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martedì 10 dicembre 2013

IL GIOCO DEL RAGNO CAPITOLO 9

                                                   9

Quando Serena suonò alla mia porta, io già ero pronto da parecchie ore, ero rimasto tutta la notte sveglio come uno scemo, col foglio che avevo trovato in mano. Ero distrutto, pallido e con due occhiaie che non finivano mai. Decisi di tenere per me quello che era successo durante la notte, Serena si sarebbe preoccupata inutilmente, e poi non sapevo bene cosa le avrei dovuto raccontare. In quel momento avevo solo incertezze, invidiavo il mio maniaco che sosteneva sapere chi fossi “Beato lui che ha tutte queste certezze”. Prima di aprire la porta mi guardai allo specchio “Perfetto, spero non le prenda un colpo, sembro un morto.” Aprii e sfoderai il mio migliore sorriso.
      Ciao Serena, buongiorno! – esclamai – Sono pronto! Possiamo andare, sono proprio curioso di conoscere questo professore. –
“ Una curiosità che non puoi capire!” in realtà mi interessava poco e niente, ma avevo bisogno di uscire e distrarmi, e mi faceva piacere passare una giornata con lei.
 – Andrea, andiamo, presto, la lezione inizia alle dodici. La cosa mi eccita 
parecchio. – 
Si vedeva proprio che era gasata, c’era odore di avventura, e di mistero.
Riuscimmo ad arrivare in orario, mancavano dieci minuti a mezzogiorno.
      La lezione si deve tenere qua, aula anfiteatro F150 – disse mostrandomi uno dei suoi soliti simpatici sorrisi. Ci sistemammo in alto, l’aula non era molto gremita, era una materia complementare mi spiegò Serena, quindi non molto frequentata.
Il professore si presentò puntuale all’inizio dell’ora, appariva completamente diverso da quello che avrebbe dovuto essere lui da giovane. 
-       Prendi la foto -  mi intimò la mia amica. Estrassi la foto dalla tasca del giubbotto e
gliela passai, la esaminò con attenzione, poi si avvicinò al mio orecchio e mi sussurrò la sua sentenza – Per me è lui, guarda il taglio degli occhi. –
Ripresi la foto, la confrontai con la silhouette e col viso del professore. Certo se era lui, il tempo lo aveva completamente trasformato. Il professore De Felice ora era un uomo molto grasso, quasi completamente stempiato, portava due baffi bianchi ben curati, sembravano quelli di Vittorio Emanuele, indossava un paio di occhiali tondi che accentuavano la rotondità del suo viso, vestiva in maniera molto classica, un abito chiaro con pochet viola e papillon con pois bianchi.
-Ma sei sicura che gli somiglia? -  chiesi perplesso, Serena si avvicinò e mi sussurrò
– Ti dico che per me è lui, ripeto, guarda il taglio degli occhi. –
“Boh, le donne hanno sempre più certezze di noi maschi, lo chiamano sesto senso”.
 La lezione mi risultava un po’ noiosa, stava parlando degli acquedotti romani, il sonno cominciava a farsi sentire, ed aumentò quando vennero oscurate le vetrate per mostrare delle diapositive “ora c’è l’atmosfera giusta per dormire” pensai. Serena mi diede un colpetto al braccio, e mi fece un sorriso.
      Sembri stanco, è la lezione o ieri sera non hai dormito? Hai pensato alla tua 
bella? –
A quella battuta mi ricordai del sogno che avevo fatto la sera prima.
 “Vero, devo chiamare Sofia, le voglio chiedere come sta. Il sogno di ieri è stato stranissimo”
 – Eh? Ma no che dici! È la lezione che mi mette sonno – dissi strizzandole l’occhio.
 Terminata l’ora, Serena, veloce come un fulmine si precipitò giù verso la cattedra, mi fece cenno di seguirla, aspettammo che il capanno di studenti attorno a lui si fosse dileguato e lo raggiungemmo in strada.
      Professore, aspetti – urlò quasi Serena, il professore si fermo e si girò con aria
interrogativa.
– Professore, salve, ci scusi, avremmo una cosa da chiederle. - 
- Va bene – rispose – ma sapete, che ci sono anche i giorni in cui ricevo di pomeriggio, e mi potete chiedere qualsiasi cosa sul programma. Comunque, vi ascolto, riguarda la spiegazione di oggi? Non vi ho mai notato a lezione. -  
-Ecco professore - rispose Serena – veramente, noi non siamo suoi alunni e non seguiamo il suo corso. E ciò che vorremmo chiederle non riguarda la sua materia. –
Il professore, si grattò il mento si aggiustò gli occhiali, guardò l’orologio e disse,
– Bene, vi ascolto, però dirigiamoci verso il bar, è l’una e vorrei prendermi un 
caffè. –
-Professore – iniziò la mia amica - ho trovato per caso, tra le vecchie carte di un mio zio, che è morto da poco, questa foto. –
Tirò fuori dalla giacca la foto e gliela porse.
-Ecco, volevo sapere se questo ragazzo indicato col suo nome sia lei o se invece si tratta di un caso di omonimia. –
Il professore la esaminò con attenzione poi restituì la foto a Serena che se la rimise in tasca – No, non sono io, forse un mio cugino, dovrei avere un cugino omonimo. Ma, posso chiederle una cosa? –
-Certo. –
– Lei per caso è la nipote dell’ingegner Leone? Quell’ingegner Leone? –
