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martedì 7 gennaio 2014

IL GIOCO DEL RAGNO CAPITOLO 14

                                           14

Quella mattina di fine Febbraio, non potrò mai più scordarla. Quando appresi la notizia caddi in una sorta di stato di incoscienza, svolgevo le mie mansioni meccanicamente, completamente estraniato dal mondo esterno. L’ufficio postale era pieno, ma mai così silenzioso come quel giorno. Si sentiva un mormorio in sottofondo, le persone si scambiavano opinioni e particolari su quello che era successo la notte prima.
Fu Silvano a darmi la notizia. Lo trovai più eccitato del solito, attorno a lui c’erano Marta e il direttore, appena mi vide entrare mi disse – Hai sentito un altro omicidio, stavolta il cadavere è stato ritrovato a piazza della Rivoluzione, accanto alla statua del Genio. –
“Un altro omicidio? Dio fa che non sia accaduto quello che penso”.
Invece appena seppi chi era stato ucciso rimasi di sale. Non dissi niente, mi misi subito al lavoro, ero immerso nei miei pensieri. “Ma perché uccidere una persona come il professore?”
Quel che più mi tormentava era la certezza di essermi infilato in una storia pericolosa. Non sapevo quanto ormai ne fossi coinvolto, se ne potevo ancora uscire. La cosa più importante era togliere Serena fuori dal pericolo, doveva restarne fuori, dovevamo restarne fuori, mi corressi.
Ogni tanto seguivo qualche discorso delle persone che aspettavano il loro turno, non avevo fatto attenzione ai dettagli dell’omicidio. Mi bastò solamente il nome della vittima per rabbrividire e chiudermi in me stesso. I dettagli erano orridi, alla vittima era stato squarciato lo stomaco, era morto dissanguato, gli organi interni tirati fuori, era stato marchiato sul petto da un ferro che  aveva lasciato un segno a forma di croce. E per prendersi beffa del cadavere l’assassino aveva messo sul capo della vittima una corona di ferro dorata. Non vennero trovati documenti, anche se questo non ostacolò l’identificazione dell’uomo assassinato; era una persona conosciuta. Nella tasca del pantalone fu rinvenuto un foglio, su cui a penna con inchiostro blu  era scritto:

Stirpe nata dalla terra nel cui ventre scorrono tre fiumi ecco il vostro re! Commemoratelo!

