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Attesi qualche minuto, per essere
certo che l’ingegnere avesse lasciato il palazzo, poi scesi da Serena, sperando
di trovarla a casa. Bussai, non aspettai molto, la ragazza aprii la porta, fu
un po’ stupita di vedermi.
- Andrea ciao, stavo
proprio pensando a te, entra devo anche dirti un paio di cose.. -
Entrai, notai che era
vestita per uscire, pensavo che probabilmente stava per recarsi all’università.
Scorsi sul mobile dell’ingresso il vasetto di cristallo su cui spiccava una
bellissima rosa bianca. Questo fiore non mancava mai, solo adesso mi rendevo
conto che ci teneva tanto a non far mancare quel fiore nella sua casa. Mi fece
accomodare in salotto, trovai dei mobili molto belli, scuri e massicci. La
stanza però appariva luminosa, la luce filtrava dalle tende di lino bianco, e risplendeva
sull’argenteria lucidissima, posta sui vari tavolini. Vi erano diversi
merletti, i divani avevano tutti dei pizzi, sul pavimento erano posati dei
bellissimi tappeti persiani, tutto era tenuto pulitissimo, si sentiva proprio
il classico odore di casa pulita. Notai anche, poggiata sulla poltrona una
chitarra classica. Non sapevo che sapesse suonare.
– Accomodati – mi disse
gentilmente Serena.
Mi sedetti sul divano e
prima che potesse parlare, l’anticipai – Poco fa ho ricevuto la visita
dell’ingegnere Tommasini. –
Serena mi guardò incredula,
spostò la chitarra e si sedette sulla poltrona – Ma stai dicendo sul serio? Ma
come ha fatto a rintracciarti? Ti ha chiesto della foto? Gli hai chiesto
qualcosa sull’omicidio dell’ingegnere Leone? –
- Non lo so come ha fatto a
trovarmi, della foto non mi ha detto niente, e non sono riuscito a fargli
nessuna domanda. -
- Non gli hai fatto nessuna
domanda? –
– No, ero imbarazzato, e
poi la sua visita inaspettata mi ha proprio spiazzato. Però sono certo che la
foto c’entra, non me ne ha parlato, ma era come se mi avesse dato un segnale,
un avvertimento. Serena dobbiamo restituirgliela e finirla una volta per tutte
con questa storia. –
Raccontai l’incontro con
l’ingegnere, le spiegai così le mie conclusioni. La mia amica ascoltò con
interesse il racconto, e alla fine concordava con me che questo fatto nascondeva
tante cose strane.
– Sicuramente, la sua
visita è legata alla foto. Forse stiamo ingigantendo la cosa, comunque hai
ragione dobbiamo restituirla. – disse Serena.
“Ingigantendo la cosa! Se sapesse della busta anonima contente le mie
foto e che qualcuno alle tre del mattino si sia recato a farmi prendere paura,
penso che capirebbe in che situazione ci stiamo cacciando. Meglio che le
racconti tutto.” Ero arrivato alla decisione di raccontarle tutto, quando lei
mi anticipò.
- Però – disse – possiamo
fare un ultimo tentativo, ti volevo parlare di un’idea per scoprire qualcosa di
più su quella foto. -
- Quale idea? – chiesi,
sapendo che mi sarei pentito subito per non aver chiuso del tutto il discorso.
Serena fece uno dei suoi
soliti sorrisetti pericolosi, si aggiustò i capelli e mi spiegò
-Vedi, un modo per sapere
se quello nella foto è l’ingegnere Leone è chiederlo a qualcuno che lo ha
conosciuto – annuì, fece un altro sorrisetto e continuò – e a chi meglio di sua
moglie possiamo chiedere? –
“Ecco, ora siamo a posto” –
Scusami, dovremmo presentarci dalla moglie e chiederle se riconosce suo marito
nella foto? –
Vidi che gli occhi di
Serena cominciavano a brillare – Si, anche se ho pensato ad un modo più carino
per presentarci a lei, fidati, fai fare a me. Ci presenteremo come giornalisti,
cercherò oggi stesso di ottenere un appuntamento con lei. –
- Va bene, però dopo la
restituiremo a Tommasini. – “Ecco, per non dire di no, mi metterò nei guai.
Perché sicuramente andremo incontro a grossi guai.”
- Allora ci vediamo alle
quattro a casa mia e andiamo dalla signora Leone, prima cercherò di contattarla
per fissare un appuntamento con lei. –
Serena aveva pianificato
tutto “E sia, tanto ormai che può capitare? fatto ciò restituirò quella
maledetta foto”.
