12
L’appuntamento con la
signora Leone era stato fissato per le cinque e mezza, Serena aveva parlato
direttamente con lei, si era spacciata per una giornalista che aveva trovato
qualcosa che forse apparteneva a suo marito, voleva mostraglielo.
Ci recammo in via
Notarbartolo, la vedova dell’ingegnere, abitava nel palazzo vicino a quella che
era stata la residenza del giudice Falcone, dove c’è quel famoso albero nel
quale ancora oggi i palermitani lasciano messaggi in memoria del grande
magistrato. Ci trovavamo nella Palermo bene, la strada è piena di
negozi, molto trafficata, una tra le vie più in della città.
Entrammo nel palazzo,
varcato il portone aperto ci si trovava in una grande ed elegante portineria.
Il portiere dopo averci squadrato ci chiese chi cercavamo.
– Siamo giornalisti dell’ Eco
di Messina, siamo venuti per intervistare la signora Leone, abbiamo fissato
un appuntamento. –
“L’Eco di cosa? Questo non
lo sapevo, sento odore di guai” le lanciai un’occhiata che era tutto un
programma, lei mi guardò divertita, come dire che c’è di strano, sono un
angioletto io.
- Un attimo – disse il
portiere, prese il citofono aspettò due minuti. farfugliò qualcosa e poi
finalmente con aria solenne disse – Prego, la signora vi aspetta, settimo piano
interno C. -
Ad attenderci nel
pianerottolo trovammo due donne elegantissime una mora e una molto più alta
bionda.
- Buonasera, accomodatevi,
sono la signora Leone. – disse la mora.
La casa era maestosa,
l’ingresso si univa al salone creando un ambiente vasto, tutto arredato con
molto gusto, con mobilia che ricordava gli anni ottanta, piena di tappeti
divani, argenteria quadri tra i quali si riconoscevano quelli di Guttuso e
tavolini su cui erano disposte portafotografie d’argento e vari altri oggetti
di valore. Sullo sfondo una grande vetrata da cui si poteva dominare l’intera
strada.
- Permettetemi di
presentarvi la mia amica Enza. – stringemmo la mano ad Enza e ci accomodammo
sul divano. “Non ne posso più di divani, e meno male che oggi dovevo fare
quattro passi all’aria aperta”.
- Così siete dell’ehmmm
giornale di Messina? – chiese la signora.
- Eco di Messina. – la
corresse Serena, a quella correzione stavo per scoppiare dalle risate.
- Ahi sì sì, l’Eco.. ma
gradita qualcosa? Stavamo per prendere il the. –
- Anna lascia, ci penso io
a servire gli ospiti. –
- Grazie Enza. –
Così rimanemmo noi tre da
soli, ancora riflettevo sul fatto che la signora si ricordava di un giornale
che in realtà non esisteva.
- Dunque in cosa posso
esservi utile? -
- Signora – esordì Serena -
intanto volevamo io e il mio collega ringraziarla per la sua disponibilità, e
porgerle anche le condoglianze per la disgrazia che ha colpito suo marito. -
- Eh sì, il mio povero
marito.. -
- Ecco volevamo farle
vedere questa foto – la ragazza estrasse la foto dalla carpetta e la porse alla
vedova.
- Riconosce suo marito in
questa foto? – chiesi.
La signora la scrutò bene–
Sì, questo è mio marito Vincenzo. Come era giovane! ma come avete fatto ad
averla? –
- Signora, ce l’ha data un
ex collega del suo defunto marito, che forse potrebbe anche riconoscere nella
foto. – Bene avevo detto l’ennesima palla, ma tanto ormai una in più una in
meno, cambiava poco.
- Si riconosco, l’ingegnere
Lo Vecchio e aspetti, questo mi sembra che sia l’architetto De Felice.
L’ingegnere Lo Vecchio era uno tra i più
cari amici di mio marito, mi pare che insegni ancora all’università, ora chiedo
ad Enza. Con De Felice invece mio marito non si è più frequentato, però lo
ricordo bene, lo riconosco in foto da giovane, pensi che se lo incontrassi oggi
per strada nemmeno lo riconoscerei. Il quarto non so chi sia, ma forse anche
lui è un ex collega di mio marito, quando lavorava alle ferrovie. –
Io e Serena ci lanciammo
un’occhiata, sapevo cosa stava pensando “vedi, ero sicura che fosse lui!”.
- Ecco il the! –
-Grazie cara!- entrò
trionfale la signora Enza sorreggendo un vassoio d’argento con la teiera le
tazze di porcellana finissima e un piattino pieno di biscotti danesi.
- Enza guarda questa foto,
c’è mio marito con suoi ex colleghi, vedi c’è anche Lo Vecchio. Non è il
professore con il quale tuo figlio deve sostenere un esame? –
L’amica senza guardare la
foto annuì – Sì Lucio, mio figlio, sta preparando una materia col professore.
Ora lo chiamo così ve lo dico con sicurezza.-
Telefonò al figlio,
confermò che Ciro Lo Vecchio insegnava ad ingegneria Impianti Meccanici, e che
era una vera carogna.
Ringraziammo le due
signore, che si informarono se e quando
avremmo scritto il pezzo sul giornale, la signora Enza ci pregò di non scrivere
che suo figlio aveva dato della carogna al professore. La rassicurammo su
questo e promettemmo che appena avessimo scritto il pezzo e ce lo avesse
pubblicato le avremmo inviato due copie del giornale una per lei e una per
l’amica. Ci congedammo da loro e finalmente ci trovammo per strada.
- Bene ora non ci resta che
portare l’intervista in redazione e sperare che ce la approvino. – dissi a
Serena – o magari il caporedattore sei tu? -
Serena si mise a ridere –
Ma almeno ammettilo che avevo ragione, De Felice era uno dei quattro della
foto! bisogna adesso capire perché ci ha mentito! –
- Bisogna al più presto
restituire la foto a Tommasini – precisai.
Certo le cose adesso si
facevano strane, perché De Felice ci aveva mentito? chi mi aveva mandato la
busta anonima? chi si era presentato a casa mia alle tre di notte per farmi
prendere uno spavento? E chi mi aveva lasciato quel foglio sotto la porta? come
aveva fatto Tommasini a rintracciarmi? le domande erano tante. Riflettevo,
mentre camminavamo verso l’auto in silenzio, Serena aveva adesso un’aria
pensierosa, le chiesi se stesse pensando alla vicenda – No Andrea. Sto pensando
a Domenico, volevo chiederti il milionesimo piacere, potresti dargli qualche
lezione di matematica?-
- Certamente, con piacere,
sono disponibile anche tutti i giorni dalle sei in poi. – risposi.
- Grazie sei un tesoro, sei
capace sempre di rendermi tranquilla. Mio fratello mi sta dando qualche
pensiero, tra il calcetto, la fidanzatina, ora mancava solamente che facesse un
corso di cresima con la sua innamorata. Ho paura che trascuri lo studio. –
Mi prese la mano e
camminammo così fino alla macchina. Dovevo ammettere che anche lei mi faceva
stare bene, mi faceva sentire importante, cominciavo a volerle bene.
Nessun commento:
Posta un commento