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martedì 3 dicembre 2013

CAPITOLO 7 IL GIOCO DEL RAGNO

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Il giorno dopo a casa di Alessio non fu una domenica qualunque, le partite furono snobbate, il televisore mandava immagini che venivano intraviste con disinteresse. Teneva banco la pazzia che avevo compiuto il giorno prima.
- Ma sei impazzito? -  continuava a ripetermi Sergio, mentre sgranocchiava salatini disteso sul letto di Alessio. – Ma lo sai cosa hai rischiato? –
- Ragazzi ora sapete tutta la storia, ho agito d’istinto, forse anche per effetto
dell’alcool. –
Avevo raccontato, tutta la storia ai ragazzi, partendo da quel pomeriggio, quando Titti si era intrufolata nella casa dell’ingegnere.
- Sì, ho capito, ma ti rendi conto che hai rubato un oggetto? Che ti potevano scoprire? Che devi ringraziare, che hai trovato quella povera vecchia? E se si sono accorti del furto? –
Sergio era paonazzo dalla rabbia, aveva ragione, la mattina dopo mi ero reso conto della sciocchezza che avevo fatto, “per cosa poi?”
– Per cosa poi? - continuò il mio amico, quasi leggendomi nel pensiero – Insomma cosa prova? Cosa ci sarebbe di strano se si fossero conosciuti? O se erano ancora amici? –
Le sue osservazioni erano tutte giuste, avevo commesso una grossa stupidaggine, e anche se non mi aveva portato, fin li, delle conseguenze mi aveva dato un grosso senso di colpa. Avevo commesso un furto, preso in giro un signora gentile, che mi aveva dato la sua completa fiducia. Mi sentivo addosso un grosso senso di colpa. Tutto questo per prendere una vecchia foto.
Provai a giustificarmi – Hai perfettamente ragione, non riesco a capire cosa mi abbia preso. Sara stato il fatto che avevo bevuto. Sono stato uno stupido. –
Sergio era passato dai salatini alla birra, emise un rutto, prese la foto in mano, le diede un’occhiata, si scolò un altro sorso di birra, mise in bocca un’altra manciata di salatini e disse – Beh una piccola somiglianza col tipo che è morto c’è.. ma anche se fosse lui non ci vedo nulla di strano. –
In tutto questo, Alessio era rimasto in silenzio, ogni tanto durante il mio racconto assumeva delle espressioni che andavano dall’ incredulità al disgusto.
Ad un certo punto sbottò – Ma siete impazziti? E volevate che venissi pure io! Io avevo fiutato che c’era qualcosa di strano ieri sera, vi ubriacate e poi finite per andare a rubare foto a casa di sconosciuti. Poi faccio male io a rimanere a casa! Siete dei pazzi. –
Sergio riprese la parola, dopo che si era scolato la seconda birra – Andrea, devi restituire la foto e mettere punto a questa storia. –
Dopo la sentenza di Sergio rimanemmo in silenzio a passarci e ripassarci quella foto, e ad ogni passaggio ne usciva sempre un borbottio. Fu Sergio a rompere il silenzio – Andrea, per me è quella ragazza, Sofia, che ti fa fare queste sciocchezze. Devi dimenticarla. –
Comprendevo le parole del mio amico, e forse in parte aveva ragione, cercavo un’ evasione forse per distrarmi dalla realtà, il mio amico guardò poi l’orologio e disse – A proposito di donne, devo andare da Sabrina, altrimenti mi uccide se ritardo. –
Guardai l’ora, decisi che anche per me era ora di tornare a casa. Salutammo Alessio e scendemmo in portineria, dove trovammo Serena e Domenico che stavano scaricando dalla macchina e portando dentro degli scatoloni. Li salutammo. Sergio prima di andare mi disse – Mi raccomando Andrea, non fare altre stupidaggini. – Gli sorrisi e calai la testa, ci salutammo e andò via.
Mi avvicinai al portone del palazzo, volevo chiedere ai due ragazzi se avevano bisogno di aiuto, stavo per rivolgermi a Serena che mi anticipò – Andrea, posso chiederti un favore? –
-Dimmi! Serve una mano per portare questi scatoloni su da te? – Lei fece un grosso sorriso, che già voleva dire tutto.
Così portammo in casa sua quattro scatoloni pieni di roba.
L’appartamento che fu della signora Sarastro, mi apparve una casa con mobili molto belli, antichi e massicci, cozzava col fatto che ora erano vissuti da due ragazzi, e conferiva al resto dell’ambiente un’aria austera, i loro colori scuri sembravano assorbissero tutta la luce. Su un tavolino nell’ingresso spiccava una rosa bianca, che stava sfiorendo, contenuta in un piccolo porta fiori di vetro. Serena si avvicinò mi strinse  un braccio e mi fece un sorriso, capì che la casa mi stava trasmettendo un senso di inquietudine, forse era la stessa sensazione che avevano provato lei e Domenico, quando si erano trasferiti lì.
Mi fece un sorriso – Lo so, Andrea, questa casa incute un po’ di timore, forse saranno i mobili così scuri, ma credimi di giorno è molto bella e armoniosa. Questa era la casa di mia nonna. Eravamo molto legati a lei, e ci manca tanto, è stata una grossa perdita, qui è come se sentissi sempre la sua presenza. Vieni ti offro una tazza di caffè, ti prego di accettare, sei stato nuovamente gentilissimo. –
