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Don Arturo Pintacura fu
ucciso brutalmente con un colpo di lama nello stomaco, il corpo dell’anziano
prete, aveva ottant’anni, fu trovato esangue nella sacrestia della chiese di
San Giuseppe dei Teatini, da don Francesco Raso.
Pintacura ormai troppo
vecchio, non esercitava più le sue funzioni di culto, rimase però in quella che
da cinquant’anni era stata la sua chiesa.
La notizia colpì
profondamente la città, si aggiungeva un altro cruento assassinio alla serie,
il prete era conosciuto e molto amato era impegnato nel sociale, nella cura dei
bisognosi. Si occupava di trovare alloggi a persone che avevano perso tutto,
aiutava le ragazze madri a costruirsi un futuro.
L’uomo fu ucciso a pochi
passi da piazza Pretoria, sul corpo fu trovato il disegno di una croce
capovolta inciso sulla pelle dalla punta di un coltello, di una croce.
Ero rimasto sconvolto dalla
notizia, finito il turno di lavoro decisi di camminare a zonzo per la città, mi
serviva per scaricare la tensione e per riflettere.
L’omicidio di Pintacura era
legato agli altri omicidi, se non altro da come il povero prete fu ucciso,
sempre quel taglio allo stomaco, e quei simboli lasciati dall’assassino. Ma se
nei primi tre omicidi le vittime erano della stessa età e si conoscevano, don
Arturo apparentemente non aveva nulla in comune con i tre ingegneri uccisi.
Si stava diffondendo in
città una sensazione di minaccia, una figura nera si aggirava per le strade di
Palermo per colpire i suoi abitanti. Sembrava che tutti fossero nel mirino di
questo demone. Ad uccidere non era la mano di una setta come i Beati Paoli, che
si vendicava sui potenti dei soprusi che questi commettevano sui più deboli.
Non era nemmeno una faccenda tra uomini invischiati in loschi affari. La
sensazione era quella di un demone che colpiva chiunque, alla cieca.
Mi venne la pelle d’oca
quando pensai che mi ero trovato di fronte a quest’uomo per ben due volte, e in
entrambe le situazioni aveva tentato di uccidermi.
“E’ venuto fino a casa mia,
per farmi la pelle, quel bastardo”.
Quella figura nera, non
voleva uscire dalla mia mente. Sentivo ancora la pressione delle sue mani sul
mio collo. Mi passai una mano sotto il mento, portavo i segni del suo incontro.
“I tre ingegneri e De
Felice si conoscevano. Lo Vecchio lo ha ammesso senza problemi, ha riconosciuto
gli altri della foto. La vedova Leone ha riconosciuto suo marito, e ha detto
che il suo defunto consorte era in buoni rapporti con Lo Vecchio. De Felice
invece ha negato di essere lui uno dei quattro e che non conosceva Tommasini.
Tommasini da Novembre, dal raccontato della signora Rosa, iniziò a comportarsi
in maniera strana. Mi ha anche seguito, sicuramente era lui la persona che mi
ha spedito la busta con le foto che mi ritraevano all’ufficio postale, ed è
sempre suo il messaggio dove affermava di sapere chi fossi. Questo è provato
dalla foto che ho trovato nel cassetto della sua scrivania, la sera della sua
morte. Mi volle conoscere e capì che io non ero la persona che cercava, poi
dopo un po’ di tempo mi ha detto che era tutto a posto che sicuramente eri un
bravo ragazzo.
Lo Vecchio a differenza di
De Felice e Tommasini, si è comportato in modo distaccato, non ha mentito e
nemmeno ha reagito in modo strano alle mie domande. Poteva non essere coinvolto
come poteva anche dissimulare un suo coinvolgimento, l’indole glaciale e
distaccata lo aiutava.
I tre si conoscevano, forse
erano sotto ricatto dall’assassino. E quelle scritte in latino? La croce
capovolta? I messaggi alla cittadinanza? Forse appartenevano ad una setta. E
perché voleva uccidere anche me? Solamente per quella foto? E che ruolo aveva
don Pintacura?”.
Scendevo corso Vittorio
Emanuele, mi spingevo verso i Quattro Canti, la curiosità mi portava verso la
chiesa di San Giuseppe dei Teatini.
Riflettevo anche sulla
proposta che mi aveva fatto Serena.
“Dovrei lasciare tutto e
seguirla”.
Serena la vedevo con occhi
diversi, pensavo al bacio che ci eravamo dati, fantasticavo sulla nostra nuova
vita a Barcellona.
“Devo accettare, devo
partire con lei”.
La sera prima mi aveva
detto che in settimana sarebbe andata a Barcellona, per presentare il materiale
della tesi, mi chiese di seguirla. Le resposi che ci avrei pensato, che sarebbe
stato un po’ difficile lasciare il lavoro così su due piedi, lei non disse
nulla, ma solamente che aveva un po’ di mal di testa e ci separammo così.
