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mercoledì 6 novembre 2013

Per questa settimana vi posto i primi due capitoli del mio giallo





Alessandro Zito


Il Gioco Del
Ragno

                                                              

La cosa più bella.. quel tramonto che baciava Barcellona, la faceva brillare e vibrare. Il sole che si inabissa nel Mediterraneo dopo aver disceso il Montjuic, sembrava accarezzare la città.. questa era cosa la cosa più bella..
Le mie mani stringevano lo schienale della terrazza di Parc Gueel, respiravo forte, volevo riempirmi i polmoni, fino a farli scoppiare, soffocare con quell' aria tutta la mia tristezza, sommergere il mio passato... Passato che sapevo che prima o poi sarebbe riemerso impetuoso dalle ceneri di quella che fu la mia prima vita.. Tante volte mi sono chiesta quando avrei fatto i conti con tutto ciò che avevo lasciato. Quando uno di quei mostri mi sarebbe ricomparso davanti? Era tutto finito?..
Il porto.. le navi in partenza.. tutte le città che si affacciano sul Mediterraneo si somigliano.. il mio legame col passato.. Barcellona specchio della mia anima.. mi conosceva benissimo, sapeva come e quando farmi male, ciò accadeva quando rivedevo in lei la mia città, Palermo.
Ripresi tra le mani la lettera, toccando quella semplice cellulosa, mi sembrava di ripercorrere tutta la mia vita, rivedevo il sorriso del mio amico.
Le lacrime scendevano sul mio volto, cercavo di trattenerle, mi sarei aspettata di tutto.. sognavo di rivederlo, di tornare a respirare famiglia.. altre volte invece pensavo che il destino mi avrebbe travolto, i fantasmi sarebbero tornati, mi avrebbero trascinata fuori da quel guscio che avevo costruito e mi avrebbero messo a nudo distruggendomi con sadica lentezza. Quelle erano le notti dei pianti e della solitudine..
                                                               