Un uomo brizzolato con grossi baffoni ad un certo punto sbottò – Questi ci vogliono fare fuori, è chiaro che si rivolgono a tutti i palermitani. Ve lo dico io è la malavita cinese che ci minaccia! –
Silvano intervenne - Ma perché si parla di tre fiumi? Qui da noi c’è un solo fiume, se proprio dobbiamo chiamarlo così, l’Oreto! –
-Eh no! – era la voce del direttore – Palermo in origine aveva almeno altri due fiumi, l’Oreto, il Papireto e il Kemonia. Gli ultimi due sono stati interrati alla fine dell’Ottocento. –
Le discussioni continuavano, non avevo nemmeno la forza di seguirle, procedevo silenzioso col lavoro, quando vidi entrare Serena.
Si vedeva chiaramente che era provata; era pallida, mi cercava con lo sguardo, le feci segno e si avvicino al mio sportello.
-E’ morto – aveva la voce rotta dall’emozione – è morto il professor De Felice. –
- Vieni -  dissi, abbandonai la postazione, la portai fuori, ci abbracciamo le dissi che ero rimasto pure io sconvolto, le chiesi di aspettare ancora qualche minuto, stavo per terminare il turno, e  potevamo pranzare insieme.
- Dobbiamo parlare, ci sono alcune cose che devo dirti. -
Dovevo raccontarle tutta la storia, dirle della lettera che avevo ricevuto. Mi disse che mi avrebbe aspettato per l’una e mezza alla tavola calda lì vicino.
Finito di lavorare, mi precipitai all’appuntamento, dove la trovai, indossava grossi occhiali da sole che le coprivano gran parte del viso.
Ci dirigemmo a un tavolo isolato, prendemmo posto.
Serena allungò le braccia e mi strinse le mani, le aveva gelate.
Le raccontai tutto. Si tolse gli occhiali, aveva gli occhi rossi.
–Andrea ho paura, ho paura per te. Hai visto come hanno ridotto il professore? –
-Sì, De Felice ci ha mentito, avevi ragione tu. Sapeva qualcosa sulla morte di Leone. Ci ha fatto quei discorsi per apparire  svampito. In più gli hanno bruciato la casa, ci deve essere una storia, un segreto che riguarda lui l’ingegnere Leone e forse altre persone, che non deve venir fuori. -
-Pensi allora che sia coinvolto anche l’ingegnere Tommasini?-
-Non lo so, forse è davvero solo un caso che siano morte due persone su quattro presenti in quella foto. O forse no. E visto le cose che ti ho raccontato qualche sospetto ce l’ho. –
-Ma allora, non andare da lui. Potrebbe essere coinvolto o potresti rimanere coinvolto. Non andare, butta quella foto, ho la sensazione che quegli uomini nascondano qualcosa di terribile. –
Ripensai un attimo all’immagine del cadavere di De Felice che avevo visto poco prima sul giornale. “Morto dissanguato” rabbrividii e gli avevano anche bruciato l’appartamento.
Serena diceva bene, nascondevano qualcosa, qualcosa di macabro. E poi cosa significava quel biglietto rivolto alla cittadinanza? “Ma re di cosa?”
Il padrone della tavola calda accese la televisione, i media si lanciarono sulla notizia, salotti televisivi pieni di criminologi, ospiti vip che intervenivano sull’argomento e giornalisti eccitati e increduli che lanciavano collegamenti con Palermo. Intervistavano passanti, studenti, gente della zona. Nessuno aveva visto niente. Si cercava di capire chi fosse la vittima, se ci potevano essere collegamenti con il primo omicidio. E di collegamenti ce ne erano tanti, ammazzati tutti e due mediante un’ arma da taglio, abbandonati per strada sotto due simboli della città. E poi la presenza di quella croce.
L’assassino aveva lasciato la sua firma. Ormai era certo che si trattasse di un killer seriale. Si sarebbe fermato? E che messaggio voleva lasciare alla cittadinanza? Era una setta che si rifaceva ai Beati Paoli? Era solamente l’azione di un mentecatto? Si vedeva una piazza Rivoluzione invasa da telecamere e da curiosi. E al centro di tutto la fontana del Genio avvolto in un mantello seduto sopra una roccia con la corona in testa un serpente che gli stringe con le sue spire il corpo, il serpente si nutre al suo petto e lo sguardo rivolto verso il cielo. Era da sempre identificato come il protettore laico della città. La Piazza, conosciuta anche come Piano della Fiera Vecchia accoglieva in precedenza una fontana dedicata a Cerere, solamente nel 1687 a seguito dello spostamento del monumento dedicato a Cerere alla passeggiata della Marina, il Genio fu posto al centro della piazza su un piedistallo marmoreo. Dopo la soppressione del Regno di Sicilia, con i moti del 1820 e del 1848 la piazza fu teatro di sommosse: il popolo si radunava intorno alla statua per protestare contro i Borbone. I rivoluzionari ammantavano il Genio del tricolore, rendendo il nume personificazione della città e simbolo del desiderio palermitano di libertà. Divenne quindi una figura complementare alla protettrice religiosa di Palermo, Santa Rosalia. Questa statua marmorea sembrava riacquisire una popolarità che superava i confini dell’isola.
Erano tornati i Beati Paoli? La città era elettrizzata, tutti si erano scordati che alla base di tutto c’era stata una vittima uccisa in modo atroce, un uomo che aveva fatto una morte lenta e dolorosa, dissanguato e con gli organi che fuoriuscivano dalla pelle. E come per la morte dell’ingegnere Leone, si trattava di una persona incensurata, istruita, un architetto che insegnava all’università di Palermo. Una persona tranquilla, abitudinaria, un po’ perso nei suoi discorsi che a volte sembravano sconclusionati. Ripensavo all’incontro che avevo avuto con lui a Gennaio. Quella guerra tra scienza e religione che si stava combattendo. Ma per il resto quell’uomo, l’unico vizio che poteva avere era di essere un grande mangiatore. Non aveva famiglia, viveva da solo in un appartamento in centro. Quell’appartamento che era stato incendiato, probabilmente dalla stessa mano che l’aveva ucciso, per cancellare delle prove, forse cose che appartenevano ad un passato ingombrante e compromettente. Sì, l’assassino voleva eliminare ogni traccia di questo passato. Io davo fastidio, perché sicuramente ero entrato in qualcosa di pericoloso, forse ero l’unico, oltre ai protagonisti di questo fatto di sangue, che poteva avere una vaga idea di quello che stava accadendo. E Tommasini sapeva! Dovevo parlare con lui, sperando che non fosse uno dei membri di questa setta che stava seminando terrore. Non dovevo dire le mie vere intenzioni a Serena, per non farle correre maggiori rischi, sarei andato a casa dell’ingegnere oggi stesso, appena finito di lavorare, gli avrei parlato chiaramente, lo avrei messo in guardia e sarei uscito definitivamente da questa storia.
Ci alzammo, pagai il conto, prima di tornare in ufficio, le dissi che la cosa migliore sarebbe stata quella di dimenticare tutta questa storia, che avrei spedito in maniera anonima la foto all’ingegnere, così facendo, forse non avrei avuto più problemi.
-Andrea, stai attento – disse, sembrava sapesse che le avevo appena mentito, gli occhi le diventarono lucidi. Quella donna sapeva leggermi nell’anima.

        

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