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Quella mattina di fine
Febbraio, non potrò mai più scordarla. Quando appresi la notizia caddi in una
sorta di stato di incoscienza, svolgevo le mie mansioni meccanicamente,
completamente estraniato dal mondo esterno. L’ufficio postale era pieno, ma mai
così silenzioso come quel giorno. Si sentiva un mormorio in sottofondo, le
persone si scambiavano opinioni e particolari su quello che era successo la
notte prima.
Fu Silvano a darmi la
notizia. Lo trovai più eccitato del solito, attorno a lui c’erano Marta e il
direttore, appena mi vide entrare mi disse – Hai sentito un altro omicidio,
stavolta il cadavere è stato ritrovato a piazza della Rivoluzione, accanto alla
statua del Genio. –
“Un altro omicidio? Dio fa
che non sia accaduto quello che penso”.
Invece appena seppi chi era
stato ucciso rimasi di sale. Non dissi niente, mi misi subito al lavoro, ero
immerso nei miei pensieri. “Ma perché uccidere una persona come il professore?”
Quel che più mi tormentava
era la certezza di essermi infilato in una storia pericolosa. Non sapevo quanto
ormai ne fossi coinvolto, se ne potevo ancora uscire. La cosa più importante
era togliere Serena fuori dal pericolo, doveva restarne fuori, dovevamo
restarne fuori, mi corressi.
Ogni tanto seguivo qualche
discorso delle persone che aspettavano il loro turno, non avevo fatto
attenzione ai dettagli dell’omicidio. Mi bastò solamente il nome della vittima
per rabbrividire e chiudermi in me stesso. I dettagli erano orridi, alla
vittima era stato squarciato lo stomaco, era morto dissanguato, gli organi
interni tirati fuori, era stato marchiato sul petto da un ferro che aveva lasciato un segno a forma di croce. E
per prendersi beffa del cadavere l’assassino aveva messo sul capo della vittima
una corona di ferro dorata. Non vennero trovati documenti, anche se questo non
ostacolò l’identificazione dell’uomo assassinato; era una persona conosciuta.
Nella tasca del pantalone fu rinvenuto un foglio, su cui a penna con inchiostro
blu era scritto:
Stirpe nata dalla terra
nel cui ventre scorrono tre fiumi ecco il vostro re! Commemoratelo!
Un uomo brizzolato con
grossi baffoni ad un certo punto sbottò – Questi ci vogliono fare fuori, è
chiaro che si rivolgono a tutti i palermitani. Ve lo dico io è la malavita
cinese che ci minaccia! –
Silvano intervenne - Ma
perché si parla di tre fiumi? Qui da noi c’è un solo fiume, se proprio dobbiamo
chiamarlo così, l’Oreto! –
-Eh no! – era la voce del
direttore – Palermo in origine aveva almeno altri due fiumi, l’Oreto, il
Papireto e il Kemonia. Gli ultimi due sono stati interrati alla fine
dell’Ottocento. –
Le discussioni
continuavano, non avevo nemmeno la forza di seguirle, procedevo silenzioso col
lavoro, quando vidi entrare Serena.
Si vedeva chiaramente che
era provata; era pallida, mi cercava con lo sguardo, le feci segno e si
avvicino al mio sportello.
-E’ morto – aveva la voce
rotta dall’emozione – è morto il professor De Felice. –
- Vieni - dissi, abbandonai la postazione, la portai
fuori, ci abbracciamo le dissi che ero rimasto pure io sconvolto, le chiesi di
aspettare ancora qualche minuto, stavo per terminare il turno, e potevamo pranzare insieme.
- Dobbiamo parlare, ci sono
alcune cose che devo dirti. -
Dovevo raccontarle tutta la
storia, dirle della lettera che avevo ricevuto. Mi disse che mi avrebbe
aspettato per l’una e mezza alla tavola calda lì vicino.
Finito di lavorare, mi
precipitai all’appuntamento, dove la trovai, indossava grossi occhiali da sole
che le coprivano gran parte del viso.
Ci dirigemmo a un tavolo isolato,
prendemmo posto.
Serena allungò le braccia e
mi strinse le mani, le aveva gelate.
Le raccontai tutto. Si
tolse gli occhiali, aveva gli occhi rossi.
–Andrea ho paura, ho paura
per te. Hai visto come hanno ridotto il professore? –
-Sì, De Felice ci ha
mentito, avevi ragione tu. Sapeva qualcosa sulla morte di Leone. Ci ha fatto
quei discorsi per apparire svampito. In
più gli hanno bruciato la casa, ci deve essere una storia, un segreto che
riguarda lui l’ingegnere Leone e forse altre persone, che non deve venir fuori.
