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giovedì 24 aprile 2014

IL GIOCO DEL RAGNO CAPITOLO 26



                                                 26

Don Arturo Pintacura fu ucciso brutalmente con un colpo di lama nello stomaco, il corpo dell’anziano prete, aveva ottant’anni, fu trovato esangue nella sacrestia della chiese di San Giuseppe dei Teatini, da don Francesco Raso.
Pintacura ormai troppo vecchio, non esercitava più le sue funzioni di culto, rimase però in quella che da cinquant’anni era stata la sua chiesa.
La notizia colpì profondamente la città, si aggiungeva un altro cruento assassinio alla serie, il prete era conosciuto e molto amato era impegnato nel sociale, nella cura dei bisognosi. Si occupava di trovare alloggi a persone che avevano perso tutto, aiutava le ragazze madri a costruirsi un futuro.
L’uomo fu ucciso a pochi passi da piazza Pretoria, sul corpo fu trovato il disegno di una croce capovolta inciso sulla pelle dalla punta di un coltello, di una croce.
Ero rimasto sconvolto dalla notizia, finito il turno di lavoro decisi di camminare a zonzo per la città, mi serviva per scaricare la tensione e per riflettere.
L’omicidio di Pintacura era legato agli altri omicidi, se non altro da come il povero prete fu ucciso, sempre quel taglio allo stomaco, e quei simboli lasciati dall’assassino. Ma se nei primi tre omicidi le vittime erano della stessa età e si conoscevano, don Arturo apparentemente non aveva nulla in comune con i tre ingegneri uccisi.
Si stava diffondendo in città una sensazione di minaccia, una figura nera si aggirava per le strade di Palermo per colpire i suoi abitanti. Sembrava che tutti fossero nel mirino di questo demone. Ad uccidere non era la mano di una setta come i Beati Paoli, che si vendicava sui potenti dei soprusi che questi commettevano sui più deboli. Non era nemmeno una faccenda tra uomini invischiati in loschi affari. La sensazione era quella di un demone che colpiva chiunque, alla cieca.
Mi venne la pelle d’oca quando pensai che mi ero trovato di fronte a quest’uomo per ben due volte, e in entrambe le situazioni aveva tentato di uccidermi.
“E’ venuto fino a casa mia, per farmi la pelle, quel bastardo”.
Quella figura nera, non voleva uscire dalla mia mente. Sentivo ancora la pressione delle sue mani sul mio collo. Mi passai una mano sotto il mento, portavo i segni del suo incontro.
“I tre ingegneri e De Felice si conoscevano. Lo Vecchio lo ha ammesso senza problemi, ha riconosciuto gli altri della foto. La vedova Leone ha riconosciuto suo marito, e ha detto che il suo defunto consorte era in buoni rapporti con Lo Vecchio. De Felice invece ha negato di essere lui uno dei quattro e che non conosceva Tommasini. Tommasini da Novembre, dal raccontato della signora Rosa, iniziò a comportarsi in maniera strana. Mi ha anche seguito, sicuramente era lui la persona che mi ha spedito la busta con le foto che mi ritraevano all’ufficio postale, ed è sempre suo il messaggio dove affermava di sapere chi fossi. Questo è provato dalla foto che ho trovato nel cassetto della sua scrivania, la sera della sua morte. Mi volle conoscere e capì che io non ero la persona che cercava, poi dopo un po’ di tempo mi ha detto che era tutto a posto che sicuramente eri un bravo ragazzo.
Lo Vecchio a differenza di De Felice e Tommasini, si è comportato in modo distaccato, non ha mentito e nemmeno ha reagito in modo strano alle mie domande. Poteva non essere coinvolto come poteva anche dissimulare un suo coinvolgimento, l’indole glaciale e distaccata lo aiutava.
I tre si conoscevano, forse erano sotto ricatto dall’assassino. E quelle scritte in latino? La croce capovolta? I messaggi alla cittadinanza? Forse appartenevano ad una setta. E perché voleva uccidere anche me? Solamente per quella foto? E che ruolo aveva don Pintacura?”.
Scendevo corso Vittorio Emanuele, mi spingevo verso i Quattro Canti, la curiosità mi portava verso la chiesa di San Giuseppe dei Teatini.
Riflettevo anche sulla proposta che mi aveva fatto Serena.
“Dovrei lasciare tutto e seguirla”.
Serena la vedevo con occhi diversi, pensavo al bacio che ci eravamo dati, fantasticavo sulla nostra nuova vita a Barcellona.
“Devo accettare, devo partire con lei”.
La sera prima mi aveva detto che in settimana sarebbe andata a Barcellona, per presentare il materiale della tesi, mi chiese di seguirla. Le resposi che ci avrei pensato, che sarebbe stato un po’ difficile lasciare il lavoro così su due piedi, lei non disse nulla, ma solamente che aveva un po’ di mal di testa e ci separammo così.          
Dovevo prendere una decisione.
Davanti la chiesa di San Giuseppe trovai un folto numero di persone all’entrata laterale, quella che si affaccia su via Maqueda, di fronte la fontana di piazza Pretoria. C’era un troupe televisiva della rete nazionale. L’inviato stava per collegarsi con lo studio della Storia in diretta.
Mi avvicinai alla folla, eravamo tutti in silenzio in attesa delle parole del giornalista.
Buonasera da Palermo, siamo qui collegati di fronte a San Giuseppe dei Teatina, storica chiesa nel cuore della città, infatti ci troviamo a pochi metri dai Quattro Canti e qui alle mie spalle abbiamo il municipio. Ieri notte nella sacrestia di questa chiesa si è compiuto un ennesimo efferato delitto. È stato ucciso con otto coltellate allo stomaco don Arturo Pintacura, l’anziano ex parroco. L’assassino ha avuto anche il tempo di sfregiare il corpo con la stessa arma con cui l’ha ucciso disegnandogli una croce capovolta. Il corpo è stato trovato dall’attuale parroco Francesco Raso.
Potete immaginare lo spettacolo macabro al quale si è trovato dinanzi. A quanto pare dalla stanza di don Pintacura è stata portata via la sua agenda. Gli inquirenti sono possibilisti su un collegamento tra questo omicidio e quello degli altri tre che si sono verificati in serie a Palermo. Ricordiamo che il primo omicidio, quello dell’ingegnere Vincenzo Leone è stato commesso proprio qui dove sto parlando io adesso. Un omicidio brutale, nel corpo dell’ingegnere fu conficcata una croce. Un gesto mai visto e inspiegabile.

