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giovedì 13 marzo 2014

IL GIOCO DEL RAGNO CAPITOLO 23

                                         23

“Ha dimenticato la sua foto..”, quell’uomo era glaciale, “è una carogna..
però rispetto a De Felice, non mi ha mentito, è stato sincero, ha ammesso senza esitazione di riconoscere gli uomini nella foto.”
Queste erano le considerazioni che stavo sviluppando il giorno dopo, seduto al mio posto di lavoro. La sera prima avevo raccontato tutti i particolari dell’incontro a Serena. Lei era certa di una cosa, Lo Vecchio non lo convinceva. Lo trovava sfuggente, troppo indifferente alla vicenda.
“Quest’uomo forse vuole apparire diverso da quello che in realtà è.”
La mia sensazione era quella che il professore indossasse una maschera.
“E’ abituato a portarla, si vede da come si comporta con i suoi allievi”.
Il fatto che potesse esistere un uomo talmente cinico e distaccato da tutto ciò che non era lui stesso, per me era inconcepibile.
“Quelle sue caramelle.. erano ottime, mi hanno sistemato la gola.. le devo comprare.”
Non facevo che pensare all’incontro con Lo Vecchio, rivivevo ogni particolare. Il turno stava quasi per finire, tra un’ora avremmo chiuso.
“Basta pensare a questo tizio.. è che è la routine a fregare..”
I miei pensieri continuavano a seguire la loro strada, indifferenti a ciò che accadeva intorno. Si interruppero quando sentii vibrare nella tasca del pantalone il cellulare. Era un messaggio inviato da Sofia.

Domani sera andiamo a mangiare un panino a Sferracavallo, pare ci sia una fiera di fine inverno! Non mancare!

Provai due sensazioni dopo che lessi l’sms, la prima di stupore, la seconda di contentezza. Ripensai al testo di una canzone di Tenco che diceva: ho capito che ti amo quando ho visto che bastava una tua frase per far sì che una serata come un’altra cominciasse per incanto ad illuminarsi.
“Ma non diciamo sciocchezze.. per me Sofia è solo un’amica.”
Il mio trainer di auto convincimento che la natura del sentimento fosse di amicizia, si interruppe quando la voce di un uomo mi chiese di effettuare dei pagamenti. Come di incanto i pensieri svanirono.
-Sì, mi scusi, la servo subito. –
Alzai lo sguardo, e riconobbi la persona che avevo di fronte a me allo sportello. Era il professor Nicolò, come ogni mese si presentava con un bel mazzo di bollette da pagare.
-Professore come sta? Mi scusi ero sovrappensiero! –
-Beata gioventù che ha il tempo di perdersi nei propri pensieri! – disse sorridendo.
Effettuati i pagamenti, gli feci segno di accostarsi di più a me.
-Professore, posso chiederle un favore? Si tratta di una curiosità. –
-Certo, mi dica pure. –
-Ecco guardi, si tratta di una frase in latino. Se cortesemente me ne può spiegare il significato. –
Porsi al professore il foglietto che aveva trovato Serena accanto al corpo dell’ingegnere Tommasini. Inforcò gli occhiali da lettura, si mise in disparte, mi chiese qualche minuto per poter esprimere un parere. Mentre, il professore pensava entrò nell’ufficio postale Serena.
Aveva un sorriso raggiante, si avvicinò a me senza esitazioni e mi diede un sonoro bacio sulla guancia.
-Andrea devo darti due notizie meravigliose! –
Non l’avevo mai vista così felice.
-La prima è che oggi ho dato l’ultimo esame. È andato benissimo. –
-Brava, ma che bella notizia! Non mi avevi detto niente che avevi l’esame oggi. –
-Scaramanzia, ma ora posso finalmente dirlo: ho finito! E tu sei stato il prima a
saperlo! –
-Serena dobbiamo festeggiare, dove vuoi andare? –
-Andrea, ora sono in uno stato pietoso per uscire, vieni invece a cenare a casa mia e magari dopo ci vediamo un dvd di un film che ho comprato qualche giorno fa. Domani invece se tu sei disponibile usciamo! –
-Perfetto, appena termino il turno vado in rosticceria e compro della pizza a taglio e poi ci vediamo il film. Per domani sera ho ricevuto un invito per andare a Sferracavallo, a quanto pare c’è una festa, non sarà come quella di San Cosmo e Damiano che si tiene a Settembre, ma se ti va ci potremmo andare insieme, altrimenti possiamo fare altro. –
Serena sorrise piena di entusiasmo, le sembrò un’ottima idea, mi raccontò dell’esame, poi passò a descrivermi sommariamente la trama del film che avremmo visto la sera. Era carica di adrenalina post esame.
-Scusate se vi interrompo ragazzi. – intervenne il professor Niccolò – ho analizzato la frase. –
-Scusi professore, vorrei spiegare a Serena che le ho dato la frase in latino trovata in un foglio di carta lasciato su un banco della sua facoltà.- le strizzai l’occhio, Serena capì al volo.
-Oh sì, professore, grazie, la mia era solo curiosità e Andrea ha pensato che lei avrebbe potuto decifrare il testo. –
-Ma si figuri, piuttosto spero di esserle d’aiuto. La frase non ha un gran significato, il testo dice: in girum imus nocte, ecce et consumimur igni, ora sebbene non insegni latino, e non ricordo bene le sue regole grammaticali, in girum non mi sembra sia una parola latina, questa frase in italiano suona come: in giro andiamo di notte, ecco si consuma con il fuoco. La frase di per se ha poco significato, almeno senza il contesto. La cosa particolare invece è che questa frase è.. aspetti provi a leggerla da destra verso
sinistra.. –
Feci come mi disse il professore, e con mio grande stupore leggendola da destra verso sinistra era sempre la stessa frase.
-Ma se la leggo al contrario è la stessa cosa! – esclamai.
Il professore ridacchiò compiaciuto – Si esattamente, si tratta di un palindromo, è una frase che letta al rovescio rimane identica. –
Serena prese il foglio la lesse al contrario, poi mi guardò con aria sorpresa.
-Ragazzi per ora frasi come queste vanno di moda. Con quello che sta succedendo, con tutti questi misteri a scuola mia gli studenti sono in fibrillazione. Vogliono sapere di massoneria, di riti esoterici, dei Beati Paoli, ogni giorno spunta una nuova setta. Molti si divertono a crearseli i misteri.- ridacchiò – Se volete posso chiedere un parere a mia moglie, lei insegna latino.. –
-Professore lei ha fatto tanto non c’è bisogno di altro, anzi la ringrazio per il tempo che ci ha concesso. –
Il professore sistemò gli occhiali nel taschino della giacca, mise in borsa le ricevute dei pagamenti e ci salutò calorosamente.
-Hai capito? È un palindromo. – dissi rivolgendomi a Serena.
-Sì, e penso che siamo di fronte ad un pazzo che si sta divertendo a terrorizzare la città. –
-Ormai ne siamo fuori Serena. – “Almeno spero” – pensiamo al film. –
La mia amica non ne era del tutto convinta, dalla faccia che assunse. La felicità era scomparsa dal suo viso.
-Allora vado a casa, appena finisci vieni direttamente da me. –
Si stava dirigendo verso l’uscita con passo sicuro e spedito, aveva un bel portamento.
“ E’ una bellissima ragazza” .
-Serena aspetta – si girò “E’ ancora più bella”, mi guardò con aria interrogativa.
– Mi dovevi dare la seconda notizia. –
-Ah sì, ma dovrai aspettare a domani sera! –
Mi strizzò l’occhio e uscì.        