Dovevo prendere una
decisione.
Davanti la chiesa di San
Giuseppe trovai un folto numero di persone all’entrata laterale, quella che si
affaccia su via Maqueda, di fronte la fontana di piazza Pretoria. C’era un
troupe televisiva della rete nazionale. L’inviato stava per collegarsi con lo
studio della Storia in diretta.
Mi avvicinai alla folla,
eravamo tutti in silenzio in attesa delle parole del giornalista.
Buonasera da Palermo,
siamo qui collegati di fronte a San Giuseppe dei Teatina, storica chiesa nel
cuore della città, infatti ci troviamo a pochi metri dai Quattro Canti e qui
alle mie spalle abbiamo il municipio. Ieri notte nella sacrestia di questa
chiesa si è compiuto un ennesimo efferato delitto. È stato ucciso con otto coltellate
allo stomaco don Arturo Pintacura, l’anziano ex parroco. L’assassino ha avuto
anche il tempo di sfregiare il corpo con la stessa arma con cui l’ha ucciso
disegnandogli una croce capovolta. Il corpo è stato trovato dall’attuale
parroco Francesco Raso.
Potete immaginare lo
spettacolo macabro al quale si è trovato dinanzi. A quanto pare dalla stanza di
don Pintacura è stata portata via la sua agenda. Gli inquirenti sono
possibilisti su un collegamento tra questo omicidio e quello degli altri tre
che si sono verificati in serie a Palermo. Ricordiamo che il primo omicidio,
quello dell’ingegnere Vincenzo Leone è stato commesso proprio qui dove sto
parlando io adesso. Un omicidio brutale, nel corpo dell’ingegnere fu conficcata
una croce. Un gesto mai visto e inspiegabile.
Il giornalista continuò il
collegamento, rispondendo alle domande dallo studio. Una signora cominciò ad
agitarsi, diceva che voleva parlare con lui, doveva intervenire, ma un uomo
della troupe la bloccò e la pregò di aspettare la fine della diretta.
Non appena l’inviato salutò
lo studio e il cameraman spense la telecamera, l’anziana signora chiamò urlando
il giornalista.
-Mi scusi, mi scusi. Lei ha
detto che un crocifisso ficcato na’ panza non si è mai visto. Invece le posso
dire che una cosa simile a Palermo già capitò-
-Come dice? Panza? –
-Sì, pancia. Io ho quasi
ottant’anni e mi ricordo questo fatto. Lo lessi nel Sicilia, e c’era anche il
disegno di questa croce conficcata na’ panza.-
-Nel Sicilia? Vuole dire
sul Giornale di Sicilia? –
-Sì sì, mi scusassi, ma
sono vecchia, sul giornale. –
-Capisco, signora, grazie,
approfondiremo la notizia che ci ha dato. Ora devo lasciarla, dobbiamo
lavorare. –
Sembrava più interessata a
racconto della signora la gente intorno che il giornalista.
Mi avvicinai a lei, volevo
saperne di più.
-Mi scusi signora, ma
quando è accaduto questo
fatto? –
-Ma saranno passati
cinquant’anni, all’epoca ero giovane. –
-E chi era questo uomo
ucciso? –
-Giovanotto, non lo
ricordo. Ricordo benissimo il disegno, mi vinniro i brividi. –
-E si ricorda dove fu
ucciso? –
-Alla Kalsa, vicino la
chiesa, in un palazzo che la stessa notte che stu cristiano fu ucciso, andò a
fuoco. –
La Kalsa non era molto
distante da dove mi trovavo, la zona corrisponde al quartiere tra via Roma e il
Foro Italico a ridosso di Porta Termini, una delle antiche porte della città.
La chiesa della Kalsa è un altro gioiello della città. Decisi di andarci, non
sapevo cosa avrei sperato di trovarci, ma mi incamminai subito.
Girai intorno la chiesa della
Kalsa, poi mi addentrai nelle stradine che la circondavano. Non sapevo cosa
cercare, un palazzo andato in fiamme cinquanta anni fa? I palazzi erano tutti
vecchiotti. Vagavo senza meta, quando in una di queste stradine trovai dei
vecchietti che messi attorno ad un tavolo, sistemato sul marciapiede, erano
intenti a giocare a carte.
-Scopa! – esclamò uno di
quei quattro vecchietti.
“Posso provare a chiedere a
loro se potevano confermarmi il racconto della signora”.
Mi avvicinai al tavolo, uno
dei quattro spiccava per la sua grande pancia. Appena si accorsero della mia
presenza smisero di giocare, e presero a fissarmi con aria incuriosita. Dal
tavolo si sentiva un intenso odore di vino.
