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giovedì 27 febbraio 2014

IL GIOCO DEL RAGNO CAPITOLO 21

                                          21

La splendida mattinata di sole, l’aveva invogliato ad uscire, a prendere un po’ d’aria. Si aggirava tra le bancarelle del mercato di Ballarò, vagava a passo lento senza meta. Girava intorno ai banchetti pieni di frutta, il colore lo attirava. Il mercato era linfa vitale che scorreva nelle vene di una città che ancora sonnecchiava. Sentiva le catene aromatiche, rilasciate dalla frutta esposta, salirgli al cervello. Provava una sensazione che non viveva più da tempo: era rilassato. Doveva non pensare.
Percorse tutto il mercato, oltrepassò l’ultima bancarella, continuò ad andare avanti, fino a che non si trovò davanti alle inferriate del cortile di una scuola elementare. Si accostò al muretto e appoggiò la testa su due sbarre di ferro che erano parte della ringhiera. Vide all’interno dei bambini che facevano ricreazione, chi giocava, chi mangiava, tutti sotto lo sguardo attento delle maestre.
“Chi è tuo padre Michè?” c’erano i bambini cattivi quelli, come diceva la sua amica, che venivano trattati male dalle famiglie. Ma poi apparvero gli altri.
Gli altri non erano bambini ma nemmeno uomini, ed erano diversi. Non erano ignoranti come le capre, apparivano sistemati, educati, sapevano parlare e non erano volgari. Erano diversi.. lui rimaneva spesso ad osservarli a spiarli.
Erano cattivi? Cattivi?! Sì, lo erano, anche se a volte gli capitò di ammirarli, gli capitò anche di pensare che sarebbe potuto diventare come loro.
No Michè sono cattivi. Alla sua migliore amica non disse mai nulla di loro. Avrebbe voluto parlargliene, ma non se la sentiva. E poi.. il tempo portò via la loro amicizia. Aveva il desiderio di rincontrarla, non l’avrebbe più rivista, lo sapeva benissimo.
Non si staccò mai più da loro. Non lo sapevano, ma lui era entrato nelle loro vite.. o forse no.
Li studiava, poi li abbandonava, poi ritornava sempre.
“Michè ora sai chi è tuo padre?”
“Sì, adesso lo so”.
Alzò lo sguardo, gli parve come se una maestra gli rivolgesse un saluto. Si girò e tornò indietro. Ripercorse la stessa strada, doveva distrarsi di nuovo.
Era di nuovo al mercato, sempre più affollato. Sentiva l’odore del sangue, si voltò a destra e vide su un bancone di macelleria, la testa di un capretto spellato fissarlo, mentre il macellaio stava tagliando con una grossa mannaia il suo corpo. Sangue. Girò lo sguardo, provava nausea. Sangue. Si guardò le mani. Sangue.
Procedeva a passo incerto. “Sei diventato strumento del male. Sei uno strumento del male”.
La testa gli girava, sentiva le scarpe scivolare in un liquido. Si voltò guardò in basso, aveva lasciato una striscia si sangue sulla strada. Si fermò si sedette sul marciapiede. La testa girava sempre di più, vide le suole delle scarpe, erano pulite, e nella strada non c’era nessuna striscia di sangue. La nausea era sempre più forte. Perse i sensi si accasciò al suolo.
-Sta male? Ce la fa a rialzarsi? –
-Sì, sì grazie. Ce la faccio. –
-Ma ha bisogno di qualcosa? –
- No no, sto bene, sto bene, grazie. –
Si rialzò, si asciugò la fronte sudata col fazzoletto.

L’unica cosa che forse poteva fare c’era. L’unico modo per essere neutralizzato, per bloccare quel male che stava facendo dilagare.

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