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lunedì 30 dicembre 2013

IL GIOCO DEL RAGNO CAPITOLO 13

                                               13

Un grosso boato, un lama di fuoco che esce da un appartamento. Una macchina nera di grossa cilindrata attraversa il sotto passaggio di via Crispi si dirige verso il Foro Italico. Dall’altra parte della carreggiata in senso opposto una camionetta dei vigili urbani cerca di raggiungere il palazzo con l’appartamento in fiamme.
La macchina supera la chiesa della Catena e si ritrova nel viale del Foro Italico lo percorre tutto e gira in via Lincon, costeggia Villa Giulia.
Mancava poco ormai, il display luminoso dell’orologio nel cruscotto segnava le tre. La città era addormentata, le strade vuote. Si sentiva in lontananza la sirena di un altro mezzo dei pompieri.
“Ha smesso di rantolare. Il re è morto. Presto renderò nobile questa città”.
L’uomo fece un risolino, si sentiva eccitato, aveva compiuto qualcosa che alla fine somigliava ad un vero  rito. Nella sua mente sentiva un pizzico di follia, di irrazionalità, qualcosa che non aveva mai provato. “Mi sembra di fare la Storia” sapeva che stava farneticando e si divertiva. Era stato un lavoraccio, il re era pesante, la sua massa grassa era proporzionale alla sua stoltezza. Aprirgli la pancia era stato più facile di quello che pensava. Il coltello che aveva scelto era stato perfetto, aveva penetrato lo strato di pelle senza incontrare la minima resistenza. L’attesa del dissanguamento si era rivelata lunga, e lui odiava aspettare. Aveva tante cose da fare. E che effetto gli fece sentire la casa del re scoppiare. Vedere da lontano le fiamme che cominciavano a devastare tutto. Si quello era stato un lavoro perfetto. Ma ora non c’era più tempo ora doveva correre. Vedeva il re perdere tanto sangue, stava anche uscendogli l’intestino dallo squarcio che gli aveva fatto sulla pancia. Provava ribrezzo di questa immagine. Ora doveva marchiarlo e poi caricarlo in macchina. Era morto, un altro tassello si aggiungeva al mosaico.
Via Garibaldi, adesso mancava pochissimo, vedeva piazza Rivoluzione, la statua del genio di Palermo lo attendeva.  
 Frenò, indossò un passamontagna nero, scese dall’auto aprì il bagagliaio. Dovette fare un bello sforzo per scaraventare il corpo giù. “Perfetto, stanotte dormirai sotto la protezione del Genio”. Mancava l’ultima cosa, calzò sulla testa del re la sua corona.
Rimase ad osservare il cadavere, ammirava quello che aveva fatto. Era tutto come se lo era costruito nella sua mente.

“Perfetto” ripeteva. Poi montò in macchina e sparì inghiottito dall’oscurità.   

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