- Si - rispose secca, la guardai con sgomento “ Ma che cavolo sta dicendo?”, mi gettò uno sguardo divertito – Si, sono una delle nipoti dell’ingegnere ucciso a Novembre scorso, avevo trovato questa foto e volevo incontrare queste persone indicate nella foto per parlarle di mio zio, non lo conoscevo bene, avrei voluto sentire racconti su di lui da persone che lo hanno conosciuto. Purtroppo a quanto pare ho fatto un buco nell’acqua. – Il professore si grattò di nuovo il mento – Io – disse – non lo conoscevo, non posso nemmeno dire se sia lui o meno in quella foto. però – continuò con un po’ di imbarazzo – il caso del suo omicidio mi ha destato tanta curiosità, devo ammetterlo. –
- Eh si professore, ne continuano a parlare ovunque. – tentò di farlo uscire dall’imbarazzo Serena.
Giunti al bar, mi schiarii la voce, fino a quel momento non avevo aperto bocca – Professore, posso offrirle qualcosa? – dissi.
– Grazie, si accetto volentieri. – rispose
- Cosa posso offrirle? –
– Un’ arancina alla carne e una coca cola dovrebbero andare bene. – rispose.
“Alla faccia di prendo solo un caffè”, poi mi rivolsi a Serena – Tu cosa prendi? –
- Per me un caffè, grazie Andrea. –
Si sedettero ad un tavolino, io andai a prendere le consumazioni “ E’ l’una e mezza, prendo un'altra arancina al burro e mangio pure io.”
-Ecco a voi – misi le ordinazioni sul tavolo, il professore si getto avidamente sul pacchetto che conteneva le arancine, agguantò quella alla carne, e in un morso ne mangiò quasi metà.
 – Oh grazie, vedo che mi ha preso anche quella al burro. Non doveva, ma la mangerò con piacere. –
“E infatti non dovevo!” mi riempii un bicchiere d’acqua e continuai ad ascoltare i due.
-Come le stavo dicendo -  proseguì il professore – l’omicidio di suo zio mi ha destato molta curiosità. Per le modalità con cui è stato ucciso, per i segni che portava in corpo e il luogo dove è stato trovato. Ho pensato che non poteva essere un normale omicidio. – “Cosa intende per normale, questo pappone, lo sa solo lui.”
– Sapete a cosa riconduco l’omicidio di Leone? – chiese, mentre prendeva tra le mani la seconda arancina,
- A cosa? – chiedemmo all’unisono io e Serena
 – Ad una lotta tra religione e scienza, in questo caso il primo colpo l’ha assestato la religione alla scienza! –
Serena lo fissò dubbiosa -  Lei vuole dire, che siamo di fronte alla resa dei conti tra due sette di fanatici? Una religiosa e una positivista?- disse Serena. “Sto per scoppiare a ridere,”
- In qualche modo si – rispose il professore – sapete dov’è stato trovato il cadavere? davanti la fontana di piazza Pretoria, quella fontana si chiama fontana della Vergogna. Non solo perché sono raffigurate statue di uomini nudi. Ma perché quella fontana fu voluta dal Senato siciliano, da persone illuminate, che ispirate dal clima culturale che si stava diffondendo in Europa,  l’acquistarono da una villa in Toscana e la posizionarono proprio davanti alla sede del Senato, in mezzo a  famose chiese delle città, con la sua geometria che ricordava la forma del sistema riproduttivo femminile, composta da dei pagani nudi, rappresentava uno schiaffo alle gerarchie ecclesiastiche cittadine. –
“Questo è pazzo” – Mi scusi. – lo interruppi – Ma se così fosse, si tratta di vicende di almeno tre secoli fa, ora uno scontro tra scienza e fede a Palermo mi pare non ci sia, anche perché di scienza ce n’è ben poca in questa città. –
Il professore si scolò la coca cola, si fece una risata e disse – è vero, questa città intellettualmente parlando è più morta di una mummia egizia, comunque non scordiamoci, che il fanatismo è ben diverso dalla cultura, e il fanatismo non muore mai, ed è sempre presente. Comunque se ne volete sapere di più venite a trovarmi in studio qui in facoltà, mi piacerebbe continuare la discussione con voi. –
Guardò l’ora e si congedò da noi – Ora devo scappare, mia sorella mi starà aspettando per il pranzo. Mi ha invitato! Ah questi parenti che seccatura! E’ stato un piacere. E mi dispiace ancora per suo zio – disse rivolgendosi a Serena.
Io e Serena rimanemmo a fissarci per un minuto, eravamo entrambi sbigottiti.
-Bene – esclamai -  ecco un altro pazzo! Non ho capito nulla di quello che ha detto, so solo che ci ha scroccato la merenda, e che la persona nella foto non è lui. –
Serena scosse testa – No Andrea, è lui, è lui, fidati del mio sesto senso. –

- Ma perché dirci una bugia allora? – le chiesi. La mia amica si alzò prese la borsa e disse – Beh, forse non vuole essere invischiato in questa storia, forse non si fida di noi. Comunque dai alzati! Dobbiamo andare! - -Dove? – chiesi – Ma a fare la spesa per la cena di stasera, sei ufficialmente invitato a casa mia! O magari sei pieno per le arancine che non hai mangiato? – dopo queste parole, ci fu una risata spontanea da parte di entrambi – Accetto, ho ancora qualche spazio libero nello stomaco, e sia! andiamo a fare la spesa, e occhi aperti! siamo sempre in mezzo ad una guerra tra religiosi e scienziati! – nuove risate si aggiunsero alla vecchie, e altre ancora ne presero posto.

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