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martedì 3 dicembre 2013

CAPITOLO 8 IL GIOCO DEL RAGNO

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Le vacanze natalizie passarono in fretta, lasciando nei palermitani un ricordo delle giocate con parenti e amici, qualche chilo in più e portafogli più leggeri.
Era sempre un Natale che la cittadinanza aspettava con trepidazione, non erano le classiche festività vissute come le vivono le popolazioni del nord Europa, canti neve addobbi fino all’eccesso. È un Natale particolare, il nostro
Gli studenti finalmente, disoccupano le scuole. Le loro proteste cessano. Proteste che iniziano la metà di Novembre e che terminano il venti Dicembre. Ormai questo è un rito ben consolidato, ogni venti Dicembre tutti i problemi che la scuola vive, magicamente spariscono.
Le famiglie ricevono le tanto sospirate tredicesime, ei commercianti si preparano ad accogliere, addobbando la città di luci e Babbi Natali festanti, i sospirati incassi. I centri commerciali si riempiono e il traffico nelle strade va in tilt.
È il periodo delle giocate, delle nottate trascorse a giocare a baccarat, degli sfincioni mangiati in famiglia, degli elettrodomestici e delle televisioni comprate a rate.
Anche il clima dà il suo contributo al distinguo tra il nostro e gli altri natali, il venticinque di Dicembre si toccarono i venticinque gradi e il trentuno si arrivò ai ventinove. Insomma tutto nella normalità, la gente stava anche cominciando a dimenticare l’omicidio dell’ingegnere Leone, complice anche il fatto che i media avevano messo un po’ da parte questa vicenda, per dedicarsi ad un altro fatto di cronaca che stava interessando il Paese, la sparizione di un bambino.
La cronaca, stava lasciando il posto alle leggende. Per molti l’assassinio dell’ingegnere, in realtà non presentava più interesse.
Non era trapelato nulla di particolare sulla sua vita, delitto bollato come una rapina finita nel modo peggiore, o forse una storia di corna, o boh chissà.. però c’è chi sosteneva anche che si poteva trattare di una setta, si parlava di nuovi Beati Paoli, c’era chi giurava di aver visto personaggi incappucciati aggirarsi durante la notte per le strade del centro storico, altri sostenevano che si potesse trattare di una setta satanica.
Le mie indagini si erano fermate da quella sera in cui raccontai tutto a Serena, ero troppo occupato nel mio lavoro e a comprare regalini per tutti. Le feste così le trascorsi lavorando e cercando di trovare un po’ di spazio per  le serate con amici e parenti. Mia sorella Livia per l’occasione tornò da uno stage a Londra, si presentava l’occasione per riunire la famiglia. Ovviamente non mi sottrassi alle giocate con gli amici, e cominciai anche a frequentare Serena e Domenico. Spesso capitava di fare la spesa insieme, ci scambiavamo film, e di tanto in tanto anche di aiutare Domenico nei compiti di matematica.
Gennaio invece porta sempre un brusco risveglio a tutti noi e soprattutto porta.. l’inverno. Le temperature si calano di parecchi gradi, passare dai ventinove di capodanno ai dieci dell’Epifania non è una cosa molto salutare..
La sveglia squillò alle sette in punto, un’altra giornata lavorativa cominciava.
“Mamma mia, che freddo, cazzo! Non sono riuscito a chiudere occhio stanotte, naso chiuso.. mi manca solo una bella influenza!”
Mi alzai, cercai Chimay, la trovai ai piedi del letto avvolta tra le coperte, ebbi un momento di invidia, lei rimaneva al calduccio e io no.
“ Ma che schifo di tempo, cielo coperto, e pioggia! Bene perfetto!”
Dovevo prendere servizio alle otto, mi vestii, ero pronto ad affrontare il grande freddo. Prima di varcare il portone del palazzo, controllai come facevo ogni mattina la buca della posta. Questa volta trovai oltre ai soliti depliant pubblicitari, una grossa busta giallognola, portava sul retro solo una scritta a stampatello: PER ANDREA RESTIVO.
“Boh, sarà una lettera di qualche ente benefico che fa raccolta fondi” misi la busta nella borsa e mi avviai a piedi verso l’ufficio postale.
Il tempo era davvero brutto, faceva molto freddo e tirava un vento che ne aumentava l’intensità. “Eh si, è iniziato l’inverno”.