“Questi vecchietti giocano
e bevono, hanno capito tutto della vita”.
-Buonasera, scusate posso
farvi alcune domande su un fatto accaduto tanti anni fa? –
Assentirono all’unisono.
-Si tratta di uno strano
omicidio avvenuto una cinquantina di anni fa in questo quartiere. Un uomo fu
accoltellato e poi sul taglio fu posto un crocifisso. La notte stessa
dell’omicidio, scoppiò un incendio che bruciò l’appartamento nel quale fu
ucciso. –
I vecchietti si guardarono
in faccia, sembrava che stessero cercando la memoria leggendo il viso
dell’altro. Ad un certo punto uno di questi, quello che era seduto accanto al
vecchio col pancione, disse di ricordare qualcosa.
-Si ricordo, ma questo
fatto accadde più di quarant’anni fa. Ma scusami tu per caso sei uno sbirro? –
a queste parole tutti e quattro scoppiarono a ridere.
-Poliziotto io? No, no sono
un giornalista. –
-Ah peggio ancora. – e
scoppiarono nuovamente a ridere.
-Fai lavorare a questo
picciotto, raccontagli sta storia e poi continuiamo a giocare. – intimò quello
col pancione al suo amico.
-Stu fatto, risale a
quarantacinque anni fa stavo dicendo. La storia è quella che ha raccontato lei.
Che vuole sapere di più? –
-Sa chi fosse quest’uomo? –
Il vecchio ridacchiò e
ammiccò agli altri suoi compari.
-Era un parrino. –
-Un prete? –
-Sì, un prete. Vuole sapere
che ci faceva in quella
casa? –
Se anche gli avessi
risposto che non me ne fregava nulla, me lo avrebbe detto comunque,
dall’eccitazione che aveva in faccia, sembrava che mi stesse per rivelare il
terzo mistero di Fatima.
-Era andato a trovare una..
una donna di strada. –
-Minchia come si fine.. io
la conoscevo con un altro nome. – intervenne uno dei compari.
-Ehm, e quest’appartamento
dove è stato ucciso il prete era della ehm signora? –
-E mio di sicuro non era –
rispose, e giù altre risate. – si era la casa dove viveva e riceveva. –
-La donna si è salvata? –
-No, è morta a causa
dell’incendio. Non si sono salvati, lui ucciso, lei bruciata. –
-Ma perché è stato ucciso?
–
I quattro vecchietti si
fecero seri, mi rispose quello con la pancia grossa.
-Questo è un mistero, chi
dice che sia stata la donna dopo una lite col prete, chi sostiene sia stata una
rapina. Non si è mai capito. –
-Certo la storia della
croce nello stomaco, non si è capita neppure. – aggiunse l’altro vecchietto.
-Ma dove aveva la chiesa,
questo prete? –
-Mi dispiace non ricordo.
Voi ricordate niente? – chiese ai suoi amici, ma tutti scossero la testa.
-Va bene, vi ringrazio, mi
siete stati d’aiuto. – tagliai io.
-Giovanotto, ma lei per
quale giornale lavora? –
“Già, ancora non l’ho
capito nemmeno io” ricordai la testata che si era inventata Serena quando ci
spacciammo per giornalisti a casa della signora Leone, mi venne da ridere.
-L’eco di Messina –
dissi con non chalance.
-Buttana la miseria! –
esclamò il vecchietto al lato del pancione.
-Finalmente l’hai detta la
parola buttana! – disse un altro.
-Giovanotto, hai fatto
questo viaggio fino a qui per sapere una notizia di tanti anni fa? –
-Questo è il lavoro.. –
risposi con aria sconfortata.
-E una foto non ce la fa? –
“Pure la foto vogliono!”
estrassi il cellulare dalla tasca.
-Certo. –
Scattai la foto, salutai questi
simpatici vecchietti e mi incamminai verso la stazione, dove avrei preso
l’autobus che mi avrebbe lasciato a casa.
“La croce infilzata nello
stomaca, la casa bruciata, ed ora è spuntato anche un altro prete”. Tutto stava
diventando sempre più intricato. “Ci sono ancora tante cose in sospeso..”.
Spuntai in via Roma, ero
quasi arrivato in stazione, la strada era come sempre trafficatissima di
macchine oltre che di persone, il mio sguardo si indirizzò verso un motorino
guidato da una persona che riconobbi subito anche se era coperta dal casco. Era
Sofia. Anche lei mi notò, si spostò sulla corsia riservata agli autobus, per
avvicinarsi e salutarmi, ma un vigile iniziò a fischiare invitandola a
proseguire la marcia. Lei alzò un braccio come me per mandarlo a quel paese,
alla fine costretta a proseguire, mi lanciò un saluto e un sorriso.
“C’erano ancora tante cose
in sospeso..”.
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