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Decisi di recarmi a casa
dell’ingegnere Tommasini solamente il giorno successivo. Trascorsi la sera a guardare tutti i talk che
parlavano dell’omicidio in tv. Se ne sentivano di tutti i colori, mafia, setta,
serial killer, mitomane. In realtà non si capiva gran che, a Palermo un fatto
simile non si era mai visto. Ed era anche chiaro che i due omicidi erano
collegati, la stessa mano aveva compiuto i due delitti. Si cercava di scoprire
se ci fossero dei legami tra le due vittime. Ma fino a quel momento non era
emerso nulla. Palermo e i palermitani si trovarono di colpo sotto l’occhio dei
media di tutto il mondo.
-Minchia importanti siamo!-
Questa fu una tra le frasi emblematiche che venne rilasciata da un cittadino ad un incredulo
cronista giapponese.
Tanti furono anche i
proclami delle autorità locali e nazionali sull’impegno per la cattura del
criminale. Ci sarebbero stati giri di vite, ronde, se era il caso
sarebbe intervenuto anche l’esercito per pattugliare le strade. Insomma le
migliori menti investigative del Paese erano pronte ad intervenire da subito.
Questo non sortì nessuno effetto sulla tranquillità della cittadinanza, anzi,
il sindaco invitò gli abitanti di effettuare un auto coprifuoco. Entro la
mezzanotte fu raccomandato, di lasciare le strade del centro storico. Fu
lanciato anche un appello, se qualcuno sapeva era invitato a parlare!
Ci furono subito, tante
segnalazioni di persone che avevano visto movimenti sospetti nei dintorni di piazza
Rivoluzione. Chi giurava di aver visto una persona col mantello nero,
incappucciato, in via Discesa dei Giudici, dirigersi verso la cattedrale, chi
aveva subito un fermo da questa figura coperta dal mantello nero.
E siccome gli affari sono
affari, e il dio denaro non guarda in faccia a nessuno erano apparse in qualche
negozio di souvenir magliette con l’immagine di una figura nera che brandeva un
coltello e la scritta in dialetto u mostro‘i Paliermo.
Sabato lavoravo solamente
la mattina, pranzai a casa e alle cinque e mezza già ero a piazza Bologni dove posteggiai
l’auto. Percorsi il breve tratto di corso Vittorio Emanuele che mi avrebbe
portato al vicolo del Santissimo Salvatore. Il portone era chiuso, bussai più
volte, non rispose nessuno, aspettai, riprovai a suonare il citofono niente,
avevo perso le speranze, quando da un balcone adiacente al palazzo dove viveva
Tommasini, si affacciò una vecchia donna in vestaglia, mi guardava stringendo
gli occhi, doveva essere molto miope.
-Che cosa vuole? Chi
cerca?-
-Buonasera, mi scusi cerco
l’ingegnere Tommasini, ma a quanto pare..-
-Non c’è nessuno è inutile
che suoni.- mi interruppe la donna.
-Ho capito. Lo aspetterò
qui, grazie.-
-Ma qui dove? Non ha capito
forse! L’ingegnere è partito, è andato da suo figlio, sono andati nel
continente lui e la signora Rosa.-
-Anche la signora Rosa?-
-E si capisce! Che doveva
restare a fare? Vogliono vendere la casa. Non torneranno più. Lo capisce? Ora
rientro, prima che mi ammazzo con questo freddo. Buonasera! –
-Aspetti – gridai sperando
che mi sentisse – ma quando sono partiti? –
- Mi pare lunedì. Ma lei
chi è? Si vuole comprare l’appartamento?-
- No, no. Sono.. sono..
sono un amico di.. del figlio dell’ingegnere.- “Bella cazzata. Mi rendo conto
che ne sto incominciando a sparare troppe!”
La signora non fece caso a quello che avevo detto, probabilmente
non mi aveva nemmeno sentito. Mi salutò con la mano e chiuse la finestra.