Una cosa positiva questo periodo l’aveva.. diminuiva il lavoro all’ufficio postale.
Il mese di Dicembre, è il mese sempre più critico per noi che lavoriamo lì. Le persone si precipitano in massa per pagare bollette, arretrati, more, se c’è un periodo adatto per pagare, questo è il mese di Dicembre. La tredicesima viene utilizzata, dalle famiglie, soprattutto per cercare di saldare tutti i conti scoperti che ancora pendono. Poi c’è chi spedisce pacchi regalo a parenti che vivono al nord, chi manda soldi a nipoti e figli.. insomma mentre molti entrano in ferie, noi lavoriamo il triplo.
Quella mattina trovai l’ufficio postale, stranamente vuoto, salutai i colleghi e il direttore. Presi posto alla mia scrivania e mi ricordai della busta, la estrassi dalla borsa, questa riportava solo il mio nome, aperta, conteneva tre foto.
Impallidii, cominciai a sudare freddo, in quelle foto c’ero io, erano recenti, una raffigurava me mentre uscivo dal portone del palazzo, le altre due erano state scattate di fronte l’ufficio postale. La busta non conteneva altro, rimasi basito, ma che significavano? Era uno scherzo? Chi li aveva scattate e perché? Mi guardai in torno, avevo la sensazione che qualcuno mi stesse spiando anche in quel momento, nell’ufficio regnava il silenzio. Riguardai le foto, poi le riposi nella busta e misi tutto dentro la borsa.
“Magari sarà uno scherzo di Sergio..”.
Il mio pallore fu notato da Silvano – Andrea stai male? Sei pallido. – mi chiese.
Non sapevo cosa rispondere, decisi di minimizzare – Niente, forse solo un po’ di influenza –
Silvano scrollò la testa – La colpa è di questo maledetto tempo! Ci ammaleremo tutti. Domani è il tuo giorno libero, cerca di riposare e se non ti sentirai ancora molto bene, prenditi un giorno per malattia. –
Annuii – Sì, ma non ce ne sarà bisogno, basterà solo un po’ di riposo. –
Una volta a casa chiamai Sergio, al secondo squillo rispose.
- Sergio, ciao – sicuramente, era al lavoro, mi dispiaceva disturbarlo, ma volevo la conferma che quelle foto fossero solo uno scherzo.
- Ciao Andrea, scusa ma sto lavorando, che c’è? –
- Niente, volevo complimentarmi per lo scherzo delle foto. – ribattei facendo un risolino “me l’hai fatta stavolta, anche se non lo ammetterò mai, sei riuscito a farmi spaventare, ma mi vendicherò stanne certo.”
– Ma di che scherzo parli? Quali foto? Scusa ma non ti seguo, va beh dai ci sentiamo dopo che ho da fare. Ciao. –
 “Allora non è opera sua! E chi diavolo è stato?”
Cominciai di nuovo a sudare freddo, continuavo a rigirare tra le mani quelle foto, stavo entrando in panico, ero seduto imbambolato sul divano, il buio intorno a me, il vento soffiava forte sui vetri del balcone, ero preso dal panico. Ad un certo punto sentii il telefonino squillare.
“Questo è Sergio, che ammette di avermi fatto lo scherzo, che stupido sono stato, andare in agitazione per uno scherzo.”
Invece non era lui, era Serena.
– Ciao Serena, come va tutto ok? Posso fare qualcosa per te? – la mia voce era tutto un programma
– Andrea, ciao! Non vorrei disturbarti, tutto bene? –
“Insomma, potrei stare meglio” – Non mi disturbi affatto, tutto bene, dimmi –
- Bene, senti, domani è il tuo giorno libero, no? –
In quel momento, ricordavo a mala pena solo come mi chiamavo – Sì – risposi secco.
– Avevo pensato – continuò lei – che domani, se ti va, potresti accompagnarmi in facoltà. Ricordi della foto? Avevamo la curiosità di conoscere il professore De Felice. – fece una pausa, ora ricordavo.. quella foto.
-Mi sono informata sugli orari delle sue lezioni, domani ne tiene una da mezzogiorno all’una. Alle undici potrei passare da casa tua e andiamo all’università. Che ne pensi? – Accettai senza pensarci molto, forse perché volevo tagliare corto.
