Translate

mercoledì 19 febbraio 2014

IL GIOCO DEL RAGNO CAPITOLO 20

                                           20

Due giorni dopo io e Serena ci trovavamo di nuovo insieme, l’occasione non era delle più allegre. Seduti sulla stessa panca della chiesa della Magione. Il funerale dell’ingegnere Tommasini, si celebrò giovedì mattina due giorni dopo il suo assassinio. In chiesa era presente la signora Rosa, il figlio con sua moglie e i nipoti. Seduti più indietro, qualche vicino di casa e pochi amici, ancora più indietro qualche giornalista. Nell’ultima fila io e Serena. Non ci eravamo più rivisti da quella notte. Dopo che riuscii a sfuggire dalle fiamme dell’appartamento dell’ingegnere tornai a piedi a casa, scambiai qualche parola al telefono con Serena, lei aveva accompagnato la signora Rosa prima al commissariato e poi nella mattinata a casa della vicina. Trascorsi quello che restava della notte in bianco, alla sette e mezza ero già al lavoro e appena tornai a casa crollai per il sonno. Adesso increduli partecipavamo al funerale.
La mattinata era fredda, anche se un bel sole risplendeva su un cielo senza nuvole. La funzione fu breve, fatte le condoglianze alla famiglia, ci congedammo dalla signora Rosa con un abbraccio che voleva dire tanto. Lasciata la chiesa ci sedemmo su una panchina del parco che sorgeva davanti alla Magione. Sentivamo ancora il peso che quella nottata ci aveva lasciato, Serena ne portava i segni in viso, aveva due profonde occhiaia.
-La polizia ti ha fatto domande ieri notte? - le chiesi prendendole una mano.
-No assolutamente. Ho solo detto che ero un’amica della signora e che l’avevo accompagnata per aiutarla a cercare l’ingegnere. Poi agli inquirenti non ha menzionato né il mio né il tuo nome. –
-Capisco. –
-Tu invece hai rischiato vero? Ma come ti è venuto in mente di andare a casa sua? –
-Volevo arrivarci prima dell’assassino, forse avrei potuto recuperare qualche cosa che poteva esserci d’aiuto per fare chiarezza, e invece lui era già lì e ha bruciato tutto.. guarda l’unica cosa che ho potuto salvare dalle fiamme. –
Estrassi dalla tasca, la foto che avevo preso dal cassetto della scrivania dell’ingegnere, e gliela porsi, puzzava ancora di benzina.
-Non capisco.. ma questo sei tu! –
-Sì, è uguale ad una di quelle che ricevetti a Gennaio in forma anonima. Serena credo che sia stato l’ingegnere a scattarle e a mandarmele. –
-Ma perché? Per via di quella maledetta foto che avevi preso da casa sua? –
-Non lo so.. può darsi.. forse mi aveva scambiato per qualcun 
altro. –
So chi sei.. l’ingegnere mi aveva pedinato, lui mi aveva mandato la busta contenente quelle foto, e sempre lui mi lasciò sotto il portone di casa il foglio.. So chi sei. Ricordo quando venne a casa mia e mi scrutò come se mi stesse analizzando. Non parlava, mi fissava solamente.. fino a quando non si sciolse, e mi parlò della sua vita della sua famiglia, della sofferenza che provava per la lontananza della figlia. Si era confidato con me, perché aveva capito che non ero io quello che stava cercando.
Poi dopo un po’ di tempo mi ha detto che era tutto a posto che sicuramente eri un bravo ragazzo..” così aveva detto la signora Rosa.
-Andrea pure io ho una cosa da mostrarti, riguarda la notte della morte di Tommasini.. –
Aveva tra le mani un foglio stropicciato, me lo porse.
-L’ho trovato accanto al corpo, l’ho messo in tasca e poi me ne sono dimenticata, l’indomani mi sono accorta che è una cosa importante, un altro messaggio scritto dall’assassino. –
Ora ricordavo.. mi era parso quella notte di scorgere un foglio tra le canne del letto del fiume. Lo stirai e lessi:

IN GIRUM IMUS NOCTE, ECCE ET CONSUMIMUR IGNI

-Sembrerebbe latino.. ma perché non l’hai dato alla polizia? –
-La notte dell’omicidio l’ho dimenticato in tasca, il giorno dopo avevo paura..-
-Paura?-
-Sì, paura.. paura della reazione della polizia, paura di finire in mezzo a tutta questa storia, paura di.. Andrea quello che ho visto è stato scioccante, la morte di un professore con il quale ho parlato due giorni prima, la morte di Tommasini, quel sangue, tu che sei stato minacciato e che ti sei salvato per miracolo.. –
- Si, ma capisci che potrebbe essere importante per le indagini? Ma poi che cavolo vuole dire questa frase? –
-Suona più o meno così – disse sistemandosi una ciocca di capelli – nella notte andiamo in giro, ecco si consuma con il fuoco. –
- Ma che vuol dire? Non ha molto significato. –
-Perché c’è qualcosa che in questa storia ha significato? –
Serena abbassò la testa, una lacrima le stava scendendo dal viso. Solo io potevo capire quanta tensione aveva addosso. La abbracciai e lei si strinse forte a me. Tra le mani avevo quel foglietto. L’unica cosa che mi faceva venire in mente erano le fiamme che avevo visto due sere prima.
-Posso prenderlo? – le chiesi – forse so chi mi può aiutare a capire cosa c’è scritto. -
-Certo tienilo pure. –
-Serena devo incontrare Lo Vecchio, e dargli la foto. -   
La mia amica si ritrasse dal mio abbraccio, il suo volto assunse un’espressione preoccupata, una luce cupa calò sui suoi occhi. Cominciò a torturarsi i capelli intrecciandoli e tirandoseli con le dita. La bocca si irrigidì, stava per parlare quando l’anticipai.
-Lo so.. mi espongo completamente in questo modo. –
-Sai che lui potrebbe essere uno degli ultimi elementi di questa catena di omicidi? Sai che non sappiamo nulla di lui? E se è lui ad aver commesso questi crimini? Che ne sai tu? Perché devi rischiare? –
-Perché se non lo faccio io lo faresti tu, ne sono sicuro. Quell’uomo rischia di essere ucciso. Gli lascio la foto, se vuole intendere intenda. Magari sono solo coincidenze, magari mi prenderà per pazzo. Ma lo devo fare. –
-Quando pensi di incontrarlo? -
-Proverò la settimana prossima, in coincidenza del mio giorno libero. Andrò all’università, il suo assistente aveva detto che ci sarebbero stati esami. –
Rimanemmo in silenzio gli sguardi persi nel vuoto, intanto gli addetti dell’agenzia funebre aveva sistemato la bara nella Mercedes nera. I parenti e gli amici dell’ingegnere salirono ciascuno nelle proprie auto, erano ora pronti ad accompagnarlo per l’ultimo giro per le strade di questa città.
-Chissà se l’amava? –
-Cosa? –
-Questa città. –
Serena scosse la testa – Penso che ormai fosse indifferente, l’unica cosa a cui pensava era alla famiglia che aveva avuto.. – poi respirò profondamente e riprese – Si, hai ragione io farei la stessa cosa.. anzi farò la stessa cosa.. infatti continueremo insieme le nostre indagini. –
La parola nostre la sottolineò facendomi un bellissimo sorriso.
-Sai che sto imparando lo spagnolo? Da quando mi hai parlato della Spagna me ne sono innamorata. –
Cominciai a ridere.
 – Bene, allora poi lo insegnerai a me e poi chissà andremo a vivere lì. –
-Fai meno lo spiritoso, mister Sherlock Holmes, che ancora non riesco a spiegarmi come hai collegato quella sorta di triangolino al punto esatto dove si trovava il corpo del povero ingegnere. E poi il delta dell’Oreto! Come se quello fosse un fiume grande come il Po! –
-Beh si, forse era solo un segnetto senza significato. E stato allora un colpo di fortuna. Ma potrei anche averci visto giusto. –
La guardai dritto negli occhi cercando di trattenere una risata.
-Sai – continuai – spesso le menti più razionali si spingono troppo in la con la razionalità che ne varcano il confine e cadono nell’irrazionalità. –

Mi guardò seria, non disse nulla per qualche secondo e poi esclamò –  Dio, ora questo ragazzo pure filosofo è!

Nessun commento:

Posta un commento