“Così sono partititi,
lunedì, probabilmente avranno saputo solo oggi quello che è accaduto qua”. Mi
chiedevo quale fosse stata la reazione dell’ingegnere quando aveva appreso la
notizia, se mai avesse avuto una reazione.
Forse era stato spinto
solamente dalla curiosità di conoscermi, forse non ricordava chi fosse Pasquale
De Felice, tutto era ingigantito dalla mia immaginazione e dalla causalità. Ora
lo vedevo a Gelsenkirchen seduto in poltrona in mezzo ai suoi nipoti. “Però che
freddo che doveva fare lì in Germania” pensavo alla povera signora Rosa. Chissà
se ha mai viaggiato, mi chiedevo. Rimaneva il fatto però che non sapevo chi e
perché qualcuno mi avesse spiato e mandato quelle foto.
Prima di lasciare il vicolo
lanciai un’ultima occhiata verso la finestra di casa Tommasini, e mi parve
scorgere la tenda muoversi, chiusi gli occhi riguardai, “Ma niente, sarà stata
solo un’impressione”.
Mi avviai verso via
Maqueda, non avevo voglia di tornare a casa, volevo raggiungere il teatro
Politeama, fare quattro passi, stranamente avevo la testa sgombra “Dopo tutto
se non torna più e rimane da suo figlio, meglio per me. Perché, anche se
dovesse essere in qualche modo coinvolto, in questa maniera, con l’ingegnere
ormai fuori da Palermo, io che importanza potevo più avere nella faccenda?”,
mentre mi auto convincevo che il pericolo fosse definitivamente archiviato
ricevetti un messaggio da Serena. Mi chiedeva se avessi incontrato l’ingegnere.
Le risposi di no, le scrissi anche di farsi trovare alle otto a piazza San
Domenico, di portarsi scarpe comode, le volevo far fare un tour, che forse si
sarebbe rivelato simpatico.
Serena si fece trovare
puntuale all’appuntamento, scesa dall’autobus si diresse verso di me. Notai che
aveva seguito il mio consiglio, aveva dei mocassini rossi.
-Andrea ho fatto il più
presto possibile. –
-Sei stata puntualissima.
Andiamo a mangiare?- le proposi una panineria vicino la cattedrale. Avevamo
entrambi un notevole appetito, rimanemmo seduti a parlare del più e del meno
per un bel po’. Eravamo rilassati.
-Bene – dissi – ti propongo
un percorso per le vie del centro storico.-
- Alla faccia del
coprifuoco! – esclamò ridendo.
“Ma che si fotta questo
coprifuoco, e che si fottano anche tutti i giri di vite del mondo!” pensai.
-Prima cosa – dissi in tono
solenne – dobbiamo andare ai Candelai, dobbiamo prenderci un cervello di scimmia.
–
-Un cosa? – era sbigottita.
-Niente, fidati di me. –
La portai al solito locale,
dove ero stato mesi prima con Sergio, a servire c’era la solita ragazza del
Coyote Ugly.
Serena prima guardò con
sospetto quell’intruglio, un po’ perplessa dal bayles che immerso nella vodka
aveva l’aspetto di un cervelletto. Poi una volta provato se ne scolò altre tre
cicchetti.
Le guance le diventarono
rosse, cominciò a ridacchiare, vedendola così anche a me nacque spontanea una
risata, squadrò la ragazza dietro al bancone, poi guardò a me, non riusciva più
a trattenersi e continuò a ridere.
-Ora capisco perché mi hai
portata qui - disse indicandomela con lo
sguardo - e bravo il mio ragazzo, ma Sofia lo sa questo?-
-Andiamo – dissi tagliando
corto – ancora non siamo che all’inizio del nostro tour e già ti vedo mezza
finita. -
Attraversammo via Roma,
prendemmo la traversa che ci portava alla scalinata che dava sul mercato della Vucciria.
La piazza del mercato era
gremita di persone. Moltissimi ragazzi.
