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martedì 24 dicembre 2013

IL GIOCO DEL RAGNO CAPITOLO 12

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L’appuntamento con la signora Leone era stato fissato per le cinque e mezza, Serena aveva parlato direttamente con lei, si era spacciata per una giornalista che aveva trovato qualcosa che forse apparteneva a suo marito, voleva mostraglielo.
Ci recammo in via Notarbartolo, la vedova dell’ingegnere, abitava nel palazzo vicino a quella che era stata la residenza del giudice Falcone, dove c’è quel famoso albero nel quale ancora oggi i palermitani lasciano messaggi in memoria del grande magistrato. Ci trovavamo nella Palermo bene, la strada è piena di negozi, molto trafficata, una tra le vie più in della città.
Entrammo nel palazzo, varcato il portone aperto ci si trovava in una grande ed elegante portineria. Il portiere dopo averci squadrato ci chiese chi cercavamo.
– Siamo giornalisti dell’ Eco di Messina, siamo venuti per intervistare la signora Leone, abbiamo fissato un appuntamento. –
“L’Eco di cosa? Questo non lo sapevo, sento odore di guai” le lanciai un’occhiata che era tutto un programma, lei mi guardò divertita, come dire che c’è di strano, sono un angioletto io.
- Un attimo – disse il portiere, prese il citofono aspettò due minuti. farfugliò qualcosa e poi finalmente con aria solenne disse – Prego, la signora vi aspetta, settimo piano interno C. -
Ad attenderci nel pianerottolo trovammo due donne elegantissime una mora e una molto più alta bionda.
- Buonasera, accomodatevi, sono la signora Leone. – disse la mora.
La casa era maestosa, l’ingresso si univa al salone creando un ambiente vasto, tutto arredato con molto gusto, con mobilia che ricordava gli anni ottanta, piena di tappeti divani, argenteria quadri tra i quali si riconoscevano quelli di Guttuso e tavolini su cui erano disposte portafotografie d’argento e vari altri oggetti di valore. Sullo sfondo una grande vetrata da cui si poteva dominare l’intera strada.
- Permettetemi di presentarvi la mia amica Enza. – stringemmo la mano ad Enza e ci accomodammo sul divano. “Non ne posso più di divani, e meno male che oggi dovevo fare quattro passi all’aria aperta”.
- Così siete dell’ehmmm giornale di Messina? – chiese la signora.
- Eco di Messina. – la corresse Serena, a quella correzione stavo per scoppiare dalle risate.
- Ahi sì sì, l’Eco.. ma gradita qualcosa? Stavamo per prendere il the. –
- Anna lascia, ci penso io a servire gli ospiti. –
- Grazie Enza. –
Così rimanemmo noi tre da soli, ancora riflettevo sul fatto che la signora si ricordava di un giornale che in realtà non esisteva.
- Dunque in cosa posso esservi utile? -
- Signora – esordì Serena - intanto volevamo io e il mio collega ringraziarla per la sua disponibilità, e porgerle anche le condoglianze per la disgrazia che ha colpito suo marito. -
- Eh sì, il mio povero marito.. -
- Ecco volevamo farle vedere questa foto – la ragazza estrasse la foto dalla carpetta e la porse alla vedova.
- Riconosce suo marito in questa foto? – chiesi.
La signora la scrutò bene– Sì, questo è mio marito Vincenzo. Come era giovane! ma come avete fatto ad averla? –
- Signora, ce l’ha data un ex collega del suo defunto marito, che forse potrebbe anche riconoscere nella foto. – Bene avevo detto l’ennesima palla, ma tanto ormai una in più una in meno, cambiava poco.
- Si riconosco, l’ingegnere Lo Vecchio e aspetti, questo mi sembra che sia l’architetto De Felice. L’ingegnere Lo Vecchio era  uno tra i più cari amici di mio marito, mi pare che insegni ancora all’università, ora chiedo ad Enza. Con De Felice invece mio marito non si è più frequentato, però lo ricordo bene, lo riconosco in foto da giovane, pensi che se lo incontrassi oggi per strada nemmeno lo riconoscerei. Il quarto non so chi sia, ma forse anche lui è un ex collega di mio marito, quando lavorava alle ferrovie. –
Io e Serena ci lanciammo un’occhiata, sapevo cosa stava pensando “vedi, ero sicura che fosse lui!”.
- Ecco il the! –
-Grazie cara!- entrò trionfale la signora Enza sorreggendo un vassoio d’argento con la teiera le tazze di porcellana finissima e un piattino pieno di biscotti danesi.
- Enza guarda questa foto, c’è mio marito con suoi ex colleghi, vedi c’è anche Lo Vecchio. Non è il professore con il quale tuo figlio deve sostenere un esame? –
L’amica senza guardare la foto annuì – Sì Lucio, mio figlio, sta preparando una materia col professore. Ora lo chiamo così ve lo dico con sicurezza.-
Telefonò al figlio, confermò che Ciro Lo Vecchio insegnava ad ingegneria Impianti Meccanici, e che era una vera carogna.
Ringraziammo le due signore, che si informarono  se e quando avremmo scritto il pezzo sul giornale, la signora Enza ci pregò di non scrivere che suo figlio aveva dato della carogna al professore. La rassicurammo su questo e promettemmo che appena avessimo scritto il pezzo e ce lo avesse pubblicato le avremmo inviato due copie del giornale una per lei e una per l’amica. Ci congedammo da loro e finalmente ci trovammo per strada.
- Bene ora non ci resta che portare l’intervista in redazione e sperare che ce la approvino. – dissi a Serena – o magari il caporedattore sei tu? -
Serena si mise a ridere – Ma almeno ammettilo che avevo ragione, De Felice era uno dei quattro della foto! bisogna adesso capire perché ci ha mentito! –
- Bisogna al più presto restituire la foto a Tommasini – precisai.
Certo le cose adesso si facevano strane, perché De Felice ci aveva mentito? chi mi aveva mandato la busta anonima? chi si era presentato a casa mia alle tre di notte per farmi prendere uno spavento? E chi mi aveva lasciato quel foglio sotto la porta? come aveva fatto Tommasini a rintracciarmi? le domande erano tante. Riflettevo, mentre camminavamo verso l’auto in silenzio, Serena aveva adesso un’aria pensierosa, le chiesi se stesse pensando alla vicenda – No Andrea. Sto pensando a Domenico, volevo chiederti il milionesimo piacere, potresti dargli qualche lezione di matematica?-
- Certamente, con piacere, sono disponibile anche tutti i giorni dalle sei in poi. – risposi.
- Grazie sei un tesoro, sei capace sempre di rendermi tranquilla. Mio fratello mi sta dando qualche pensiero, tra il calcetto, la fidanzatina, ora mancava solamente che facesse un corso di cresima con la sua innamorata. Ho paura che trascuri lo studio. –

Mi prese la mano e camminammo così fino alla macchina. Dovevo ammettere che anche lei mi faceva stare bene, mi faceva sentire importante, cominciavo a volerle bene.

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