                                                        1

  Sono le due del mattino, domenica. Ecco qua, anche questo sabato è finito, ora ricomincia la settimana.
-Ciao Andrea, alla prossima- si certo tra una settimana forse, pufff. Ma infondo il momento dei saluti era quello che si rivelava il più bello... ci baciavamo, un bacio profondo, un bacio che mi riempiva di lei, che mi ricaricava almeno per altri sette giorni, un bacio che mi faceva registrare il suo profumo, la morbidezza della sua pelle, un bacio ovviamente.. sulla guancia. Non ne potevo più, "ma quanto sei scemo Andrea", questo mi ripetevo ogni volta, "ancora non capisci che non ti vuole nemmeno a brodo". Stava cominciando a scendere una pioggerellina, accesi i tergicristalli "ci mancava la pioggia, per fortuna sono quasi arrivato".
Stavo per tornare a casa, in macchina percorrevo le ultime curve e poi.. a letto finalmente.. ero stanco e infreddolito. Lasciavo alle mie spalle una Palermo incasinata dal traffico del sabato notte, e mi immergevo in una periferia silenziosa e deserta. Incominciava a soffiare anche il vento, ai lati del marciapiede cumuli di immondizia "che bello schifo". Qualche gatto spuntava da quei sacchetti abbandonati.
In quel deserto si sentivano sgommate di auto "piano, attento che mi trovo un pazzo di sopra".
Ecco finalmente a casa, posteggiata la macchina, mi avviavo verso il mio palazzo. Era grande sembrava un alveare, quei palazzi di una volta con i muri degli appartamenti spessi, con gli ascensori vecchi e i riscaldamenti rotti.
Di tutte quelle persone che lo abitavano ne conoscevo cinque sei..
"Ecco ci qui" -Ciao Chimay, cucciolotta, come stai?- ad accogliermi il mio cagnolino uno yorkshire gigante, che appena mi vedeva erano sempre feste – Che hai fatto? hai pisciato tutta la casa? -.
Terminata la perlustrazione dell' appartamento, finalmente mi butto a letto.
"Humm le mando un messaggio? Ma si ancora sono le 2,30. Le scrivo sogni d'oro, Kiss, è stata una bella serata eri bellissima. " Fatto, vediamo se mi risponde"..
mi metto a letto e aspetto..
"Ehi, ma.. chi mi lecca la faccia?" - Ah sei tu Chimay!.. ma che ora sono?... cacchio l'una - mi alzo, prendo coscienza di me, e della realtà che mi circonda, guardo lo schermo del telefonino, che tristemente mi ricorda solamente l'orario.. "Hummm certo mi ha risposto al messaggio, come no..". Ovviamente non avevo ricevuto risposta, ora avevo il tempo di lavarmi, vestirmi, e visto che era domenica e la mia dieta personale, fatta dal sottoscritto me lo concedeva, mangiare schifezze a ufo, scendere il cane, e poi.. e poi ci sarebbe stato il solito rituale della domenica! Rituale senza il quale questo giorno avrebbe perso totalmente il suo fascino.
-Perfetto cara Chimay, sono le due e mezza, tra mezz'ora iniziano le partite.. fai i tuoi bisogni e rientriamo a casa. –
 Mi capitava spesso di conversare col mio cane, io parlavo e facevo finta che mi ascoltasse, i patti erano questi, lunghe passeggiate e lunghe chiacchierate, era un modo per nascondere la mia solitudine; dovuta alla mia natura solitaria? Era una domanda che mi ponevo spesso.
  Alle tre sarebbe iniziato il rituale, questo consisteva nell' andare a guardare le partite a casa di un ragazzo che abita nel mio palazzo, l'unico che conoscevo che aveva la pay tv. Ogni domenica io e Sergio, un altro amico che viveva nel mio stesso palazzo, ci ritrovavamo a casa sua, e trascorrevamo insieme praticamente l'intera giornata.
