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domenica 22 dicembre 2013

IL GIOCO DEL RAGNO CAPITOLO 11 (Questa settimana pubblicherò anche il 12)

                                             11

Attesi qualche minuto, per essere certo che l’ingegnere avesse lasciato il palazzo, poi scesi da Serena, sperando di trovarla a casa. Bussai, non aspettai molto, la ragazza aprii la porta, fu un po’ stupita di vedermi.
- Andrea ciao, stavo proprio pensando a te, entra devo anche dirti un paio di cose.. -
Entrai, notai che era vestita per uscire, pensavo che probabilmente stava per recarsi all’università. Scorsi sul mobile dell’ingresso il vasetto di cristallo su cui spiccava una bellissima rosa bianca. Questo fiore non mancava mai, solo adesso mi rendevo conto che ci teneva tanto a non far mancare quel fiore nella sua casa. Mi fece accomodare in salotto, trovai dei mobili molto belli, scuri e massicci. La stanza però appariva luminosa, la luce filtrava dalle tende di lino bianco, e risplendeva sull’argenteria lucidissima, posta sui vari tavolini. Vi erano diversi merletti, i divani avevano tutti dei pizzi, sul pavimento erano posati dei bellissimi tappeti persiani, tutto era tenuto pulitissimo, si sentiva proprio il classico odore di casa pulita. Notai anche, poggiata sulla poltrona una chitarra classica. Non sapevo che sapesse suonare.
– Accomodati – mi disse gentilmente Serena.
Mi sedetti sul divano e prima che potesse parlare, l’anticipai – Poco fa ho ricevuto la visita dell’ingegnere Tommasini. –
Serena mi guardò incredula, spostò la chitarra e si sedette sulla poltrona – Ma stai dicendo sul serio? Ma come ha fatto a rintracciarti? Ti ha chiesto della foto? Gli hai chiesto qualcosa sull’omicidio dell’ingegnere Leone? –
- Non lo so come ha fatto a trovarmi, della foto non mi ha detto niente, e non sono riuscito a fargli nessuna domanda. -
- Non gli hai fatto nessuna domanda? –
– No, ero imbarazzato, e poi la sua visita inaspettata mi ha proprio spiazzato. Però sono certo che la foto c’entra, non me ne ha parlato, ma era come se mi avesse dato un segnale, un avvertimento. Serena dobbiamo restituirgliela e finirla una volta per tutte con questa storia. –
Raccontai l’incontro con l’ingegnere, le spiegai così le mie conclusioni. La mia amica ascoltò con interesse il racconto, e alla fine concordava con me che questo fatto nascondeva tante cose strane.
– Sicuramente, la sua visita è legata alla foto. Forse stiamo ingigantendo la cosa, comunque hai ragione dobbiamo restituirla. – disse Serena.
“Ingigantendo la cosa! Se sapesse della busta anonima contente le mie foto e che qualcuno alle tre del mattino si sia recato a farmi prendere paura, penso che capirebbe in che situazione ci stiamo cacciando. Meglio che le racconti tutto.” Ero arrivato alla decisione di raccontarle tutto, quando lei mi anticipò.
- Però – disse – possiamo fare un ultimo tentativo, ti volevo parlare di un’idea per scoprire qualcosa di più su quella foto. -
- Quale idea? – chiesi, sapendo che mi sarei pentito subito per non aver chiuso del tutto il discorso.
Serena fece uno dei suoi soliti sorrisetti pericolosi, si aggiustò i capelli e mi spiegò
-Vedi, un modo per sapere se quello nella foto è l’ingegnere Leone è chiederlo a qualcuno che lo ha conosciuto – annuì, fece un altro sorrisetto e continuò – e a chi meglio di sua moglie possiamo chiedere? –
“Ecco, ora siamo a posto” – Scusami, dovremmo presentarci dalla moglie e chiederle se riconosce suo marito nella foto? –
Vidi che gli occhi di Serena cominciavano a brillare – Si, anche se ho pensato ad un modo più carino per presentarci a lei, fidati, fai fare a me. Ci presenteremo come giornalisti, cercherò oggi stesso di ottenere un appuntamento con lei. –
- Va bene, però dopo la restituiremo a Tommasini. – “Ecco, per non dire di no, mi metterò nei guai. Perché sicuramente andremo incontro a grossi guai.”
- Allora ci vediamo alle quattro a casa mia e andiamo dalla signora Leone, prima cercherò di contattarla per fissare un appuntamento con lei. –
Serena aveva pianificato tutto “E sia, tanto ormai che può capitare? fatto ciò restituirò quella maledetta foto”.
