Alessandro Zito
Il Gioco Del
Ragno
La cosa più bella.. quel
tramonto che baciava Barcellona, la faceva brillare e vibrare. Il sole che si
inabissa nel Mediterraneo dopo aver disceso il Montjuic, sembrava accarezzare
la città.. questa era cosa la cosa più bella..
Le mie mani stringevano lo
schienale della terrazza di Parc Gueel, respiravo forte, volevo riempirmi i
polmoni, fino a farli scoppiare, soffocare con quell' aria tutta la mia
tristezza, sommergere il mio passato... Passato che sapevo che prima o poi
sarebbe riemerso impetuoso dalle ceneri di quella che fu la mia prima vita..
Tante volte mi sono chiesta quando avrei fatto i conti con tutto ciò che avevo
lasciato. Quando uno di quei mostri mi sarebbe ricomparso davanti? Era tutto
finito?..
Il porto.. le navi in
partenza.. tutte le città che si affacciano sul Mediterraneo si somigliano.. il
mio legame col passato.. Barcellona specchio della mia anima.. mi conosceva
benissimo, sapeva come e quando farmi male, ciò accadeva quando rivedevo in lei
la mia città, Palermo.
Ripresi tra le mani la
lettera, toccando quella semplice cellulosa, mi sembrava di ripercorrere tutta
la mia vita, rivedevo il sorriso del mio amico.
Le lacrime scendevano sul
mio volto, cercavo di trattenerle, mi sarei aspettata di tutto.. sognavo di
rivederlo, di tornare a respirare famiglia.. altre volte invece pensavo che il
destino mi avrebbe travolto, i fantasmi sarebbero tornati, mi avrebbero
trascinata fuori da quel guscio che avevo costruito e mi avrebbero messo a nudo
distruggendomi con sadica lentezza. Quelle erano le notti dei pianti e della
solitudine..
1
Sono le due
del mattino, domenica. Ecco qua, anche questo sabato è finito, ora ricomincia
la settimana.
-Ciao Andrea, alla prossima- si certo tra una
settimana forse, pufff. Ma infondo il momento dei saluti era quello che si
rivelava il più bello... ci baciavamo, un bacio profondo, un bacio che mi
riempiva di lei, che mi ricaricava almeno per altri sette giorni, un bacio che
mi faceva registrare il suo profumo, la morbidezza della sua pelle, un bacio
ovviamente.. sulla guancia. Non ne potevo più, "ma quanto sei scemo
Andrea", questo mi ripetevo ogni volta, "ancora non capisci che non
ti vuole nemmeno a brodo". Stava cominciando a scendere una pioggerellina,
accesi i tergicristalli "ci mancava la pioggia, per fortuna sono quasi
arrivato".
Stavo per tornare a casa, in macchina percorrevo le
ultime curve e poi.. a letto finalmente.. ero stanco e infreddolito. Lasciavo
alle mie spalle una Palermo incasinata dal traffico del sabato notte, e mi
immergevo in una periferia silenziosa e deserta. Incominciava a soffiare anche
il vento, ai lati del marciapiede cumuli di immondizia "che bello
schifo". Qualche gatto spuntava da quei sacchetti abbandonati.
In quel deserto si sentivano sgommate di auto
"piano, attento che mi trovo un pazzo di sopra".
Ecco finalmente a casa, posteggiata la macchina, mi
avviavo verso il mio palazzo. Era grande sembrava un alveare, quei palazzi di
una volta con i muri degli appartamenti spessi, con gli ascensori vecchi e i
riscaldamenti rotti.
Di tutte quelle persone che
lo abitavano ne conoscevo cinque sei..
"Ecco ci qui"
-Ciao Chimay, cucciolotta, come stai?- ad accogliermi il mio cagnolino uno
yorkshire gigante, che appena mi vedeva erano sempre feste – Che hai fatto? hai
pisciato tutta la casa? -.
Terminata la perlustrazione
dell' appartamento, finalmente mi butto a letto.
"Humm le mando un
messaggio? Ma si ancora sono le 2,30. Le scrivo sogni d'oro, Kiss, è stata una
bella serata eri bellissima. " Fatto, vediamo se mi risponde"..
mi metto a letto e
aspetto..
"Ehi, ma.. chi mi
lecca la faccia?" - Ah sei tu Chimay!.. ma che ora sono?... cacchio l'una
- mi alzo, prendo coscienza di me, e della realtà che mi circonda, guardo lo
schermo del telefonino, che tristemente mi ricorda solamente l'orario.. "Hummm
certo mi ha risposto al messaggio, come no..". Ovviamente non avevo
ricevuto risposta, ora avevo il tempo di lavarmi, vestirmi, e visto che era
domenica e la mia dieta personale, fatta dal sottoscritto me lo concedeva,
mangiare schifezze a ufo, scendere il cane, e poi.. e poi ci sarebbe stato il
solito rituale della domenica! Rituale senza il quale questo giorno avrebbe
perso totalmente il suo fascino.