Erano le tre meno un quarto, la strada era deserta, un pallido sole batteva sulla facciata ocra, tutto intorno silenzio. Mi sarei goduto la partita e la compagnia degli amici, l'indomani come di consueto avrei ripreso alle otto il lavoro alle poste, sarebbe ripartita così la solita routine, quella vita grigia che non riuscivo a cambiare. In fondo io avevo fatto tutte le scelte, mi ero laureato in economia, avevo trovato un lavoro alle poste, avevo preso una casa in affitto, ero indipendente.. Però mi sentivo vuoto, non era quella la vita che sognavo o che speravo, spesso pensavo a mia sorella Livia. Lei si che viveva! Aveva lasciato tutto per andare a studiare architettura a Verona, aveva una vita piena, interessante, viaggiava, aveva mille interessi.. Io invece ero qui, fermo, mummificato, il vento abbatteva gli alberi e io fermo, la terra tremava e io fermo, tutti correvano, alcuni arrivavano altri sbattevano, ma io sempre fermo. E tutto questo con la sensazione che la città mi stesse svuotando. Ma queste erano le considerazioni di un pazzo.
-Ciao Alessio!-
Alessio era il padrone della pay tv, veramente era il padrone di un altro sacco di cose, che avrebbero fatto la felicità di un uomo dai dodici anni in su! Questo ragazzone alto e imponente, mi stava fissando con perplessità, con uno sguardo che ricordava quello di Bud Spencer, quando fissa Terence Hill mentre, in Lo chiamavano Trinità, si sbafa tutti fagioli.       
-Ciao, che vuoi?! Entra dai che sono iniziate! -                                      
Aveva un carattere brusco, era un orso, la sua vita si svolgeva tutta in quelle quattro mura, che condivideva con la madre, la signora Silvana, che era praticamente il suo opposto.
Tanto orso lui, tanto chiacchierona e compagnona la madre. Il padre, aveva lasciato la casa divorziando dalla moglie molti anni prima, lui era rimasto con la madre, quello ero il suo regno, meglio, la sua camera era il suo regno.. soprattutto da quando era diventata il posto dove lavorava. Alessio era un perito elettronico, sapeva tutto di computer e tecnologie varie, aveva trasformato la sua camera il un laboratorio informatico, e devo dire che il suo lavoro andava alla grande. La madre invece era un' insegnante di latino, da poco in pensione, arrotondava lo stipendio dando lezioni private.
-C'è Sergio?- chiesi io, sapendo già la risposta.                                                 
-Sì sì, quello la domenica è più puntuale della morte, è in camera-.        
 Ecco, appunto la camera.. Alessio si era preso la stanza più grande della casa, era piena di computer, era un cimitero di computer, di schede madri, schede video, mouse, chip, monitor, cavi, prese, stampanti, tutto questo ai lati del muro, al centro un tavolo di legno ovale molto grande, su di esso c'era di tutto, cd, floppy, scatole, casse musicali, carte, appunti, penne, colori, evidenziatori, intorno al tavolo tre sedie di legno traballanti, di lato un vecchio divano sfondato e di fronte, accanto ad un pc da fantascienza, un mega televisore cinquantadue pollici, posto su un mobile in ferro, dove erano riposte anche quattro console. Accanto al divano, ad angolo c'era il letto, e sul letto, spaparanzato con una birra in mano c'era Sergio.
-Ehilà Andrea, come stai?-
-Tutto bene Sergio, puntuale eh?-         
Descrivere fisicamente Sergio è molto semplice, basta raffigurarsi Pipino l’Hobbit della sagra del Signore degli Anelli, ed ecco Sergio. Magro,  pizzetto e occhiali, capelli castani lisci, molto arruffati.. si veste con felpe firmate jeans e cappellino, fidanzato da parecchi anni con una santa. Lavora in una libreria, appassionato di musica hip hop, ragazzo simpatico e generoso.
-Adesso silenzio!-  Intimò, con fare minaccioso Alessio.
Terminate le partite, la faccia di Alessio era una Pasqua, la sua squadra, ahi me, da un po’ di tempo a questa parte vinceva le partite senza fermarsi, e quella mia e di Sergio invece viveva degli alti e bassi.
-Bene bene - disse Alessio gongolante - avete visto che dominio, che gioco, che squadra!-
