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martedì 21 gennaio 2014

IL GIOCO DEL RAGNO CAPITOLO 16

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Decisi di recarmi a casa dell’ingegnere Tommasini solamente il giorno successivo.  Trascorsi la sera a guardare tutti i talk che parlavano dell’omicidio in tv. Se ne sentivano di tutti i colori, mafia, setta, serial killer, mitomane. In realtà non si capiva gran che, a Palermo un fatto simile non si era mai visto. Ed era anche chiaro che i due omicidi erano collegati, la stessa mano aveva compiuto i due delitti. Si cercava di scoprire se ci fossero dei legami tra le due vittime. Ma fino a quel momento non era emerso nulla. Palermo e i palermitani si trovarono di colpo sotto l’occhio dei media di tutto il mondo.
-Minchia importanti siamo!- Questa fu una tra le frasi emblematiche che venne  rilasciata da un cittadino ad un incredulo cronista giapponese.
Tanti furono anche i proclami delle autorità locali e nazionali sull’impegno per la cattura del criminale. Ci sarebbero stati giri di vite, ronde, se era il caso sarebbe intervenuto anche l’esercito per pattugliare le strade. Insomma le migliori menti investigative del Paese erano pronte ad intervenire da subito. Questo non sortì nessuno effetto sulla tranquillità della cittadinanza, anzi, il sindaco invitò gli abitanti di effettuare un auto coprifuoco. Entro la mezzanotte fu raccomandato, di lasciare le strade del centro storico. Fu lanciato anche un appello, se qualcuno sapeva era invitato a parlare!
Ci furono subito, tante segnalazioni di persone che avevano visto movimenti sospetti nei dintorni di piazza Rivoluzione. Chi giurava di aver visto una persona col mantello nero, incappucciato, in via Discesa dei Giudici, dirigersi verso la cattedrale, chi aveva subito un fermo da questa figura coperta dal mantello nero.
E siccome gli affari sono affari, e il dio denaro non guarda in faccia a nessuno erano apparse in qualche negozio di souvenir magliette con l’immagine di una figura nera che brandeva un coltello e la scritta in dialetto u mostro‘i Paliermo.
Sabato lavoravo solamente la mattina, pranzai a casa e alle cinque e mezza già ero a piazza Bologni dove posteggiai l’auto. Percorsi il breve tratto di corso Vittorio Emanuele che mi avrebbe portato al vicolo del Santissimo Salvatore. Il portone era chiuso, bussai più volte, non rispose nessuno, aspettai, riprovai a suonare il citofono niente, avevo perso le speranze, quando da un balcone adiacente al palazzo dove viveva Tommasini, si affacciò una vecchia donna in vestaglia, mi guardava stringendo gli occhi, doveva essere molto miope.
-Che cosa vuole? Chi cerca?-
-Buonasera, mi scusi cerco l’ingegnere Tommasini, ma a quanto pare..-
-Non c’è nessuno è inutile che suoni.- mi interruppe la donna.
-Ho capito. Lo aspetterò qui, grazie.-
-Ma qui dove? Non ha capito forse! L’ingegnere è partito, è andato da suo figlio, sono andati nel continente lui e la signora Rosa.-
-Anche la signora Rosa?-
-E si capisce! Che doveva restare a fare? Vogliono vendere la casa. Non torneranno più. Lo capisce? Ora rientro, prima che mi ammazzo con questo freddo. Buonasera! –
-Aspetti – gridai sperando che mi sentisse – ma quando sono partiti? –
- Mi pare lunedì. Ma lei chi è? Si vuole comprare l’appartamento?-
- No, no. Sono.. sono.. sono un amico di.. del figlio dell’ingegnere.- “Bella cazzata. Mi rendo conto che ne sto incominciando a sparare troppe!”
La signora non fece  caso a quello che avevo detto, probabilmente non mi aveva nemmeno sentito. Mi salutò con la mano e chiuse la finestra.
“Così sono partititi, lunedì, probabilmente avranno saputo solo oggi quello che è accaduto qua”. Mi chiedevo quale fosse stata la reazione dell’ingegnere quando aveva appreso la notizia, se mai avesse avuto una reazione.
Forse era stato spinto solamente dalla curiosità di conoscermi, forse non ricordava chi fosse Pasquale De Felice, tutto era ingigantito dalla mia immaginazione e dalla causalità. Ora lo vedevo a Gelsenkirchen seduto in poltrona in mezzo ai suoi nipoti. “Però che freddo che doveva fare lì in Germania” pensavo alla povera signora Rosa. Chissà se ha mai viaggiato, mi chiedevo. Rimaneva il fatto però che non sapevo chi e perché qualcuno mi avesse spiato e mandato quelle foto.
Prima di lasciare il vicolo lanciai un’ultima occhiata verso la finestra di casa Tommasini, e mi parve scorgere la tenda muoversi, chiusi gli occhi riguardai, “Ma niente, sarà stata solo un’impressione”.