Fissai la chitarra, Serena se ne accorse la prese e mi invitò ad ascoltare, iniziò a suonare una melodia che mi ricordava uno dei tanti viaggi che avevo fatto in Spagna. Il pezzo era di difficile esecuzione, si intrecciavano ritmi andalusi a  ritmi arabi, dal loro incontro nasceva qualcosa di magico, di rilassante. Ripercorrevo con la mente quei magnifici luoghi che avevo visitato, l’Andalusia Siviglia Cordoba, ricordavo la bellezza di Ronda, l’Alhambra a Granada, la maestosa cattedrale di Toledo, la bellezza di Madrid e quella sera che a Barcellona assistetti ad un’esibizione di chitarristi zigani. Ricordo ancora quell’atmosfera quasi incantata che le loro chitarre avevano creato in un cortiletto interno del Barrio Gotico. Non avevo mai sentito il pezzo che Serena strava suonando con così tanta maestria, la ammiravo. Un raggio di luce che riusciva a filtrare dalle tende ne attraversava come una lama il viso illuminandone gli occhi, e con quale grazia teneva la chitarra, non avevo mai visto suonarla in quella maniera, la teneva quasi abbracciata col manico verso l’alto, sembrava quasi arpeggiare. Notai per la prima volta la bellezza delle sue mani, aveva delle dita lunghe e affusolate. Non c’era nulla da dire, era una ragazza molto affascinate, aveva un non so che di magico. Mi abbandonai completamente ai miei ricordi spagnoli seguendo il movimento delle sue dita che pizzicavano le corde.
Finì di eseguire il brano – Ti è piaciuto? – mi chiese, sapendo già la risposta.
– Si, sei stata bravissima, sai a cosa mi hai fatto pensare? Ai viaggi che ho fatto in Spagna. A Barcellona assistetti ad un concerto di chitarra classica, e mi hai fatto provare la stessa sensazione di magia che provai all’ora. –
- Questo pezzo è tra i miei favoriti, si chiama Capricho Arabe, mia madre sapeva suonare benissimo la chitarra, meglio di me, poi rimanevo incantata quando metteva i dischi del maestro Andres Segovia, un giorno te ne farò sentire qualcuno. Ho sempre amato questo strumento e poi è una specie di legame che ho con mia madre, questa chitarra era sua, ed è proprio spagnola, viene da Madrid è stata fatta da un liutaio famoso Antonio de Torres, vedi ha la particolarità di avere la cassa più grande e l’incatenatura a ventaglio, rispetto alle chitarre normali, in questo modo ha un’estensione tonale più ampia soprattutto nelle note più basse, la regalò mio nonno a mia madre dopo un viaggio  in Spagna. Quando la suono mi vengono in mente tanti ricordi, e appena finisco di eseguire un pezzo sono sempre più allegra. Sai a molte persone i ricordi fanno male, a me no, anche se penso a persone care che non vedrò più, ricordare a me fa bene. Ma parlami della Spagna, parlami dei tuoi viaggi, mi interessano tantissimo, sogno di viaggiare non sono riuscita mai a farlo 
purtroppo. -
Accontentai la richiesta di Serena, le raccontai dei miei viaggi, le parlai della Spagna di tutto quello che sapevo. Amavo viaggiare, avevo avuto la fortuna di girare molto, lei seguiva tutto con attenzione, era affascinata dai miei racconti. Si vedeva che aveva  desiderio di allontanarsi di partire per mete che fino adesso aveva potuto solamente immaginare e vivere nella sua testa.  
-Spagna! Deve essere un luogo bellissimo, sai che mi hai fatto venire la voglia di andarci, dovrei imparare la lingua però, ma a quanto mi hai detto è molto simile all’italiano. –
Risposi sorridendo – Si, sono due lingue che si somigliano molto. –
- Andrea, voglio raccontarti parte della mia storia, e spiegarti anche quella di questa casa. Se hai la pazienza di ascoltarmi. -
- Con piacere, non so praticamente nulla di te. –
Posò la chitarra appoggiandola sulla poltrona e incominciò a raccontare.
- Mia nonna aveva tre figli un maschio e due femmine. La maggiore dei fratelli era mia madre. Come hai capito, non ho più la mamma, è morta sette anni fa, mi lasciò che non ero che appena un’adolescente, mentre mio fratello Domenico un bambino di  nove anni. Puoi immaginare quanto fu grande il dolore. Rimanemmo soli io mio padre e mio fratello. Mio padre, lavorava nelle navi mercantili. Imbarcato sette mesi l’anno, dopo la morte di mia madre i mesi in cui stava imbarcato aumentarono fino a quando non lo si vedeva per una settimana l’anno. Io e Domenico andammo a vivere ad Altofonte dalla sorella di mia madre. Lei non ci faceva mancare niente cercava di riempirci dell’affetto di cui avevamo bisogno dovuto dalla mancanza dei genitori. Così anche mia nonna, eravamo gli unici nipoti ed era sempre una festa vederla o andare a farle visita qui a casa sua. –
