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Era trascorsa una
settimana, in modo tranquillo, non ricevetti nuove buste, nessuno si era
precipitato alle tre del mattino per bussarmi alla porta, e anche il tempo
sembrava essere migliorato.
“E sì, proprio una bella
giornata, che fortuna! Oggi voglio fare quattro passi al Foro Italico, un po’
d’aria di mare non può che farmi bene.”
Di solito le mattine del
mio giorno libero le passavo dormendo o andando a fare la spesa al centro
commerciale, ma oggi la giornata era proprio bella, sembrava un anticipo di
primavera.
Stavo finendo pigramente di
vestirmi, quando sentii suonare il campanello. – Chi è? – mi aspettavo la voce
di Serena o di Alessio, visto che erano quelli che godevano di una maggiore
flessibilità nel lavoro e nello studio e che quindi spesso avevano le mattinate
libere. Invece mi rispose una voce che non conoscevo.
– Sono l’ingegnere Tommasini – rispose secco
l’uomo.
Rimasi immobile come una
statua, ero paralizzato dallo stupore “ E questo? Da dove spunta? Come ha fatto
a trovarmi? Ora sono cazzi!”
– Cerco il signor Andrea Restivo. – Presi
coraggio, mi sistemai i capelli con la mano, e aprii – Sì, sono io buongiorno,
prego entri – dissi queste parole in modo velocissimo senza guardarlo negli
occhi, anzi tenendo bassa la testa. Man mano che il mio sguardo saliva si
materializzava davanti a me un uomo imponente, di corporatura massiccia,
stempiato con i capelli bianchi, naso a patata e occhi tondi color nocciola,
era avvolto in un grande giubbotto in finta pelle e portava gli occhiali con
una bella montatura in tartaruga. L’ingegnere era proprio imponente “questo se
mi da un cazzotto, mi manda all’altro mondo!”.
Lo feci accomodare in
salotto, si sedette nella poltrona e io sul divano davanti a lui. Ci fu un
silenzio che durò un’eternità. Mi stava studiando, mi scrutava con quegli occhi
nocciola, mi stava facendo una radiografia, leggeva dentro di me tutto il
disaggio e l’imbarazzo che stavo provando in quel momento. Stavo per parlare,
ma lui mi anticipò – Signor Restivo, ero molto curioso di conoscerla. Io come
le ho detto sono l’ingegner Tommasini, forse il mio cognome non le dice più
niente. –
-No no, certo che mi dice
qualcosa, sono stato a casa sua. – ormai dovevo affrontare l’argomento era
inutile fingere di non ricordare, quell’uomo era capace di riconoscere
benissimo una persona che mente ne ero certo. All’ingegnere sfuggì un mezzo
sorriso, continuai – Avevo intenzione di venirla trovare nuovamente per
scusarmi personalmente con lei, per quello che accidentalmente ha combinato il mio
cane. -
Appena dette queste parole
si presentò Chimay, che andò immediatamente a conoscere il nuovo ospite, gli
annusò le scarpe e fece praticamente tutto quello che fanno i cani per
arruffianarsi una persona che non conoscono e che vogliono conquistare.
L’ingegnere si chinò verso Chimay, l’accarezzò e se la mise sulle gambe. Con
stupore vidi che il cane rimase docile e immobile, si lasciava accarezzare
sembrava proprio che il suo padrone fosse stato sempre lui e io invece
l’intruso. “Però ci sa fare questo con i cani!” la cosa un po’ mi
tranquillizzava, di solito le persone che amano gli animali non odiano gli
uomini.
-E lei, la colpevole? –
chiese abbozzando un bel sorriso.
– Si, si è lei! – mentii,
ma tanto che importava, per certe cose un cane valeva l’altro, e così potevo
evitare anche di raccontargli proprio tutto.
L’uomo mentre continuava ad
accarezzare Chimay, si aggiustò gli occhiali, mi gettò un’altra occhiata e
disse – Comunque non si preoccupi, non sono venuto qui certo per chiederle i
danni – sottolineo la parola danni facendo una sonora risata – ma per due
motivi, il primo per ringraziarla dei fiori che ha regalato alla mia domestica,
la signora Rosa. Gesto che ha molto apprezzato. Sa non capita spesso che un
giovane le regali un mazzo di rose. –
“Ok, e il secondo motivo?
Dai dimmi perché sei venuto”.
Tommasini si fermò si
sistemò meglio nella poltrona, con Chimay sempre immobile sulle sue gambe. –
L’altro motivo le dicevo - riprese, continuando a studiarmi con i suoi occhi
che mi sembravano in quel momento due laser – è che sono molto curioso, volevo
conoscerla. La mia curiosità è aiutata anche dal fatto che sono in pensione e
oramai ho tanto di quel tempo libero, che se potessi, venderei diventando così
molto ricco. – E qui l’uomo fece un sorriso, assumendo però un’espressione
malinconica.
-Le posso offrire un caffè?
– chiesi.