Mi avviai verso via Maqueda, non avevo voglia di tornare a casa, volevo raggiungere il teatro Politeama, fare quattro passi, stranamente avevo la testa sgombra “Dopo tutto se non torna più e rimane da suo figlio, meglio per me. Perché, anche se dovesse essere in qualche modo coinvolto, in questa maniera, con l’ingegnere ormai fuori da Palermo, io che importanza potevo più avere nella faccenda?”, mentre mi auto convincevo che il pericolo fosse definitivamente archiviato ricevetti un messaggio da Serena. Mi chiedeva se avessi incontrato l’ingegnere. Le risposi di no, le scrissi anche di farsi trovare alle otto a piazza San Domenico, di portarsi scarpe comode, le volevo far fare un tour, che forse si sarebbe rivelato simpatico.
Serena si fece trovare puntuale all’appuntamento, scesa dall’autobus si diresse verso di me. Notai che aveva seguito il mio consiglio, aveva dei mocassini rossi.
-Andrea ho fatto il più presto possibile. –
-Sei stata puntualissima. Andiamo a mangiare?- le proposi una panineria vicino la cattedrale. Avevamo entrambi un notevole appetito, rimanemmo seduti a parlare del più e del meno per un bel po’. Eravamo rilassati.
-Bene – dissi – ti propongo un percorso per le vie del centro storico.-
- Alla faccia del coprifuoco! – esclamò ridendo.
“Ma che si fotta questo coprifuoco, e che si fottano anche tutti i giri di vite del mondo!” pensai.
-Prima cosa – dissi in tono solenne – dobbiamo andare ai Candelai, dobbiamo prenderci un cervello di scimmia. –
-Un cosa? – era sbigottita.
-Niente, fidati di me. –
La portai al solito locale, dove ero stato mesi prima con Sergio, a servire c’era la solita ragazza del Coyote Ugly.
Serena prima guardò con sospetto quell’intruglio, un po’ perplessa dal bayles che immerso nella vodka aveva l’aspetto di un cervelletto. Poi una volta provato se ne scolò altre tre cicchetti.
Le guance le diventarono rosse, cominciò a ridacchiare, vedendola così anche a me nacque spontanea una risata, squadrò la ragazza dietro al bancone, poi guardò a me, non riusciva più a trattenersi e continuò a ridere.
-Ora capisco perché mi hai portata qui -  disse indicandomela con lo sguardo - e bravo il mio ragazzo, ma Sofia lo sa questo?-
-Andiamo – dissi tagliando corto – ancora non siamo che all’inizio del nostro tour e già ti vedo mezza
finita. -
Attraversammo via Roma, prendemmo la traversa che ci portava alla scalinata che dava  sul mercato della Vucciria.
La piazza del mercato era gremita di persone. Moltissimi ragazzi.
-Alla faccia del coprifuoco!- Serena era proprio scatenata.
Mi diressi verso un bancone dove si vendevano polpi bolliti.
-Lo vuoi un polpo?- le chiesi.
-Sìì! – esclamò.
Il venditore ci chiese di scegliere quale polipo volessimo, gliene indicammo uno piccolino, lo preso e lo immerse in una pentola fumante per l’acqua che bolliva dentro. Dopo pochi minuti eravamo già con lo nostro polipetto cotto tagliato e condito con una spruzzata di limone.
Ma ancora c’era un altro passaggio che dovevamo affrontare prima della sorpresa finale. Dall’altra parte del mercato c’era una fiaschetteria che rimaneva aperta tutta la notte. Entrammo, dentro, alle pareti trovammo grosse botti di legno. Mi avvicinai al bancone, e chiesi due bicchieri di zibibbo.
-Due euro, grazie.- mi disse l’oste porgendomi i bicchieri.
Serena gustò il vino, lo trovava delizioso.
-Andrea un bicchiere di vino a un euro! E pensare che quando esco con le mie amiche un cocktail con il bicchiere pieno di ghiaccio lo pago minimo cinque euro!-
Ci spostammo verso il centro della piazza - Guarda, ci pensi che qui ci abitavano antichissime famiglie nobili di Palermo, come  testimonia  Palazzo Mazzarino. Qui si stanziarono mercanti genovesi, pisani, Europei!-.
-La Vucciria, deriva dal francese boucherie, che significa macelleria. In dialetto il nome ha anche il significato di confusione, dovuto al fatto che qui la mattina quando il mercato è aperto si sente una gran confusione di voci delle persone e delle grida dei venditori che richiamano i passanti. Però Andrea, devo dire la verità non sono mai stata qui di notte.-
-Seguimi - le dissi.
Prendemmo per via Argenteria, la strada era buia, nell’oscurità gruppi di ragazzi e di turisti vagavano senza meta. Via Argenteria di notte illuminata dal qualche vecchio fanale che emanava una flebile luce giallastra e dal cielo stellato, era straordinariamente bella e affascinante, la percorremmo tutta, passammo per il Palazzo e la chiesa di Santa Eulalia, era una testimonianza dell’antica presenza della comunità catalana in città. Stavamo percorrendo quella che una volta era l’asse principale del quartiere della Loggia. Superammo il palazzo dove ha sede l’Istituto Cervantes, famosa scuola di lingua spagnola.