La festa di San Cosmo e Damiano era proprio cominciata. Sarebbe durata giorno e notte. Sarebbero continuate le danze, sarebbe continuato il bere, non sarebbe cessato il rumore. Alla fine tutto divenne irreale e sembrava che niente potesse avere conseguenze. Per tutta la durata della festa, avevo la sensazione che dovevo urlare per farmi sentire. Era la stessa sensazione che si provava durante un combattimento. La calca era tale che un cameriere, tenendo la bottiglia sopra la testa, faticava a raggiungere il tavolo dove eravamo seduti io e Serena. La gente affluiva da tutte le parti, e dal fondo della strada udimmo avvicinarsi i tamburi. I tamburi con suoni sordi e sopra di loro i Santi che ballavano. Nella folla si vedevano i portatori della vara, che rappresentavano i pescatori, che andavano su e giù, il tutto illuminato da un immenso riflettore formato dalle luci di tutti i balconi di Sferracavallo. La strada era una massa compatta di danzatori, tutti uomini. Ballavano a tempo dietro altri pifferai e tamburini, indossavano abiti bianchi con fazzoletti rossi al collo. Nella mia testa risuonava il grido viva San Cosmo e Damiano! Viva!
Avevo paura di perdermi e di lasciami trasportare via dalla marea di gente, mi voltavo sempre verso Serena, era il mio punto di riferimento.
Tra la gente festante noto il professore Lo Vecchio, felice, ha lo sguardo rapito dall’immagine dei Santi. Dietro di lui un’ombra nera avanza, socchiudo gli occhi li sforzo per cercare di vedere chi si cela sotto quel cappuccio nero. Dalla manica della sua tunica spunta qualcosa di lucente, è la lama di un pugnale, il cui riflesso mi abbaglia. L’uomo sferra una pugnalata alle spalle del professore. Io urlo, urlo con quanto fiato ho in corpo, ma nessuno mi sente, nemmeno io riesco a udire la mia voce. Il rumore della festa sovrasta ogni cosa. Cerco di precipitarmi verso il professore. Ci metto una vita per arrivare da lui. Lui non c’è più, e nemmeno quella figura nera. Guardo per terra, vedo una gran pozza di sangue.. ha ucciso l’ingegnere! Cerco con lo sguardo Serena, non è più al suo posto, il tavolino dove era seduta è libero. Mi allontano da questa massa di gente. Sono da solo, la festa è davanti a me. Ora sento. È Serena. La voce proviene da una stradina alla mia destra, corro, devo raggiungerla. Li vedo, vedo Serena spalle al muro, davanti a lei l’uomo incappucciato. Perde sangue, l’uomo la sta accoltellando all’altezza dello stomaco più e più volte. Mi sente arrivare, scappa, mi butto su Serena. Urlo, urlo, non le esce che un ultimo sospiro, sono pieno del suo sangue, me lo sento addosso, me lo sento ovunque. Mi è morta tra le braccia.


Mi svegliai di botto, mi misi seduto sul letto, aprii gli occhi “è solo un sogno”. Lanciai un’occhiata ai piedi del letto, dove sapevo di trovarvi Chimay, che infatti stava dormendo lì. Avevo le spalle sudate, c’era caldo, scostai il piumone. Afferrai la sveglia sul comodino, erano le quattro. Si trattava solamente di un incubo questa volta. Mi rasserenai, mi distesi sul letto, mi abbracciai al cuscino e ripresi sonno.

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