Il giornalista continuò il collegamento, rispondendo alle domande dallo studio. Una signora cominciò ad agitarsi, diceva che voleva parlare con lui, doveva intervenire, ma un uomo della troupe la bloccò e la pregò di aspettare la fine della diretta.
Non appena l’inviato salutò lo studio e il cameraman spense la telecamera, l’anziana signora chiamò urlando il giornalista.
-Mi scusi, mi scusi. Lei ha detto che un crocifisso ficcato na’ panza non si è mai visto. Invece le posso dire che una cosa simile a Palermo già capitò-
-Come dice? Panza? –
-Sì, pancia. Io ho quasi ottant’anni e mi ricordo questo fatto. Lo lessi nel Sicilia, e c’era anche il disegno di questa croce conficcata na’ panza.-  
-Nel Sicilia? Vuole dire sul Giornale di Sicilia? –
-Sì sì, mi scusassi, ma sono vecchia, sul giornale. –
-Capisco, signora, grazie, approfondiremo la notizia che ci ha dato. Ora devo lasciarla, dobbiamo lavorare. –
Sembrava più interessata a racconto della signora la gente intorno che il giornalista.
Mi avvicinai a lei, volevo saperne di più.
-Mi scusi signora, ma quando è accaduto questo
fatto? –
-Ma saranno passati cinquant’anni, all’epoca ero giovane. –
-E chi era questo uomo ucciso? –
-Giovanotto, non lo ricordo. Ricordo benissimo il disegno, mi vinniro i brividi. –
-E si ricorda dove fu ucciso? –
-Alla Kalsa, vicino la chiesa, in un palazzo che la stessa notte che stu cristiano fu ucciso, andò a fuoco. –
La Kalsa non era molto distante da dove mi trovavo, la zona corrisponde al quartiere tra via Roma e il Foro Italico a ridosso di Porta Termini, una delle antiche porte della città. La chiesa della Kalsa è un altro gioiello della città. Decisi di andarci, non sapevo cosa avrei sperato di trovarci, ma mi incamminai subito.
Girai intorno la chiesa della Kalsa, poi mi addentrai nelle stradine che la circondavano. Non sapevo cosa cercare, un palazzo andato in fiamme cinquanta anni fa? I palazzi erano tutti vecchiotti. Vagavo senza meta, quando in una di queste stradine trovai dei vecchietti che messi attorno ad un tavolo, sistemato sul marciapiede, erano intenti a giocare a carte.
-Scopa! – esclamò uno di quei quattro vecchietti.
“Posso provare a chiedere a loro se potevano confermarmi il racconto della signora”.
Mi avvicinai al tavolo, uno dei quattro spiccava per la sua grande pancia. Appena si accorsero della mia presenza smisero di giocare, e presero a fissarmi con aria incuriosita. Dal tavolo si sentiva un intenso odore di vino.
“Questi vecchietti giocano e bevono, hanno capito tutto della vita”.
-Buonasera, scusate posso farvi alcune domande su un fatto accaduto tanti anni fa? –
Assentirono all’unisono.
-Si tratta di uno strano omicidio avvenuto una cinquantina di anni fa in questo quartiere. Un uomo fu accoltellato e poi sul taglio fu posto un crocifisso. La notte stessa dell’omicidio, scoppiò un incendio che bruciò l’appartamento nel quale fu ucciso. –
I vecchietti si guardarono in faccia, sembrava che stessero cercando la memoria leggendo il viso dell’altro. Ad un certo punto uno di questi, quello che era seduto accanto al vecchio col pancione, disse di ricordare qualcosa.
-Si ricordo, ma questo fatto accadde più di quarant’anni fa. Ma scusami tu per caso sei uno sbirro? – a queste parole tutti e quattro scoppiarono a ridere.