-Alla faccia del
coprifuoco!- Serena era proprio scatenata.
Mi diressi verso un bancone
dove si vendevano polpi bolliti.
-Lo vuoi un polpo?- le
chiesi.
-Sìì! – esclamò.
Il venditore ci chiese di
scegliere quale polipo volessimo, gliene indicammo uno piccolino, lo preso e lo
immerse in una pentola fumante per l’acqua che bolliva dentro. Dopo pochi
minuti eravamo già con lo nostro polipetto cotto tagliato e condito con una
spruzzata di limone.
Ma ancora c’era un altro
passaggio che dovevamo affrontare prima della sorpresa finale. Dall’altra parte
del mercato c’era una fiaschetteria che rimaneva aperta tutta la notte.
Entrammo, dentro, alle pareti trovammo grosse botti di legno. Mi avvicinai al
bancone, e chiesi due bicchieri di zibibbo.
-Due euro, grazie.- mi
disse l’oste porgendomi i bicchieri.
Serena gustò il vino, lo
trovava delizioso.
-Andrea un bicchiere di
vino a un euro! E pensare che quando esco con le mie amiche un cocktail con il
bicchiere pieno di ghiaccio lo pago minimo cinque euro!-
Ci spostammo verso il centro
della piazza - Guarda, ci pensi che qui ci abitavano antichissime famiglie
nobili di Palermo, come testimonia Palazzo Mazzarino. Qui si stanziarono
mercanti genovesi, pisani, Europei!-.
-La Vucciria, deriva dal
francese boucherie, che significa macelleria. In dialetto il nome ha anche il
significato di confusione, dovuto al fatto che qui la mattina quando il mercato
è aperto si sente una gran confusione di voci delle persone e delle grida dei
venditori che richiamano i passanti. Però Andrea, devo dire la verità non sono
mai stata qui di notte.-
-Seguimi - le dissi.
Prendemmo per via
Argenteria, la strada era buia, nell’oscurità gruppi di ragazzi e di turisti
vagavano senza meta. Via Argenteria di notte illuminata dal qualche vecchio
fanale che emanava una flebile luce giallastra e dal cielo stellato, era
straordinariamente bella e affascinante, la percorremmo tutta, passammo per il
Palazzo e la chiesa di Santa Eulalia, era una testimonianza dell’antica
presenza della comunità catalana in città. Stavamo percorrendo quella che una
volta era l’asse principale del quartiere della Loggia. Superammo il palazzo
dove ha sede l’Istituto Cervantes, famosa scuola di lingua spagnola.
- Mi stai facendo fare un
cammino iniziatico. E’ tutto così maledettamente magico. Non è che fai parte di
qualche Loggia, società segreta?- Serena era entusiasta. Come me del resto, era
la seconda volta che facevo quel percorso, ma mi dava le stesse sensazioni che
avevo provato la prima volta.
Percorsa la via Argenteria
giungemmo a piazza Garraffello, e lì lo stupore di Serena crebbe ancora di più.
La piazza era piena di
ragazzi, illuminata dalla luce proveniente dai locali che vi si affacciavano,
al centro la fontana Garraffa. Si sentiva rimbombare musica di vario genere,
hip hop, reggae, rock, la moltitudine era divisa in gruppetti di persone, ogni
gruppetto sentiva e ballava la propria. Palazzo Mazzarino formava un lato della
piazza, in alto c’era una vecchia insegna che sembrava sul punto di staccarsi e
riportava il nome di una banca, ma la cosa che spiccava era una grossa croce
rossa e la scritta sempre in rosso UWE e nel lato opposto alla croce TI AMA.
- Uwe Jaentsch è l’artista
che ha creato quella che possiamo definire la cattedrale di Palermo in versione
moderna. – Serena era contenta di quel posto di quell’atmosfera, lo ammetto non
sapevo nulla dell’origine di quella scritta e ben meno dell’artista che l’aveva
fatta, non sapevo nemmeno che fosse
opera di un artista. Così cercavo di seguire la spiegazione che la mia
amica mi stava dando, cercavo, perché la musica era ad un volume molto alto.