Fissai la chitarra, Serena
se ne accorse la prese e mi invitò ad ascoltare, iniziò a suonare una melodia
che mi ricordava uno dei tanti viaggi che avevo fatto in Spagna. Il pezzo era
di difficile esecuzione, si intrecciavano ritmi andalusi a ritmi arabi, dal loro incontro nasceva
qualcosa di magico, di rilassante. Ripercorrevo con la mente quei magnifici
luoghi che avevo visitato, l’Andalusia Siviglia Cordoba, ricordavo la bellezza
di Ronda, l’Alhambra a Granada, la maestosa cattedrale di Toledo, la bellezza
di Madrid e quella sera che a Barcellona assistetti ad un’esibizione di
chitarristi zigani. Ricordo ancora quell’atmosfera quasi incantata che le loro
chitarre avevano creato in un cortiletto interno del Barrio Gotico. Non avevo
mai sentito il pezzo che Serena strava suonando con così tanta maestria, la
ammiravo. Un raggio di luce che riusciva a filtrare dalle tende ne attraversava
come una lama il viso illuminandone gli occhi, e con quale grazia teneva la
chitarra, non avevo mai visto suonarla in quella maniera, la teneva quasi
abbracciata col manico verso l’alto, sembrava quasi arpeggiare. Notai per la
prima volta la bellezza delle sue mani, aveva delle dita lunghe e affusolate.
Non c’era nulla da dire, era una ragazza molto affascinate, aveva un non so che
di magico. Mi abbandonai completamente ai miei ricordi spagnoli seguendo il
movimento delle sue dita che pizzicavano le corde.
Finì di eseguire il brano –
Ti è piaciuto? – mi chiese, sapendo già la risposta.
– Si, sei stata bravissima,
sai a cosa mi hai fatto pensare? Ai viaggi che ho fatto in Spagna. A Barcellona
assistetti ad un concerto di chitarra classica, e mi hai fatto provare la
stessa sensazione di magia che provai all’ora. –
- Questo pezzo è tra i miei
favoriti, si chiama Capricho Arabe, mia madre sapeva suonare benissimo la
chitarra, meglio di me, poi rimanevo incantata quando metteva i dischi del
maestro Andres Segovia, un giorno te ne farò sentire qualcuno. Ho sempre amato
questo strumento e poi è una specie di legame che ho con mia madre, questa
chitarra era sua, ed è proprio spagnola, viene da Madrid è stata fatta da un
liutaio famoso Antonio de Torres, vedi ha la particolarità di avere la cassa
più grande e l’incatenatura a ventaglio, rispetto alle chitarre normali, in
questo modo ha un’estensione tonale più ampia soprattutto nelle note più basse,
la regalò mio nonno a mia madre dopo un viaggio
in Spagna. Quando la suono mi vengono in mente tanti ricordi, e appena
finisco di eseguire un pezzo sono sempre più allegra. Sai a molte persone i
ricordi fanno male, a me no, anche se penso a persone care che non vedrò più,
ricordare a me fa bene. Ma parlami della Spagna, parlami dei tuoi viaggi, mi
interessano tantissimo, sogno di viaggiare non sono riuscita mai a farlo
purtroppo. -
Accontentai la richiesta di
Serena, le raccontai dei miei viaggi, le parlai della Spagna di tutto quello
che sapevo. Amavo viaggiare, avevo avuto la fortuna di girare molto, lei seguiva
tutto con attenzione, era affascinata dai miei racconti. Si vedeva che
aveva desiderio di allontanarsi di
partire per mete che fino adesso aveva potuto solamente immaginare e vivere
nella sua testa.
-Spagna! Deve essere un
luogo bellissimo, sai che mi hai fatto venire la voglia di andarci, dovrei
imparare la lingua però, ma a quanto mi hai detto è molto simile all’italiano.
–
Risposi sorridendo – Si,
sono due lingue che si somigliano molto. –
- Andrea, voglio
raccontarti parte della mia storia, e spiegarti anche quella di questa casa. Se
hai la pazienza di ascoltarmi. -
- Con piacere, non so
praticamente nulla di te. –
Posò la chitarra
appoggiandola sulla poltrona e incominciò a raccontare.
- Mia nonna aveva tre figli
un maschio e due femmine. La maggiore dei fratelli era mia madre. Come hai
capito, non ho più la mamma, è morta sette anni fa, mi lasciò che non ero che
appena un’adolescente, mentre mio fratello Domenico un bambino di nove anni. Puoi immaginare quanto fu grande
il dolore. Rimanemmo soli io mio padre e mio fratello. Mio padre, lavorava
nelle navi mercantili. Imbarcato sette mesi l’anno, dopo la morte di mia madre
i mesi in cui stava imbarcato aumentarono fino a quando non lo si vedeva per
una settimana l’anno. Io e Domenico andammo a vivere ad Altofonte dalla sorella
di mia madre. Lei non ci faceva mancare niente cercava di riempirci
dell’affetto di cui avevamo bisogno dovuto dalla mancanza dei genitori. Così
anche mia nonna, eravamo gli unici nipoti ed era sempre una festa vederla o
andare a farle visita qui a casa sua. –
Mentre raccontava sembrava
ancora di sentire a sottofondo Capricho Arabe, pensavo a quanto avessero
sofferto Serena e Domenico, due ragazzi così giovani e così pieni di cicatrici.