-
-Pensi allora che sia
coinvolto anche l’ingegnere Tommasini?-
-Non lo so, forse è davvero
solo un caso che siano morte due persone su quattro presenti in quella foto. O
forse no. E visto le cose che ti ho raccontato qualche sospetto ce l’ho. –
-Ma allora, non andare da
lui. Potrebbe essere coinvolto o potresti rimanere coinvolto. Non andare, butta
quella foto, ho la sensazione che quegli uomini nascondano qualcosa di
terribile. –
Ripensai un attimo
all’immagine del cadavere di De Felice che avevo visto poco prima sul giornale.
“Morto dissanguato” rabbrividii e gli avevano anche bruciato l’appartamento.
Serena diceva bene,
nascondevano qualcosa, qualcosa di macabro. E poi cosa significava quel
biglietto rivolto alla cittadinanza? “Ma re di cosa?”
Il padrone della tavola
calda accese la televisione, i media si lanciarono sulla notizia, salotti
televisivi pieni di criminologi, ospiti vip che intervenivano sull’argomento e
giornalisti eccitati e increduli che lanciavano collegamenti con Palermo.
Intervistavano passanti, studenti, gente della zona. Nessuno aveva visto
niente. Si cercava di capire chi fosse la vittima, se ci potevano essere
collegamenti con il primo omicidio. E di collegamenti ce ne erano tanti,
ammazzati tutti e due mediante un’ arma da taglio, abbandonati per strada sotto
due simboli della città. E poi la presenza di quella croce.
L’assassino aveva lasciato
la sua firma. Ormai era certo che si trattasse di un killer seriale. Si sarebbe
fermato? E che messaggio voleva lasciare alla cittadinanza? Era una setta che
si rifaceva ai Beati Paoli? Era solamente l’azione di un mentecatto? Si vedeva
una piazza Rivoluzione invasa da telecamere e da curiosi. E al centro di tutto
la fontana del Genio avvolto in un mantello seduto sopra una roccia con la
corona in testa un serpente che gli stringe con le sue spire il corpo, il
serpente si nutre al suo petto e lo sguardo rivolto verso il cielo. Era da
sempre identificato come il protettore laico della città. La Piazza, conosciuta
anche come Piano della Fiera Vecchia accoglieva in precedenza una fontana
dedicata a Cerere, solamente nel 1687 a seguito dello spostamento del monumento
dedicato a Cerere alla passeggiata della Marina, il Genio fu posto al centro
della piazza su un piedistallo marmoreo. Dopo la
soppressione del Regno di Sicilia, con i moti del 1820 e del
1848 la piazza fu teatro di sommosse: il popolo si radunava intorno alla
statua per protestare contro i Borbone. I rivoluzionari ammantavano il
Genio del tricolore, rendendo il nume personificazione della città e
simbolo del desiderio palermitano di libertà. Divenne quindi una figura
complementare alla protettrice religiosa di Palermo, Santa Rosalia. Questa
statua marmorea sembrava riacquisire una popolarità che superava i confini dell’isola.
Erano tornati i
Beati Paoli? La città era elettrizzata, tutti si erano scordati che alla base
di tutto c’era stata una vittima uccisa in modo atroce, un uomo che aveva fatto
una morte lenta e dolorosa, dissanguato e con gli organi che fuoriuscivano
dalla pelle. E come per la morte dell’ingegnere Leone, si trattava di una
persona incensurata, istruita, un architetto che insegnava all’università di
Palermo. Una persona tranquilla, abitudinaria, un po’ perso nei suoi discorsi
che a volte sembravano sconclusionati. Ripensavo all’incontro che avevo avuto
con lui a Gennaio. Quella guerra tra scienza e religione che si stava
combattendo. Ma per il resto quell’uomo, l’unico vizio che poteva avere era di
essere un grande mangiatore. Non aveva famiglia, viveva da solo in un
appartamento in centro. Quell’appartamento che era stato incendiato,
probabilmente dalla stessa mano che l’aveva ucciso, per cancellare delle prove,
forse cose che appartenevano ad un passato ingombrante e compromettente. Sì,
l’assassino voleva eliminare ogni traccia di questo passato. Io davo fastidio,
perché sicuramente ero entrato in qualcosa di pericoloso, forse ero l’unico,
oltre ai protagonisti di questo fatto di sangue, che poteva avere una vaga idea
di quello che stava accadendo. E Tommasini sapeva! Dovevo parlare con lui,
sperando che non fosse uno dei membri di questa setta che stava seminando
terrore. Non dovevo dire le mie vere intenzioni a Serena, per non farle correre
maggiori rischi, sarei andato a casa dell’ingegnere oggi stesso, appena finito
di lavorare, gli avrei parlato chiaramente, lo avrei messo in guardia e sarei
uscito definitivamente da questa storia.
Ci alzammo,
pagai il conto, prima di tornare in ufficio, le dissi che la cosa migliore
sarebbe stata quella di dimenticare tutta questa storia, che avrei spedito in
maniera anonima la foto all’ingegnere, così facendo, forse non avrei avuto più
problemi.
-Andrea, stai
attento – disse, sembrava sapesse che le avevo appena mentito, gli occhi le
diventarono lucidi. Quella donna sapeva leggermi nell’anima.
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