Mentre raccontava sembrava ancora di sentire a sottofondo Capricho Arabe, pensavo a quanto avessero sofferto Serena e Domenico, due ragazzi così giovani e così pieni di cicatrici.
- E poi che gioia quando nacque la mia cuginetta, figlia di mia zia. Le mie giornate le trascorrevo a casa ad Altofonte, studiando, aiutando mia zia con la bambina e suonando la chitarra, mi diplomai e mi iscrissi ad architettura. Pian piano, non so perché mi stavo spegnendo, vivevo in quel limbo, protetta dal mondo esterno, senza grossi stimoli. -
La mia amica fece una pausa, prese in braccio Titti, stavo rivivendo la stessa situazione che mi era capitata con l’ingegnere Tommasini, stavo entrando nella vita di un’altra persona. Accarezzò il cane e riprese – Poi c’è stato l’altro grande dolore nella mia vita la malattia e la perdita di mia nonna. Questo fu ancora più doloroso della morte di mia madre, perché ero più grande e cosciente di quello che stava capitando, e poi perché era come se rivivessi il periodo della sofferenza di mia madre. Nell’agonia di mia nonna vedevo tutto quello che aveva passato mia madre. Una mattina di Maggio mia nonna ci diede definitivamente addio. Un’altra persona importante si era allontanata dalla mia vita. Lei non aveva che questa casa e un po’ di risparmi che aveva messo da parte dopo una vita di lavoro come sarta. Ed ecco che siamo giunti ad un altro giorno che cambiò nuovamente la mia vita. Il notaio convocò tutti i parenti per l’apertura del testamento, c’eravamo in quella stanza io mio zio mia zia e il marito di mia zia. Io non volevo nemmeno andarci, ma fu mia zia ad insistere per accompagnarla. Quello che lesse il notaio ci lasciò a bocca aperta. Il testamento lasciava tutti i beni a mia zia e mio zio e la parte che sarebbe toccata a mia madre a me e a mio fratello, ma disponeva che per un anno la casa sarebbe stata  abitata da me e Domenico, ci lasciava anche una somma di denaro necessaria per vivere  indipendenti per un anno. Il perché di questo gesto non lo capisco. E non lo capirono nemmeno i miei zii specialmente mio zio. Pensava che rifiutassi, così da poter vendere la casa e dividere il ricavato. Ed ero intenzionata ad accettare, quando poi parlando con mio fratello abbiamo pensato che accettare le volontà di mia nonna era un modo per onorarla, e poi perché ci doveva essere un motivo, una spiegazione nel suo gesto. Comunicammo la decisione ai miei parenti, mio zio non la prese bene, mi accusò di essere una viziata, che dovevo aiutare la famiglia, che ne stavo approfittando. Mia zia invece era triste perché ci aveva visto crescere ed ora si separava da noi, ci ripeteva comunque che la sua casa era sempre aperta per noi due, e che trascorso l’anno saremmo potuti tornare a vivere da lei. Il resto praticamente lo sai, ci siamo trasferiti qui e ne sono felice, ho tanti ricordi in questa casa, e una cosa mi sono prefissata di fare.. mia nonna amava le rose bianche, ne teneva sempre una sul vaso di cristallo nell’ingresso. Non passa una settimana che non metta una rosa bianca fresca, non dovrà mancare mai in questa casa fino a quando ci starò io. Ora quando passerà questo anno, non avrò più niente, proprio nulla. Non penso di tornare da mia zia, non sarebbe giusto. E non so il significato del gesto di mia nonna. Questa è la mia storia. –
Non sapevo cosa dirle, rimasi in silenzio, ora ogni cosa che c’era in quella casa aveva un significato, mi ritrovavo nella stessa situazione di non saper cosa dire, ma forse non era necessario dire niente, apprezzavo che mi aveva reso partecipe di un pezzo della sua vita. Ci alzammo, mi venne spontaneo abbracciarla e darle un bacio sulla fronte. Mi fece un sorriso e mi disse, cambiando tono di voce – Allora alle quattro e mezza passa da qui che andiamo dalla vedova Leone, cercherò di fissare un appuntamento con lei. –
- Ok, ma niente pazzie! – rise e poi mi chiese – Andrea pensi ancora a quella ragazza, Sofia, vero? -
- Ogni tanto sì. – risposi.

Sorrise. – Puntuale mi raccomando. –

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