-Poliziotto io? No, no sono un giornalista. –
-Ah peggio ancora. – e scoppiarono nuovamente a ridere.
-Fai lavorare a questo picciotto, raccontagli sta storia e poi continuiamo a giocare. – intimò quello col pancione al suo amico.
-Stu fatto, risale a quarantacinque anni fa stavo dicendo. La storia è quella che ha raccontato lei. Che vuole sapere di più? –
-Sa chi fosse quest’uomo? –
Il vecchio ridacchiò e ammiccò agli altri suoi compari.
-Era un parrino. –
-Un prete? –
-Sì, un prete. Vuole sapere che ci faceva in quella
casa? –
Se anche gli avessi risposto che non me ne fregava nulla, me lo avrebbe detto comunque, dall’eccitazione che aveva in faccia, sembrava che mi stesse per rivelare il terzo mistero di Fatima.
-Era andato a trovare una.. una donna di strada. –
-Minchia come si fine.. io la conoscevo con un altro nome. – intervenne uno dei compari.
-Ehm, e quest’appartamento dove è stato ucciso il prete era della ehm signora? –
-E mio di sicuro non era – rispose, e giù altre risate. – si era la casa dove viveva e riceveva. –
-La donna si è salvata? –
-No, è morta a causa dell’incendio. Non si sono salvati, lui ucciso, lei bruciata. –
-Ma perché è stato ucciso? –
I quattro vecchietti si fecero seri, mi rispose quello con la pancia grossa.
-Questo è un mistero, chi dice che sia stata la donna dopo una lite col prete, chi sostiene sia stata una rapina. Non si è mai capito. –
-Certo la storia della croce nello stomaco, non si è capita neppure. – aggiunse l’altro vecchietto.
-Ma dove aveva la chiesa, questo prete? –
-Mi dispiace non ricordo. Voi ricordate niente? – chiese ai suoi amici, ma tutti scossero la testa.
-Va bene, vi ringrazio, mi siete stati d’aiuto. – tagliai io.
-Giovanotto, ma lei per quale giornale lavora? –
“Già, ancora non l’ho capito nemmeno io” ricordai la testata che si era inventata Serena quando ci spacciammo per giornalisti a casa della signora Leone, mi venne da ridere.
-L’eco di Messina – dissi con non chalance.
-Buttana la miseria! – esclamò il vecchietto al lato del pancione.
-Finalmente l’hai detta la parola buttana! – disse un altro.
-Giovanotto, hai fatto questo viaggio fino a qui per sapere una notizia di tanti anni fa? –
-Questo è il lavoro.. – risposi con aria sconfortata.
-E una foto non ce la fa? –
“Pure la foto vogliono!” estrassi il cellulare dalla tasca.
-Certo. –
Scattai la foto, salutai questi simpatici vecchietti e mi incamminai verso la stazione, dove avrei preso l’autobus che mi avrebbe lasciato a casa.
“La croce infilzata nello stomaca, la casa bruciata, ed ora è spuntato anche un altro prete”. Tutto stava diventando sempre più intricato. “Ci sono ancora tante cose in sospeso..”.
Spuntai in via Roma, ero quasi arrivato in stazione, la strada era come sempre trafficatissima di macchine oltre che di persone, il mio sguardo si indirizzò verso un motorino guidato da una persona che riconobbi subito anche se era coperta dal casco. Era Sofia. Anche lei mi notò, si spostò sulla corsia riservata agli autobus, per avvicinarsi e salutarmi, ma un vigile iniziò a fischiare invitandola a proseguire la marcia. Lei alzò un braccio come me per mandarlo a quel paese, alla fine costretta a proseguire, mi lanciò un saluto e un sorriso.
“C’erano ancora tante cose in sospeso..”.

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