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giovedì 6 marzo 2014

IL GIOCO DEL RAGNO CAPITOLO 22

                                                22   

Alle dieci del mattino mi trovavo all’entrata del dipartimento di meccanica della facoltà di ingegneria. Il bidello era dentro il gabbiotto, aveva uno sguardo spento e sonnolento, fisso alla parete di fronte.
-Mi scusi, cerco il professore Lo Vecchio. –
Il bidello si destò dal suo torpore, sbadigliò e disse –Secondo piano, si sbrighi perché sta facendo esami. –
Salii al secondo piano, ero già stato lì, ricordavo quel pomeriggio con Serena quando Lo Vecchio non ci potette ricevere, lì c’era infatti lo studio del professore, stavolta la porta era chiusa. Era invece aperta la porta di un'altra stanza, e attorno ad essa vidi una grande concentrazione di ragazzi. Alcuni stanziavano davanti l’ingresso, altri chiacchieravano fuori, altri ancora ripassavano sfogliando quadernoni pieni di appunti, c’era anche chi passeggiava avanti e indietro per smaltire la tensione.
Mi feci largo ed entrai, la stanza era molto grande, più di quanto mi aspettavo. C’era una grande finestra da cui entrava la luce che irradiava l’ambiente, due grandi librerie in ferro a giorno, un grande tavolo in legno al centro e accanto a questo una lavagna. Seduti ai due capi del tavolo c’erano l’ingegnere Lo Vecchio e il suo assistente Uva. L’ingegner Uva era intento a correggere un esercizio, aveva accanto un ragazzo che probabilmente lo aveva appena svolto. Dall’altra parte vicino alla lavagna si trovava il professore.
Aveva uno sguardo da rapace, immobile con la pipa spenta in bocca, sembrava un busto di marmo, con gli occhi grigi fissi sullo studente che in piedi col gesso in mano attendeva le domande.
Notai che l’attenzione degli studenti era rivolta tutta sul professore, c’era un silenzio e una tensione che si tagliava col coltello.
-Senta – il professore pronunciò questa parola in modo quasi faticoso, come se sapesse già come sarebbe finito l’esame, con una pausa che sembrò durare un’eternità – mi parli del diametro economico di una tubatura e dello spessore economico del coibente. –
Tutti si appuntarono le domande sul quaderno. Il ragazzo cominciò a scrivere delle formule nella lavagna.
L’ingegner Uva nel frattempo continuava l’esame all’altro ragazzo. Uno studente accanto a me aveva finito di prendere appunti e tamburellava con la penna sul quaderno.
-Scusa, come sono andati gli esami fin’ora? – gli chiesi.
-Male, su otto ha promosso solo il primo. –
Ripensavo a com’ era stato apostrofato il professore dal figlio dell’amica della vedova di Vincenzo Leone “è una carogna”.
-Ma non sta’ esaminando anche l’ingegner Uva? –
-Sì, ma lui fa svolgere solo la prova scritta, poi suggerisce un voto che riguarda solamente lo scritto al professore. Se il professore ritiene almeno sufficiente lo scritto gli fa sostenere la prova orale, ed è lui ad esaminarlo. –
Uva aveva finito di esaminare il suo studente, ora era intento a seguire l’interrogazione del professore. Il ragazzo alla lavagna stava annaspando, Lo Vecchio era visibilmente spazientito.
-Senta, vediamo se sa meglio quest’altro argomento. Vede cosa c’è disegnato nella parte sinistra della lavagna? E’ lo schema di un circuito ad anello, bene mi calcoli la perdita di potenziale nel punto indicato con la lettera A. –
Il tempo sembrava non passare mai, il ragazzo cominciava a sudare, cercava di argomentare tesi che però trovavano solo la bocciatura da parte di Lo Vecchio.
-Senta.. –
Il ragazzo accanto a me, mi tirò leggermente il giubbotto per attirare la mia attenzione.
-Il terzo senta è sentenza, guarda. – ridacchiò.
-.. forse è meglio che vada a studiarsela meglio. Va bene? –
Domanda retorica.
-Visto, anche lui bocciato. Oggi non è giornata, pensa che io sono il penultimo ad essere interrogato, speriamo che non sia oggi. –
Il professore si rivolse ad Uva.
-Allora, Paolo come è andato questo ragazzo? Che scritto ha fatto? –
L’ingegnere scosse la testa –Professore, possiamo arrivare a stento a quindici. – sentenziò.
Il professore si rivolse direttamente allo studente. – Se vuole, l’orale lo può sostenere. Ma guardi, visto lo scritto le consiglio di andare a studiare la materia. Allora cosa vuole fare?-
Lo studente disse che voleva sostenere lo stesso l’orale, il professore si irritò. Gli chiese la rete ad anello, al primo errore lo mandò.
Mandato anche questo studente Lo Vecchio si alzò e rivolto alla platea di ragazzi che dovevano essere esaminati disse:
-Bene, ora facciamo una pausa, il tempo di un caffè e riprenderemo con gli esami. Oggi devo terminare l’appello, quindi continueremo di pomeriggio. –
La cosa fece mugugnare i ragazzi. Una studentessa chiese se poteva interrogare il giorno dopo o la settimana successiva. Il professore fu categorico, doveva finire entro quel giorno.
Appena uscii dalla stanza mi avvicinai a Lo Vecchio.
-Professore mi scusi. –
-Cosa vuole? – disse senza rivolgermi uno sguardo.
-Dovrei parlarle. –
-Se si tratta dell’esame, come ho appena detto, non posso spostarlo. –
-No, dovrei parlarle di un’altra questione. –
-Senta, passi alle due al mio studio. -  