-Una cattedrale in versione
moderna – ripeté – l’artista austriaco, prese i cumuli di immondizia che ormai
si erano stratificati nella piazza e li posizionò all’interno di questi palazzi
che rimasero squarciati al seguito dei bombardamenti della Seconda Guerra
Mondiale. –
Vidi che effettivamente
ancora oggi i palazzi intorno alla piazza non erano stati ristrutturati, ciò
non era tanto anormale a Palermo, unica città europea che presentava in diversi
suoi punti i segni dei bombardamenti americani. Constatai anche che
l’immondizia, la sporcizia e l’abbandono erano ben visibili. “Che bella figura
che ci facciamo con i turisti.. Che bella figura che facciamo con noi stessi..”
Mi vennero ancora in mente le parole di Alessio “io non vivo a Palermo, io
vivo a casa mia”.
-Questa città, non si ama.
–
Aveva ragione nel dire
così. I palermitani amavano sotterrare i tesori sotto cumuli di immondizia,
tenere chiuso per diciotto anni un gioiello come il Teatro Massimo, il teatro
più grande d’Europa, nascondersi la vista del mare con case abusive o con
capannoni abbandonati, trasformare Piazza Politeama in una tendopoli,
abbandonare le periferie.. la lista di assurdità e paradossi era lunghissima.
-Vedi se questa città fosse
abitata da un altro popolo europeo? Serena, questa sarebbe la capitale del
Mediterraneo. –
Restammo ad ammirare quello
spettacolo per qualche minuto, in silenzio, assordandoci con la musica e il
chiasso che si diffondeva. “Meno male che doveva esserci il coprifuoco” pensai,
due giorni prima a pochi metri da quel posto si era consumato un tremendo
omicidio, ma nessuno in quel momento pareva più averne pensiero. Mi sembrò di
vedere un’ombra di un uomo dietro di noi, mi voltai di scatto, ma c’erano solo
ragazzi che ballavano. Serena si strinse a me e mi prese la mano, ebbi un
momento di imbarazzo, poi mi scostai un po’ da lei e le dissi –Cosa ne pensi di
spostarci, adesso verso zone dove i cocktail costano almeno cinque
euro? -
Rise annuendo e ci
incamminammo verso la macchina. Raggiungemmo Piazza Bologni dove nel pomeriggio
l’avevo lasciata, stavamo per entrare in auto, quando vidi in una vettura che
stava per immettersi in Corso Vittorio Emanuele, l’ingegnere Tommasini. Misi in
moto e partii a razzo.
-Ma cosa succede? Che hai
visto?-
-Non ci crederai, ma in
quella macchina ho visto Tommasini!-
-Ma che stai dicendo? Mi
hai detto che è partito, come può essere lui!-
-Ti giuro che è lui, è solo
ed è in quell’auto.-
Non riuscivo ad avvicinarmi
troppo alla vettura dell’ingegnere, c’era troppo traffico, e lui guidava in
modo spedito. Era chiaro che la sua intenzione era quella di uscire dal centro
città, si stava dirigendo verso la circonvallazione. Giungemmo in una strada
parallela a via Regione Siciliana, lo svincolo era prossimo, vidi che prima
dell’imbocco c’era un posto di blocco della polizia, un agente era piantato
davanti a noi con la paletta in mano, se non fermava la macchina di Tommasini
avrebbe fermato la nostra, ormai stava alzando la paletta. Fece passare la
prima macchina e fermò la nostra.
-Buonasera, patente e
libretto. - Intimò il poliziotto.
Chiesi a Serena di aprire
il cruscotto e di passarmi i documenti, la ragazza stava per scoppiare in una
risata fragorosa.
-Non ridere, che se ci fa
il test del palloncino non so come finisce. - Le sussurrai sorridendo.
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