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L’uomo spense la radio, aveva sentito
abbastanza, si alzò dalla poltrona e incominciò a camminare su e giù per la
stanza. Quando era nervoso, non riusciva a stare fermo, così percorreva
chilometri avanti indietro da una parete all’altra. Era nervoso, sudato. “Sono
uno strumento del male, sono diventato la penna del demonio”.
-Cosa ho
combinato? – andava ripetendosi. Sentiva caldo, non riusciva quasi a respirare,
aprì una finestra, prese una boccata d’aria. Poi si sentì gelare, il sudore
sulla fronte era diventato ghiaccio.
Chiuse la
finestra e riprese a camminare. I suoi pensieri erano tutti scombinati, ora
aveva sangue davanti agli occhi, ora si rivedeva piccolo. Ora si fermava a
leggere il titolo del giornale, e rabbrividiva.
– Cosa ho
combinato! – ora la frase era diventata esclamativa.
Riempì un
bicchiere d’acqua, se lo portò alla bocca, ma lo ripose immediatamente, non
aveva sete. Ricominciò a camminare. Si sfogava così camminando. Mentre
camminava pensava.
Quei pensieri
gli facevano male ed ecco che camminava a passo più veloce. Ora si rivedeva di
nuovo bambino, poi improvvisamente aveva davanti a se piazza Pretoria, poi gli
apparve una croce, poi sangue.
Si sentiva
impazzito.
Smise di
camminare, si inginocchiò appoggiando i gomiti sulla poltrona, nella quale,
poco prima, si era seduto a seguire la radio, e iniziò a pregare.
Recitò un’Ave
Maria, poi il Padre Nostro. Si interruppe. Fece pressione con le dita sulle
tempie, gli occhi lucidi, non riusciva a respirare nemmeno bene perché aveva il
naso pieno di muco per il pianto rabbioso che stava per esplodere. Pianse.
“Ma cosa piangi
a fare? Ormai sei strumento del diavolo. Era quello che volevi no?”
“No, non era
quello che volevo accadesse”
“Mi fai schifo! Sei sempre
stato così.. un debole, un vigliacco.”
“Sì, è vero, lo sono. Ma
non volevo finisse così.”
“Smettila con questi sensi
di colpa, sapevi che tutto sarebbe sfociato nel male. Questa storia è nata dal
male e morirà nel male.”
“Io, io..”
“Tu fai schifo..”
Non capiva più nulla, non
voleva più ragionare. Perché il ragionamento lo portava a questi dialoghi
interiori, che si rivelavano più dolorosi di mille lame incandescenti che
penetrano la pelle.
Si sedette in poltrona.
Distese le gambe, chiuse gli occhi.
“Michè! Michè! Cosa vuoi
sapere di tuo padre? Tuo padre fa il marinaio è imbarcato, è sempre imbarcato.
Michè ora vattene, vai a giocare, poi passa dalla signora Tina e cena da lei.
Michè hai capito chi è
tuo padre? Ma come non lo sai?
e loro correvano,
correvano più veloci di me e io rimanevo solo.
Michè ancora a tuo padre
pensi? Ti ho detto che è imbarcato che se ne fotte di noi! Se tu pensassi di
più alla tua povera mamma invece! Vai a prendere il pane è già pagato, vai
Michè corri.. corri Michè corri.. corri.
Era uno strumento del male.
Era la sua vita che glielo imponeva. Si asciugò le lacrime. Si alzò. Tutto era
passato, tutto andava meglio adesso.
Corri Michè, corri!
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