canticchiare una canzone che stava dando la radio.
A casa davanti al portone,
riparata da un ombrello, trovammo la signora Rosa.
–Serena, quella è la
signora Rosa, la donna che abita con l’ingegner Tommasini. -
Stupiti, le andammo
incontro. Era pallida e infreddolita, chissà da quanto tempo mi stava
aspettando. Entrammo dentro in portineria.
-Signor Andrea le devo
parlare, è piuttosto importante. –
Notai che le tremavano le
mani, era spaventata. Non sapevo cosa dire.
Intervenne Serena -Saliamo
a casa mia, signora ci segua. -
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