- E poi che gioia quando
nacque la mia cuginetta, figlia di mia zia. Le mie giornate le trascorrevo a
casa ad Altofonte, studiando, aiutando mia zia con la bambina e suonando la
chitarra, mi diplomai e mi iscrissi ad architettura. Pian piano, non so perché
mi stavo spegnendo, vivevo in quel limbo, protetta dal mondo esterno, senza
grossi stimoli. -
La mia amica fece una
pausa, prese in braccio Titti, stavo rivivendo la stessa situazione che mi era
capitata con l’ingegnere Tommasini, stavo entrando nella vita di un’altra
persona. Accarezzò il cane e riprese – Poi c’è stato l’altro grande dolore
nella mia vita la malattia e la perdita di mia nonna. Questo fu ancora più
doloroso della morte di mia madre, perché ero più grande e cosciente di quello
che stava capitando, e poi perché era come se rivivessi il periodo della
sofferenza di mia madre. Nell’agonia di mia nonna vedevo tutto quello che aveva
passato mia madre. Una mattina di Maggio mia nonna ci diede definitivamente
addio. Un’altra persona importante si era allontanata dalla mia vita. Lei non
aveva che questa casa e un po’ di risparmi che aveva messo da parte dopo una
vita di lavoro come sarta. Ed ecco che siamo giunti ad un altro giorno che
cambiò nuovamente la mia vita. Il notaio convocò tutti i parenti per l’apertura
del testamento, c’eravamo in quella stanza io mio zio mia zia e il marito di
mia zia. Io non volevo nemmeno andarci, ma fu mia zia ad insistere per
accompagnarla. Quello che lesse il notaio ci lasciò a bocca aperta. Il
testamento lasciava tutti i beni a mia zia e mio zio e la parte che sarebbe
toccata a mia madre a me e a mio fratello, ma disponeva che per un anno la casa
sarebbe stata abitata da me e Domenico,
ci lasciava anche una somma di denaro necessaria per vivere indipendenti per un anno. Il perché di questo
gesto non lo capisco. E non lo capirono nemmeno i miei zii specialmente mio
zio. Pensava che rifiutassi, così da poter vendere la casa e dividere il
ricavato. Ed ero intenzionata ad accettare, quando poi parlando con mio
fratello abbiamo pensato che accettare le volontà di mia nonna era un modo per
onorarla, e poi perché ci doveva essere un motivo, una spiegazione nel suo
gesto. Comunicammo la decisione ai miei parenti, mio zio non la prese bene, mi
accusò di essere una viziata, che dovevo aiutare la famiglia, che ne stavo
approfittando. Mia zia invece era triste perché ci aveva visto crescere ed ora
si separava da noi, ci ripeteva comunque che la sua casa era sempre aperta per
noi due, e che trascorso l’anno saremmo potuti tornare a vivere da lei. Il
resto praticamente lo sai, ci siamo trasferiti qui e ne sono felice, ho tanti
ricordi in questa casa, e una cosa mi sono prefissata di fare.. mia nonna amava
le rose bianche, ne teneva sempre una sul vaso di cristallo nell’ingresso. Non
passa una settimana che non metta una rosa bianca fresca, non dovrà mancare mai
in questa casa fino a quando ci starò io. Ora quando passerà questo anno, non
avrò più niente, proprio nulla. Non penso di tornare da mia zia, non sarebbe
giusto. E non so il significato del gesto di mia nonna. Questa è la mia storia.
–
Non sapevo cosa dirle,
rimasi in silenzio, ora ogni cosa che c’era in quella casa aveva un
significato, mi ritrovavo nella stessa situazione di non saper cosa dire, ma
forse non era necessario dire niente, apprezzavo che mi aveva reso partecipe di
un pezzo della sua vita. Ci alzammo, mi venne spontaneo abbracciarla e darle un
bacio sulla fronte. Mi fece un sorriso e mi disse, cambiando tono di voce –
Allora alle quattro e mezza passa da qui che andiamo dalla vedova Leone, cercherò
di fissare un appuntamento con lei. –
- Ok, ma niente pazzie! –
rise e poi mi chiese – Andrea pensi ancora a quella ragazza, Sofia, vero? -
- Ogni tanto sì. – risposi.
Sorrise. – Puntuale mi
raccomando. –
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