Alle due meno dieci ero già davanti la stanza del professore, la porta era aperta. Lo trovai intento a scrivere al computer. Bussai, senza distogliere lo sguardo dal monitor, mi fece segno di entrare. Lo studio era ricco di oggetti, sulla parete dietro la scrivania erano appese diverse foto, che avevano come soggetto principale il professore, spiccava anche una grande riproduzione del celebre quadro di Klimt il bacio. Dopo circa un minuto il professore, si girò verso di me.
-Ah è lei! – esclamò, girandosi nuovamente verso il monitor.
-Professore, scusi se la disturbo.. ecco sono venuto per.. – la voce mi tremava, quell’uomo mi metteva soggezione e poi avevo paura che mi prendesse per pazzo - .. le vorrei fare vedere una foto. –
-Una foto? – finalmente riuscii a catturare completamente la sua attenzione.
-Si segga prego, di che foto parla?-
Non sapevo da dove iniziare, il professore dimostrava dieci anni in meno rispetto a De Felice e Tommasini, aveva un aspetto molto più curato, un fisico asciutto, si vedeva che praticava sport e poi due occhi grigi magnetici che ti catturavano.
-Guardi, sono venuto in possesso casualmente di una foto, dove sono raffigurati quattro giovani, è presente anche una sorta di didascalia nella quale sono indicati i nomi di questi quattro ragazzi. La foto è in bianco e nero, e sarà stata scattata un quarantina di anni fa. Penso che uno di questi uomini presenti nell’immagine sia lei, quanto meno c’è il suo cognome. Ma la cosa curiosa, ed anche macabra, è che.. le altre tre persone sono, e lo dico con certezza, l’ingegnere Leone, il professor De Felice e l’ingegner Tommasini.. che come saprà sono tutti e tre vittime di quei misteriosi omicidi che stanno gettando la città nel panico. –
Il professore rimase impassibile al mio racconto, non mi tolse nemmeno per un secondo lo sguardo.
-Lei ha con sé la foto? Può mostrarmela? –
Gliela porsi, la analizzò con quei suoi occhi che sembravano uno scanner, non disse nulla per qualche minuto, poi la posò sopra la carpetta che aveva sulla scrivania, prese la sua pipa spenta che riposava dentro un portacenere vuoto, la mise in bocca, poi se la allontanò dalle labbra.
-Perché è venuto da me con questa foto? –
-Perché, anche se penso che tutto questo sia solo una coincidenza e che mi sono fatto congetture sbagliate. Qualche dubbio dopo la morte di Tommasini mi è venuto. E mi sentivo in dovere di avvertirla. Sta a lei adesso decidere come comportarsi. –
Lo Vecchio tirò fuori da un cassetto uno stick aperto di caramelle per la tosse. Me ne offrì una –Stia attento che sono forti, non amo le caramelle o i dolci, ma di queste non posso farne a meno. –
Ne presi una, che scartai e misi subito in bocca, sapevano di menta balsamica molto forte, tossii un poco. L’ingegnere sorrise, poi si fece di nuovo serio.
-Si sono io quello in foto, e riconosco anche gli altri. Con Leone sono rimasto
amico praticamente fino alla morte. Gli altri non li ricordo, eravamo giovani, dovrebbe risalire a più di quaranta anni fa. Ci trovavamo al dopo lavoro ferroviario. Iniziai a lavorare alle ferrovie, poi mi dedicai all’insegnamento. No gli altri non mi vengono in mente. In ogni modo penso che sia solo una casualità. –
-Ma non si è chiesto perché l’ingegnere Leone sia morto in quella maniera? Non si è chiesto se gli altri omicidi siano collegati a quello del suo amico? –
-Certo che mi sono posto queste domande. Ma il fatto è che mi sono anche dato una risposta. Una risposta diversa da quelle che ipotizzano i media o i palermitani. Vuole sapere qual è?  Sarà morto perché incappato in qualche situazione poco limpida. E non mi riferisco certo, a sette, riti, ordini oscuri o sciocchezze di questo genere. Ma in cose che accendono meno le fantasie, ben più banali. Come, donne, gioco o debiti. Non penso nemmeno alla criminalità organizzata, Vincenzo non era proprio il tipo. –
-E gli altri omicidi? E la strana coincidenza che tutti e tre i morti siano raffigurati in questa foto? –
-Senta – era un senta tra lo stanco e lo scocciato, quello che generalmente usava prima di mandare un suo studente – mi creda sono tutte stupidaggini, non nego che il dubbio che siano in qualche maniera collegati non mi sia venuto, però il motivo sarà molto banale. La gente però si esalta anche di fronte al male, anzi forse si esalta maggiormente davanti al male che al bene. Li vede? Sono tutti frenetici, si parla solamente di questi delitti e si seguono le piste più disparate. Più oscure sono, più le persone le credono plausibili, il mondo è assetato di irrazionalità. –
Riposò la pipa nel posacenere, guardò l’orologio che aveva al polso, erano già le due e mezza. Si sentivano i ragazzi parlottare nel corridoio in attesa della ripresa degli esami.
-A momenti dovrebbe arrivare l’ingegner Uva. Sente? Ecco chi mi vorrebbe fare fuori.. i miei allievi. – disse ridendo.
-Comunque, la ringrazio del suo scrupolo. In fondo tutto è possibile. È stato cortese, signor? –
-Restivo, Andrea Restivo. – mi alzai, gli strinsi la mano, feci per andare, quando mi fermò .
– Signor Restivo aspetti.. ha dimenticato la sua foto. –
Non riuscivo a capire come quell’uomo potesse rimanere così calmo e indifferente alla morte del suo amico e dei suoi ex colleghi, tanto da avere un totale distacco dai fatti che erano accaduti.
Nel corridoio una ragazza mi fermò e mi chiese di che umore fosse il professore.

 – Ottimo. – risposi.

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