– Si, va bene, allora ti aspetto domani mattina. Ciao Serena a domani. – non avevo voglia di parlare
– Ok, buona serata Andrea! –
Passai la serata camminando su e giù tra salotto e corridoio, e il mio nervosismo aumentò quando Sergio mi confermò, che delle foto non ne sapeva proprio nulla.
“Ma chi può essere stato? E perché? “
Non avevo nemici, non avevo questioni in sospeso con nessuno, nessun altro mio amico avrebbe pensato di farmi uno scherzo così, ripercorrevo con la mente tutti i fatti che mi erano capitati recentemente.
“ E se.. ma no, sarebbe assurdo.. ma poi per una.. per una foto!”
Mi resi conto che l’unica persona con cui avevo un conto in sospeso era il proprietario della foto che avevo rubato a Dicembre.
“Ma poi figuriamoci, se questo tizio si è messo a pedinarmi per una foto!”  
Presi la foto e ricordai dell’appuntamento l’indomani con Serena. “Comunque sia la devo restituire!”
Improvvisamente, mi sentii addosso tutta la durezza della giornata, ero stanco, il brutto tempo continuava, la pioggia e il vento erano un tutt’uno da diverse ore. Mi misi a letto, sotto le coperte, avvolgendomi nel piumone, dopo poco caddi in un sonno profondo.
 Mi trovavo a passeggiare sul lungomare di Mondello, stretto tra la spiaggia e la schiera di palme e di oleandri, accanto a me c’era Sofia, indossava un bel vestito primaverile smanicato, e avvolto al collo portava una sciarpa di seta che si posava sulla sua schiena. Camminavamo senza meta, senza un perché, attorno a noi non c’era un’ anima viva, il cielo era completamente velato e faceva tutt’uno col mare, che appariva come una lastra d’argento, era un mare senza vita. Non c’erano colori, ma solo un’intensa luce che rendeva tutto di un’ unica tonalità, il grigio. Ad un certo punto la mia mano sfiorò quella di Sofia, mi girai verso di lei, e mi accorsi che l’unico colore che risplendeva era quello dei suoi occhi, di un verde così intenso, che mi ci stavo perdendo. Notai che una lacrima stava abbandonando quel verde, allora si fermò, rimase immobile a fissare il mare.
-Andrea – disse, il mio cuore si stava fermando, continuò – ti devo dire che.. - non riuscivo a sentire le sue parole, mi voltai una macchina nera, spuntata chissà da dove, si stava lanciando in una folle corsa verso di noi. Mi lanciai su Sofia e la spinsi sulla sabbia.
– Non ti preoccupare – cercavo di rassicurarla – è me che vogliono, tu rimani abbassata e poi quando te lo dico io scappa. - 
La baciai, le accarezzai i capelli, poi mi alzai, e cominciai a correre. Mi voltai, e vidi che la macchina continuava a seguirmi, era me che volevano, allora gridai a Sofia di correre e scappare. Continuavo a correre, ma le gambe mi stavano lasciando, stavo raggiungendo una villa, se riuscivo a scavalcare il cancello forse ero salvo. Il cancello era quasi raggiunto, quando senti un rumore come uno sparo BOOM BOOM..
  “Ma che cazzo succede?!” mi svegliai di soprassalto, “Ma che ore sono?”
BOOM “E che cazzo è questo rumore?!”
Mi alzai, il rumore proveniva dalla porta di casa, mi diressi verso l’ingresso barcollando nel buio, giunto dinanzi alla porta trovai per terra un foglietto, che era stato introdotto da fuori. Lo raccolsi, accesi la luce, c’era una scritta in stampatello: SO CHI SEI .

Rimasi paralizzato dalla paura, poi guardai fuori attraverso lo spioncino, non c’era nessuno sul pianerottolo, corsi verso il balcone che dava sulla strada, il vetro era completamente appannato dall’umidità, aprii e uscii fuori, la pioggia era fitta, provai a scorgere qualcosa, vidi una macchina che si allontanava, rientrai, guardai l’ora, erano le tre, riguardai il foglio, tremavo. Chiusi la porta di casa da dentro e abbassai tutte le serrande, ero terrorizzato, mi barricai dentro, mi misi a letto completamente avvolto dalle coperte. Quella notte non riuscii più a riprendere sonno.

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