Quell’uomo mi faceva
tenerezza, non c’era un vero e proprio motivo, non lo conoscevo nemmeno, mi
sentivo in debito con lui, avevo rubato un suo ricordo, ero entrato nella sua
vita e gli avevo mentito. Una volta preso il caffè, l’ingegnere ebbe un’aria
rilassata, posò la tazzina sul tavolino e mi disse – Le dicevo che sono ormai
da un po’ di anni in pensione, io nella mia vita ho sempre lavorato. Da piccolo
facevo l’aiutante di mio padre, lui era un elettricista, e nei momenti in cui
non studiavo. Anche se mi diplomai col massimo dei voti, la mia vera scuola fu
mio padre, imparai tante cose standogli accanto. La mia famiglia era orgogliosa
di me, nessuno aveva continuato gli studi fino al diploma, io ero stato il
primo. E l’orgoglio di mio padre e di mia madre aumentò, quando riuscii a
laurearmi in ingegneria. Entrai alle ferrovie e rimasi li per più di trenta
anni. Ho lavorato tutta la vita..-
Cominciavo ad ammirare
quell’uomo, ero convinto che le persone delle generazioni più vecchie erano
quelle più forti, quelle che col sudore della propria fronte avevano creato un
certo benessere in Italia. Era gente che aveva conosciuto la fame del dopo
guerra, che sapeva cosa significava sporcarsi le mani per lavorare.
-Certo, il lavoro mi ha
anche dato tanto – continuò – sono riuscito a sposarmi, e a creare una
famiglia, ad avere due figli, Alessandra e Luca, a farli studiare e a
realizzarsi. Tutto andava bene, fino al giorno in cui il destino ha voluto che
mia moglie ci lasciasse.. un brutto male le tolse e le succhiò a poco a poco la
vita, fino a un giorno di Agosto in cui si spense. –
L’ingegnere fece una pausa,
si vedeva quanto gli costava ricordare, e trasformare quei ricordi in parole.
Sentivo quasi fisicamente la difficoltà che provava nel raccontare, ma vedevo
anche che più lo faceva più sembrava liberarsi da un peso, come se dal giorno
della morte di sua moglie lui non avesse più parlato con nessuno, ed ora invece
si sentiva pronto a mostrare il suo dolore. Tirò fuori dalla tasca una pezzuola
con la quale si pulì le lenti degli occhiali e riprese a raccontare.
– Quella tragedia segno
anche la fine della nostra famiglia. Mia figlia, con quello che diventò poi suo
marito, partii per l’Australia, dove lavora come biologa marina, mi ha dato
anche dei nipoti, che ancora non ho conosciuto.. sono ormai sette anni che non
la vedo, ogni tanto ricevo una sua lettera, dove mi parla del dolore che prova
ancora per la madre morta. Per fortuna con internet sono riuscito a vedere i
miei nipoti, sono proprio belli.
Mio figlio Luca invece, ha
trovato lavoro a Gelsenkirchen in Germania, ha sposato una tedesca. Prima,
quando ancora ero in servizio, ogni volta che avevo delle ferie, prendevo il
treno e andavo a trovarli. Ma da quando sono in pensione, non ho più voglia di
muovermi, così ci vediamo durante le feste natalizie o in estate, quando
trascorrono le vacanze in Sicilia. –
- Ma perché non lo va a
trovare più spesso? – chiesi, interrompendolo.
- Perché, capita nella vita
di un uomo, il momento in cui si desidera rimanere con una persona soltanto..
la solitudine.. -
Chimay saltò giù dalle
gambe dell’ingegnere, sbadigliò e si stiracchiò.
-E’ proprio un cane
simpatico! – disse l’ingegnere – le posso dire che è perdonata.- aggiunse,
alzandosi, e sistemandosi il soprabito. Mi alzai pure io, e lo accompagnai alla
porta.
– Andrea, posso darle del
tu, no? Potrebbe venirmi figlio o nipote. Andrea tu mi sembri un bravo ragazzo,
è stato un piacere conoscerti, scusa se ti ho tediato col racconto della mia
vita. Come vedi, l’ultima parte mi
riserverà solitudine e
rimpianti. –
Mi venne naturale dargli
una pacca sulla spalla, quell’uomo mi aveva conquistato, aprii la porta, per
permettergli di uscire, ma ne approfitto anche Chimay per tentare una
fuga, la bloccai subito, bastò ordinarle
di fermarsi – Chimay fermati! –
-Vede – dissi rivolgendomi
all’uomo – ha proprio il vizio di scappare! –
-Vedo vedo! Ma non si
chiamava Titti? – mi chiese l’ingegnere.
– Beh si, diciamo che ha
tanti nomignoli. – abbozzai sorridendo.
“Caspita, la signora Rosa
gli avrà fatto un rapporto dettagliato su tutto quello che è successo, se
riesce a ricordarsi il nome del cane. Devo parlare con Serena, raccontarle
dell’incontro”. In quel momento ricordai che la foto era rimasta in suo
possesso dal giorno dell’incontro col professore De Felice “Devo restituire la
foto a Tommasini.”
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