Ecco che interveniva Sergio - ma quale squadra! Avete avuto, come al solito fortuna! Piuttosto dovete ringraziare noi che continuando a sbagliare le gare, finiremo col regalarvi il campionato!-
Il dialogo, se così si può chiamare, sarebbe proseguito per almeno un’ora, assumeva toni sempre più aspri, finche Sergio, mentre io e Alessio disquisivamo su tattiche moduli e mercato ci interruppe dicendoci - Ragazzi, stasera c’è il posticipo, Milan- Roma, perché non ci mangiamo una pizza qui e poi ci vediamo la partita?-
Il volto di Alessio assunse una mimica di perplessità, ansia e di dubbio – Ma siamo sicuri?- disse lui, con voce incerta.
– Certo, Milan- Roma!- ribatté Sergio.
-Ma io devo parlare con mia madre, non so se ha già cucinato, ma voi che volete fare? - - Alessio dobbiamo prendere una familiare e la mangiamo qui in attesa della partita.- dissi io spazientito.
Dopo qualche minuto, di tentennamenti, finalmente la proposta fu definitivamente approvata.
Alessio non sopportava le improvvisate, i cambiamenti di programma, le sorprese. Se si decideva, ad esempio, di uscire, così di punto in bianco, lui non ne voleva sapere.. faceva un sacco di storie, accampava scuse, si innervosiva e diventava ansioso, e alla fine nessuno riusciva a schiodarlo dalla sua stanza.. E se uno gli ricordava che abitava a Palermo, e che c’era della vita oltre quelle quattro mura, lui ribatteva dicendo:
- Ma guardate che io non vivo a Palermo, io vivo a casa mia- . Questa era una frase che lasciava il segno, ci ricordava che la città offriva in realtà poco o niente e tanto valeva rimanere a casa, col suo televisore, il suo computer e le sue console..
La partita volgeva al termine, la pizza era ormai un lontano ricordo, e il cartone buttato sul tavola ne testimoniava una sua antica presenza.
-Quattro minuti di recupero! Beh con tutti questi cambi mi sembr..- Alessio non riuscì a terminare la frase, che si sentì aprire la porta.. Era entrata la signora Silvana, scortata dal suo yorkshire Alfred.
– Buongiorno ragazzi! Come state? Come sono andate le partite?-
-Salve signora! Tutto bene!- esclamammo all’unisono io e Sergio.
- Mamma che c’è?-
- Niente Ale, ma guarda che macello questa stanza!- queste erano le parole che davano il via ad una singolar tenzone.
– Senti mamma la camera è perfetta!-
-Perfetta?! È un porcile!-
La madre iniziò a spostare il mare di materiale informatico che si trovava a terra, appena il figlio vide che stava rivolgendo lo sguardo verso il tavolo, e stava per mettere le mani in quel caos, si fiondò con le braccia sul tavolo.
– Aspetta mamma, ma che fai?!-
-Metto a posto!-
La scena era divertente a vedersi, lei che freneticamente spostava ogni cosa, e lui dietro che le riposizionava, mentre il cane si esibiva in una sorta di danza, sollevato sulle due zampe posteriori.
- Io ho sempre detto a mio figlio, trovati un’altra sistemazione, apriti un negozio, esci!-
- Me ne vado madre, me ne vado, mi trasferirò da mio padre!- era la solita minaccia di Alessio.
- Buono quello!- ribattè Silvana.
Mentre vidi che Alfred stava iniziando a puntare dei fili che penzolavano dal tavolo, Sergio si rivolse a noi – A proposito di trasloco!-
-Guarda che io non uscirò mai da qua- disse Alessio
– Lo sappiamo- continuò Sergio – domani dovrebbero trasferirsi dei nuovi inquilini nella casa che apparteneva alla signora Sarastro, la donna che abitava sotto il tuo piano Andrea. Il portiere, mi ha detto, che a prendere il possesso della casa sono i nipoti. -
Appena terminò la parola nipoti, si sentì un tonfo fragoroso, il cane tirandosi quei fili pendenti, fece cadere tutto a terra. Alessio diventò paonazzo, incominciò ad inveire contro il cane, la madre prima iniziò a buttare voci, poi ci salutò e se ne andò seguita ovviamente da Alfred.
Congedatomi dagli amici, tornai al mio appartamento. Milan – Roma 2 a 2 la domenica era finita..
                             