-Perfetto cara Chimay, sono
le due e mezza, tra mezz'ora iniziano le partite.. fai i tuoi bisogni e
rientriamo a casa. –
Mi capitava spesso di conversare col mio cane,
io parlavo e facevo finta che mi ascoltasse, i patti erano questi, lunghe passeggiate
e lunghe chiacchierate, era un modo per nascondere la mia solitudine; dovuta
alla mia natura solitaria? Era una domanda che mi ponevo spesso.
Alle tre sarebbe iniziato il rituale, questo
consisteva nell' andare a guardare le partite a casa di un ragazzo che abita
nel mio palazzo, l'unico che conoscevo che aveva la pay tv. Ogni domenica io e
Sergio, un altro amico che viveva nel mio stesso palazzo, ci ritrovavamo a casa
sua, e trascorrevamo insieme praticamente l'intera giornata.
Erano le tre meno un
quarto, la strada era deserta, un pallido sole batteva sulla facciata ocra,
tutto intorno silenzio. Mi sarei goduto la partita e la compagnia degli amici,
l'indomani come di consueto avrei ripreso alle otto il lavoro alle poste,
sarebbe ripartita così la solita routine, quella vita grigia che non riuscivo a
cambiare. In fondo io avevo fatto tutte le scelte, mi ero laureato in economia,
avevo trovato un lavoro alle poste, avevo preso una casa in affitto, ero
indipendente.. Però mi sentivo vuoto, non era quella la vita che sognavo o che
speravo, spesso pensavo a mia sorella Livia. Lei si che viveva! Aveva lasciato
tutto per andare a studiare architettura a Verona, aveva una vita piena,
interessante, viaggiava, aveva mille interessi.. Io invece ero qui, fermo,
mummificato, il vento abbatteva gli alberi e io fermo, la terra tremava e io
fermo, tutti correvano, alcuni arrivavano altri sbattevano, ma io sempre fermo.
E tutto questo con la sensazione che la città mi stesse svuotando. Ma queste
erano le considerazioni di un pazzo.
-Ciao Alessio!-
Alessio era il padrone
della pay tv, veramente era il padrone di un altro sacco di cose, che avrebbero
fatto la felicità di un uomo dai dodici anni in su! Questo ragazzone alto e
imponente, mi stava fissando con perplessità, con uno sguardo che ricordava
quello di Bud Spencer, quando fissa Terence Hill mentre, in Lo chiamavano Trinità, si sbafa tutti
fagioli.
-Ciao, che vuoi?! Entra dai
che sono iniziate! -
Aveva un carattere brusco,
era un orso, la sua vita si svolgeva tutta in quelle quattro mura, che
condivideva con la madre, la signora Silvana, che era praticamente il suo
opposto.
Tanto orso lui, tanto
chiacchierona e compagnona la madre. Il padre, aveva lasciato la casa divorziando
dalla moglie molti anni prima, lui era rimasto con la madre, quello ero il suo
regno, meglio, la sua camera era il suo regno.. soprattutto da quando era
diventata il posto dove lavorava. Alessio era un perito elettronico, sapeva
tutto di computer e tecnologie varie, aveva trasformato la sua camera il un
laboratorio informatico, e devo dire che il suo lavoro andava alla grande. La
madre invece era un' insegnante di latino, da poco in pensione, arrotondava lo
stipendio dando lezioni private.
-C'è Sergio?- chiesi io,
sapendo già la risposta.
-Sì sì, quello la domenica
è più puntuale della morte, è in camera-.
Ecco, appunto la camera.. Alessio si era preso la stanza più grande della casa, era
piena di computer, era un cimitero di computer, di schede madri, schede video,
mouse, chip, monitor, cavi, prese, stampanti, tutto questo ai lati del muro, al
centro un tavolo di legno ovale molto grande, su di esso c'era di tutto, cd,
floppy, scatole, casse musicali, carte, appunti, penne, colori, evidenziatori,
intorno al tavolo tre sedie di legno traballanti, di lato un vecchio divano
sfondato e di fronte, accanto ad un pc da fantascienza, un mega televisore
cinquantadue pollici, posto su un mobile in ferro, dove erano riposte anche
quattro console. Accanto al divano, ad angolo c'era il letto, e sul letto,
spaparanzato con una birra in mano c'era Sergio.
-Ehilà Andrea, come stai?-
-Tutto bene Sergio,
puntuale eh?-
Descrivere fisicamente
Sergio è molto semplice, basta raffigurarsi Pipino l’Hobbit della sagra del
Signore degli Anelli, ed ecco Sergio. Magro,
pizzetto e occhiali, capelli castani lisci, molto arruffati.. si veste
con felpe firmate jeans e cappellino, fidanzato da parecchi anni con una santa.
Lavora in una libreria, appassionato di musica hip hop, ragazzo simpatico e
generoso.
-Adesso silenzio!- Intimò, con fare minaccioso Alessio.