- Mi stai facendo fare un cammino iniziatico. E’ tutto così maledettamente magico. Non è che fai parte di qualche Loggia, società segreta?- Serena era entusiasta. Come me del resto, era la seconda volta che facevo quel percorso, ma mi dava le stesse sensazioni che avevo provato la prima volta.
Percorsa la via Argenteria giungemmo a piazza Garraffello, e lì lo stupore di Serena crebbe ancora di più.
La piazza era piena di ragazzi, illuminata dalla luce proveniente dai locali che vi si affacciavano, al centro la fontana Garraffa. Si sentiva rimbombare musica di vario genere, hip hop, reggae, rock, la moltitudine era divisa in gruppetti di persone, ogni gruppetto sentiva e ballava la propria. Palazzo Mazzarino formava un lato della piazza, in alto c’era una vecchia insegna che sembrava sul punto di staccarsi e riportava il nome di una banca, ma la cosa che spiccava era una grossa croce rossa e la scritta sempre in rosso UWE e nel lato opposto alla croce TI AMA.
- Uwe Jaentsch è l’artista che ha creato quella che possiamo definire la cattedrale di Palermo in versione moderna. – Serena era contenta di quel posto di quell’atmosfera, lo ammetto non sapevo nulla dell’origine di quella scritta e ben meno dell’artista che l’aveva fatta, non sapevo nemmeno che fosse  opera di un artista. Così cercavo di seguire la spiegazione che la mia amica mi stava dando, cercavo, perché la musica era ad un volume molto alto.
-Una cattedrale in versione moderna – ripeté – l’artista austriaco, prese i cumuli di immondizia che ormai si erano stratificati nella piazza e li posizionò all’interno di questi palazzi che rimasero squarciati al seguito dei bombardamenti della Seconda Guerra Mondiale. –
Vidi che effettivamente ancora oggi i palazzi intorno alla piazza non erano stati ristrutturati, ciò non era tanto anormale a Palermo, unica città europea che presentava in diversi suoi punti i segni dei bombardamenti americani. Constatai anche che l’immondizia, la sporcizia e l’abbandono erano ben visibili. “Che bella figura che ci facciamo con i turisti.. Che bella figura che facciamo con noi stessi..” Mi vennero ancora in mente le parole di Alessio “io non vivo a Palermo, io vivo a casa mia”.
-Questa città, non si ama. –
Aveva ragione nel dire così. I palermitani amavano sotterrare i tesori sotto cumuli di immondizia, tenere chiuso per diciotto anni un gioiello come il Teatro Massimo, il teatro più grande d’Europa, nascondersi la vista del mare con case abusive o con capannoni abbandonati, trasformare Piazza Politeama in una tendopoli, abbandonare le periferie.. la lista di assurdità e paradossi era lunghissima.
-Vedi se questa città fosse abitata da un altro popolo europeo? Serena, questa sarebbe la capitale del Mediterraneo. –
Restammo ad ammirare quello spettacolo per qualche minuto, in silenzio, assordandoci con la musica e il chiasso che si diffondeva. “Meno male che doveva esserci il coprifuoco” pensai, due giorni prima a pochi metri da quel posto si era consumato un tremendo omicidio, ma nessuno in quel momento pareva più averne pensiero. Mi sembrò di vedere un’ombra di un uomo dietro di noi, mi voltai di scatto, ma c’erano solo ragazzi che ballavano. Serena si strinse a me e mi prese la mano, ebbi un momento di imbarazzo, poi mi scostai un po’ da lei e le dissi –Cosa ne pensi di spostarci, adesso verso zone dove i cocktail costano almeno cinque
euro? -  
Rise annuendo e ci incamminammo verso la macchina. Raggiungemmo Piazza Bologni dove nel pomeriggio l’avevo lasciata, stavamo per entrare in auto, quando vidi in una vettura che stava per immettersi in Corso Vittorio Emanuele, l’ingegnere Tommasini. Misi in moto e partii a razzo.
-Ma cosa succede? Che hai visto?-
-Non ci crederai, ma in quella macchina ho visto Tommasini!-
-Ma che stai dicendo? Mi hai detto che è partito, come può essere lui!-
-Ti giuro che è lui, è solo ed è in quell’auto.-
Non riuscivo ad avvicinarmi troppo alla vettura dell’ingegnere, c’era troppo traffico, e lui guidava in modo spedito. Era chiaro che la sua intenzione era quella di uscire dal centro città, si stava dirigendo verso la circonvallazione. Giungemmo in una strada parallela a via Regione Siciliana, lo svincolo era prossimo, vidi che prima dell’imbocco c’era un posto di blocco della polizia, un agente era piantato davanti a noi con la paletta in mano, se non fermava la macchina di Tommasini avrebbe fermato la nostra, ormai stava alzando la paletta. Fece passare la prima macchina e fermò la nostra.
-Buonasera, patente e libretto. - Intimò il poliziotto.
Chiesi a Serena di aprire il cruscotto e di passarmi i documenti, la ragazza stava per scoppiare in una risata fragorosa.

-Non ridere, che se ci fa il test del palloncino non so come finisce. - Le sussurrai sorridendo.

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