                                                         2

  Lavorare alle poste non è proprio facile, specialmente per chi sta allo sportello. E’ stressante, la continua calca, le persone perdono la pazienza, io mi innervosisco, il tempo che non passa mai. Per fortuna l’ufficio postale dove lavoravo era vicino casa, tre isolati che percorrevo quasi sempre a piedi, tranne in quei giorni nei quali scoppiavano violenti temporali, talmente violenti da far saltare i tombini. Ormai conoscevo tutte le persone, che venivano all’ufficio, conoscevo i loro caratteri, i loro problemi, persino gli alberi genealogici. E di tipi particolari ce ne erano un bel po’, tra questi il più simpatico è il professor Nicolò. Questo signore frequentava spesso l’ufficio postale, era sposato con due figli, è un professore di storia dell’arte in un liceo scientifico, ha una cinquantina di anni, una espressione stralunata, va sempre di corsa, effettua sempre un sacco di pagamenti, ogni volta esce un mazzo di carte costituito da bollette, bollette fresche e more. Le particolarità del professore sono soprattutto due, la prima sono la sua gentilezza e cortesia, due cose molto rare in questa città, non è facile vedere nell’orario di punta una persona che cede il suo turno ad un’altra, che vero o falso dice di avere problemi. Ebbene il professore era così, era di una cortesia unica. L’altra caratteristica erano le sue domande! Arrivato allo sportello, faceva domande assurde, del tipo posso pagare? Oppure rimaneva bloccato a guardarmi e dopo un minuto mi diceva è il mio turno? Col banco posta posso ritirare il contante alla posta? Le sue domande, mi davano buon umore, non lo faceva apposta, o perché era rinco, era così, facevano parte del personaggio. Ricordo un volta che mentre faceva il turno, fece una chiamata col cellulare, a quanto pare doveva andare in Inghilterra e doveva effettuare una prenotazione di biglietti ferroviari; stava parlando con l’addetto inglese, aveva prenotato due biglietti interi per adulti, e doveva chiederne altri due ridotti.. Ricordo ancora le sue parole in inglese che risuonavano all’interno dell’ufficio postale - .. Ok and two tickets for Churcill!- voleva chiedere due biglietti per bambini, solamente che invece di dire per children gli scappò Churcill! Immaginavo lo stupore dell’interlocutore inglese, non riuscivo a trattenere le lacrime. Il professore, che quel giorno era con la moglie, non sentendosi capito dal povero interlocutore era entrato in confusione e iniziò a farfugliare una lingua che era un misto tra l’italiano e l’inglese. La moglie cominciò a vociare contro il marito, e chiese se c’era qualcuno che sapesse parlare l’inglese. Le persone presenti si preoccuparono vedendo il teatrino che ne era sorto, allora si videro anziani che in dialetto dicevano “cu sapi sto inglise?” “amuni aiutiamo a sti cristiani”  ed “cu è stu inglese? E’ su figghiu?”.
Mentre ripensavo a questa vicenda, stavo percorrendo la grande strada che dall’ufficio postale portava a casa mia. La strada è molto trafficata, piena di negozi, venditori ambulanti di frutta e verdura sui marciapiedi, bar, mini market, e tanti altri negozi, ed in mezzo a tutto questo spuntavano diverse ricevitorie, punti scommesse.
Questi erano piene di persone, che entravano ed uscivano, operosi come tante formiche nel scegliere combinazioni di numeri “vincenti” o di possibili esiti di partite, anche di campionati improbabili, tentavano in tal modo la fortuna. In questo Paese ormai si sforna una estrazione al minuto. Gli italiani sperano quotidianamente nel colpo di fortuna che gli possa cambiare la vita, e si gioca, si gioca, si scommette su tutto, e si partecipa a mille lotterie.. è un fenomeno talmente diffuso, che ancora non riesco a capire perché tutti questi giochi sì e i casinò no. “Boh, francamente non lo so”. Avevo appena finito di fare questa considerazione che mi ritrovai davanti al portone di casa.. attraversai il corridoio che portava all’ascensore e mi imbattei davanti a due ragazzi.
  Una ragazza che poteva avere poco più di venti anni, e un ragazzo che dimostrava non più di sedici anni. Il ragazzo, era molto alto e magro, carnagione scura, sguardo sveglio e simpatico. La ragazza era molto carina,  castana, carnagione chiara, occhi castano scuri, aveva un’aria di semplicità e simpatia.
–Salve- dissi.
-Prende l’ascensore pure lei?- rispose la ragazza. Feci si con la testa e dopo pochi secondi ci trovammo tutti e tre nell’ascensore.
– Che piano va?- continuò la ragazza.
–Quarto, voi?-
-Terzo- rispose il ragazzino mostrando  un bel sorriso.
– Terzo? Ma voi siete i nuovi inquilini dell’appartamento che apparteneva alla signora Sarastro?-
La ragazza sorrise, mostrando dei denti bianchissimi – Sì, siamo i nipoti, ci siamo trasferiti questa mattina! Comunque possiamo anche presentarci- continuò, sempre sorridendo – io mi chiamo Serena, e lui è mio fratello Domenico.-
-Piacere Andrea!-
L’ascensore si era fermato al terzo piano, così mi affrettai a salutarli.
-Per qualsiasi cosa io sto sopra, è stato un piacere!-
I due ragazzi mi salutarono, notai l’emozione che avevano nell’aprire la porta di casa.. “Chissà che storia avranno alle loro spalle.. Ogni uomo una storia..”
Non conoscevo, bene la signora Sarastro, mi ero trasferito da due anni in quel palazzo, la mia natura introversa, e la riservatezza della signora, hanno fatto in modo di non incontrarci quasi mai. Appena presi possesso del mio appartamento, la donna precipitò in una malattia che pian piano la costrinse a non potersi più muovere, andava sempre aggravandosi, fino ad una domenica di maggio, quando il suo cuore cessò di battere.
Ero contento, che i nuovi inquilini fossero dei ragazzi, c’era bisogno di persone giovani. E poi lei era veramente carina.. “Che occhi, che sorriso..”.
A casa, diedi da mangiare a Chimay, stavo per aprire i rubinetti della vasca, per potermi fare un bagno caldo, quando sentii un bip proveniente dal mio cellulare. Mi era arrivato un massaggio, presi il telefonino e lo lessi:
“Ti ricordo, che dopodomani mi laureo, alle otto e trenta all’Ateneo.. mi raccomando non mancare. Sofia.”
Mi spogliai, mi immersi nella vasca. Finalmente mi rilassavo, tutto il peso della giornata si scioglieva dalle mie spalle. “E chi se lo era dimenticato..” pensavo, riferendomi al messaggio. “Dunque, che sorpresa posso farle” non mi andava di farle solamente il regalo con gli altri amici.. ma non mi veniva niente in mente.. avevo scartato regali impegnativi, che ovviamente le potevano risultare pesanti, ad un certo punto pensai al regalo adatto “le posso regalare il tocco, il cappello tipico di chi si laurea” un pensiero simpatico e di buon auspicio.
“Domani dopo il lavoro, passo da casa, prendo l’auto e vado in corso Vittorio Emanuele, li è pieno di negozi che vendono divise militari, toghe da avvocato, sicuramente troverò un tocco.”

La schiuma del bagnoschiuma fuoriusciva dalla vasca, il calore dell’acqua era proprio protettivo e rassicurante.. “E sì, farò proprio così..”.

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