Accettai con piacere, Serena era una persona piacevole, mi sentivo a mio agio con lei, era come se ci fossimo conosciuti da sempre. La seguii in cucina, mise su la caffettiera e ci sedemmo attorno al tavolo. Notai che aveva dei bellissimi occhi castano chiaro, molto profondi, mi resi conto che non l’avevo mai vista così, era la prima la volta, che la guardavo con attenzione, i suoi capelli castani che andavano sul miele, le incorniciavano un viso tondo di carnagione chiarissima. Era decisamente una bella ragazza. Mi sfiorò le mani – Andrea – la sua voce sembrava un po’ stanca, si vedeva che aveva avuto una giornata pesante – ti ringrazio ancora, di tutto –
La bloccai  – Ma di cosa? Figurati! È stato un piacere, e poi non avevo niente da fare – sorrisi – la domenica non faccio mai niente di speciale. –
Il caffè stava iniziando a fuoriuscire dalla caffettiera, Serena si alzò prese due bellissime tazze di porcellana e ne versò dentro il liquido bollente.
-Ho sentito, non volendo – disse con un certo imbarazzo – un tuo amico consigliarti di non fare altre stupidaggini.. –
“Ecco che figura faccio? Le racconto tutto, almeno si farà una risata, spero solo che non mi prenda per pazzo.”
Arrossii e dissi – Si, ehm era Sergio, un mio amico che forse avrai notato altre volte perché anche lui abita qui. –
Finii di raccontare tutto quello che mi era capitato, non tralasciai nessun particolare, Serena ascoltò tutto con interesse e curiosità, lanciò più volte occhiatacce a Titti, che riposava accovacciata sul tappetino della cucina, ogni volta che nel racconto entrava lei come protagonista.
– Andrea mi dispiace, Titti ha combinato un bel casino – le scappò una risatina, che fu rafforzata dalla mia.
– Sono stato un incosciente vero? – le chiesi con imbarazzo, lei si aggiusto i capelli e mi rispose – Beh, si. Sei stato un po’ imprudente. –
“Ecco, bella figura di .., Andrea, che vuoi prima fai le cazzate, poi le racconti in giro e poi che pretendi? Anzi ritieniti fortunato che non ti prenda per pazzo e che non ti perquisisca prima di andartene, per vedere se hai rubato sue foto o magari una tazzina”. Provai a mettere una pezza – Comunque penso di restituirla la foto, e di chiedere scusa al proprietario, non so però come la prenderà. Ma è giusto che 
rimedi. –
Mi alzai, si era fatto tardi, lei mi guardò e mi disse – Aspetta. Raccontami tutta la storia,  mi parli di questa foto, e alla fine ti alzi e vorresti andartene così? Senza nemmeno farmela vedere? Forse non sai che sono curiosa come una scimmia? – Ridemmo insieme, estrassi la foto dalla tasca.
– Eccola, vedi. - 
La sua curiosità sembrava appagata, rimase assorta a guardarla per qualche minuto, poi disse – La vuoi sapere una cosa buffa? –
- Cosa? –
- Guarda – disse – ti sembrerò pazza – “ Bene, allora finalmente sono in compagnia”. – Non sono sicura, ma Pasquale De Felice, lo conosco. Io mi sto laureando in architettura, e in Facoltà c’è un professore, che insegna Storia Urbanistica delle città Italiane, è una materia facoltativa, che non è presente nel mio piano di studi, questo professore si chiama Pasquale De Felice, sinceramente non ricordo adesso come sia. Ma potrebbe essere lui. –
Rimasi sbigottito “Ecco allora, adesso di pazzi ce ne sono veramente due”.
Serena sembrava veramente eccitate dalla cosa – Sai che facciamo? – le brillavano gli occhi – Una di queste mattine, mi accompagni in Facoltà e vediamo di trovare se c’è qualche somiglianza tra il prof e l’uomo raffigurato in questa foto! –
Le risposi di si, in fondo mi piaceva pensare che avrei passato una mattinata con lei.
– Ti ho fatto tornare il sorriso, Andrea! – disse.
Era vero mi stavo rendendo conto che avevo di fronte una persona molto simpatica.
- Andrea ti chiedo scusa, per il disturbo che ti ha dato Titti, ti ringrazio per le cortesie che mi hai fatto –
- Ma non ti preoccupare è sempre stato un piacere, anzi se hai bisogno, non hai che da chiamare. –
-Ora devo far ripetere storia latina a Domenico, ma poi – si interruppe un attimo, dall’ incertezza che aveva nel proseguire, sembrava avesse paura, di fare una gaffe – con la ragazza del tocco come è andata a finire? –
“Vorrei saperlo pure io” – Normale – abbozzai, le feci un sorriso e le strizzai l’occhio.
– Beh non ti preoccupare, Andrea, a volte le donne sono proprio stupide – disse. Mi stampò un bacio sulla guancia.

– Notte, e appena sono più libera, magari dopo le vacanze natalizie andiamo a vedere il nostro professore. -    

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