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martedì 14 gennaio 2014

IL GIOCO DEL RAGNO CAPITOLO 15

                                               15

  L’uomo spense la radio, aveva sentito abbastanza, si alzò dalla poltrona e incominciò a camminare su e giù per la stanza. Quando era nervoso, non riusciva a stare fermo, così percorreva chilometri avanti indietro da una parete all’altra. Era nervoso, sudato. “Sono uno strumento del male, sono diventato la penna del demonio”.
-Cosa ho combinato? – andava ripetendosi. Sentiva caldo, non riusciva quasi a respirare, aprì una finestra, prese una boccata d’aria. Poi si sentì gelare, il sudore sulla fronte era diventato ghiaccio.
Chiuse la finestra e riprese a camminare. I suoi pensieri erano tutti scombinati, ora aveva sangue davanti agli occhi, ora si rivedeva piccolo. Ora si fermava a leggere il titolo del giornale, e rabbrividiva.                                 
– Cosa ho combinato! – ora la frase era diventata esclamativa.
Riempì un bicchiere d’acqua, se lo portò alla bocca, ma lo ripose immediatamente, non aveva sete. Ricominciò a camminare. Si sfogava così camminando. Mentre camminava pensava.
Quei pensieri gli facevano male ed ecco che camminava a passo più veloce. Ora si rivedeva di nuovo bambino, poi improvvisamente aveva davanti a se piazza Pretoria, poi gli apparve una croce, poi sangue.
Si sentiva impazzito.
Smise di camminare, si inginocchiò appoggiando i gomiti sulla poltrona, nella quale, poco prima, si era seduto a seguire la radio, e iniziò a pregare.
Recitò un’Ave Maria, poi il Padre Nostro. Si interruppe. Fece pressione con le dita sulle tempie, gli occhi lucidi, non riusciva a respirare nemmeno bene perché aveva il naso pieno di muco per il pianto rabbioso che stava per esplodere. Pianse.
“Ma cosa piangi a fare? Ormai sei strumento del diavolo. Era quello che volevi no?”
“No, non era quello che volevo accadesse”
“Mi fai schifo! Sei sempre stato così.. un debole, un vigliacco.”
“Sì, è vero, lo sono. Ma non volevo finisse così.”
“Smettila con questi sensi di colpa, sapevi che tutto sarebbe sfociato nel male. Questa storia è nata dal male e morirà nel male.”
“Io, io..”
“Tu fai schifo..”
Non capiva più nulla, non voleva più ragionare. Perché il ragionamento lo portava a questi dialoghi interiori, che si rivelavano più dolorosi di mille lame incandescenti che penetrano la pelle.
Si sedette in poltrona. Distese le gambe, chiuse gli occhi.

Michè! Michè! Cosa vuoi sapere di tuo padre? Tuo padre fa il marinaio è imbarcato, è sempre imbarcato. Michè ora vattene, vai a giocare, poi passa dalla signora Tina e cena da lei.
Michè hai capito chi è tuo padre? Ma come non lo sai?
e loro correvano, correvano più veloci di me e io rimanevo solo.
Michè ancora a tuo padre pensi? Ti ho detto che è imbarcato che se ne fotte di noi! Se tu pensassi di più alla tua povera mamma invece! Vai a prendere il pane è già pagato, vai Michè corri.. corri Michè corri.. corri.

Era uno strumento del male. Era la sua vita che glielo imponeva. Si asciugò le lacrime. Si alzò. Tutto era passato, tutto andava meglio adesso.

Corri Michè, corri!

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