Terminate le partite, la
faccia di Alessio era una Pasqua, la sua squadra, ahi me, da un po’ di tempo a
questa parte vinceva le partite senza fermarsi, e quella mia e di Sergio invece
viveva degli alti e bassi.
-Bene bene - disse Alessio
gongolante - avete visto che dominio, che gioco, che squadra!-
Ecco che interveniva Sergio
- ma quale squadra! Avete avuto, come al solito fortuna! Piuttosto dovete
ringraziare noi che continuando a sbagliare le gare, finiremo col regalarvi il
campionato!-
Il dialogo, se così si può
chiamare, sarebbe proseguito per almeno un’ora, assumeva toni sempre più aspri,
finche Sergio, mentre io e Alessio disquisivamo su tattiche moduli e mercato ci
interruppe dicendoci - Ragazzi, stasera c’è il posticipo, Milan- Roma, perché
non ci mangiamo una pizza qui e poi ci vediamo la partita?-
Il volto di Alessio assunse
una mimica di perplessità, ansia e di dubbio – Ma siamo sicuri?- disse lui, con
voce incerta.
– Certo, Milan- Roma!-
ribatté Sergio.
-Ma io devo parlare con mia
madre, non so se ha già cucinato, ma voi che volete fare? - - Alessio dobbiamo
prendere una familiare e la mangiamo qui in attesa della partita.- dissi io
spazientito.
Dopo qualche minuto, di
tentennamenti, finalmente la proposta fu definitivamente approvata.
Alessio non sopportava le
improvvisate, i cambiamenti di programma, le sorprese. Se si decideva, ad
esempio, di uscire, così di punto in bianco, lui non ne voleva sapere.. faceva
un sacco di storie, accampava scuse, si innervosiva e diventava ansioso, e alla
fine nessuno riusciva a schiodarlo dalla sua stanza.. E se uno gli ricordava
che abitava a Palermo, e che c’era della vita oltre quelle quattro mura, lui
ribatteva dicendo:
- Ma guardate che io non
vivo a Palermo, io vivo a casa mia- . Questa era una frase che lasciava il
segno, ci ricordava che la città offriva in realtà poco o niente e tanto valeva
rimanere a casa, col suo televisore, il suo computer e le sue console..
La partita volgeva al
termine, la pizza era ormai un lontano ricordo, e il cartone buttato sul tavola
ne testimoniava una sua antica presenza.
-Quattro minuti di
recupero! Beh con tutti questi cambi mi sembr..- Alessio non riuscì a terminare
la frase, che si sentì aprire la porta.. Era entrata la signora Silvana,
scortata dal suo yorkshire Alfred.
– Buongiorno ragazzi! Come
state? Come sono andate le partite?-
-Salve signora! Tutto
bene!- esclamammo all’unisono io e Sergio.
- Mamma che c’è?-
- Niente Ale, ma guarda che
macello questa stanza!- queste erano le parole che davano il via ad una
singolar tenzone.
– Senti mamma la camera è
perfetta!-
-Perfetta?! È un porcile!-
La madre iniziò a spostare
il mare di materiale informatico che si trovava a terra, appena il figlio vide
che stava rivolgendo lo sguardo verso il tavolo, e stava per mettere le mani in
quel caos, si fiondò con le braccia sul tavolo.
– Aspetta mamma, ma che
fai?!-
-Metto a posto!-
La scena era divertente a
vedersi, lei che freneticamente spostava ogni cosa, e lui dietro che le
riposizionava, mentre il cane si esibiva in una sorta di danza, sollevato sulle
due zampe posteriori.
- Io ho sempre detto a mio
figlio, trovati un’altra sistemazione, apriti un negozio, esci!-
- Me ne vado madre, me ne
vado, mi trasferirò da mio padre!- era la solita minaccia di Alessio.
- Buono quello!- ribattè
Silvana.
Mentre vidi che Alfred
stava iniziando a puntare dei fili che penzolavano dal tavolo, Sergio si
rivolse a noi – A proposito di trasloco!-
-Guarda che io non uscirò
mai da qua- disse Alessio
– Lo sappiamo- continuò
Sergio – domani dovrebbero trasferirsi dei nuovi inquilini nella casa che
apparteneva alla signora Sarastro, la donna che abitava sotto il tuo piano
Andrea. Il portiere, mi ha detto, che a prendere il possesso della casa sono i
nipoti. -
Appena terminò la parola
nipoti, si sentì un tonfo fragoroso, il cane tirandosi quei fili pendenti, fece
cadere tutto a terra. Alessio diventò paonazzo, incominciò ad inveire contro il
cane, la madre prima iniziò a buttare voci, poi ci salutò e se ne andò seguita
ovviamente da Alfred.
Congedatomi dagli amici,
tornai al mio appartamento. Milan – Roma 2 a 2 la domenica era finita..
2
Lavorare alle poste non è proprio facile,
specialmente per chi sta allo sportello. E’ stressante, la continua calca, le
persone perdono la pazienza, io mi innervosisco, il tempo che non passa mai.
Per fortuna l’ufficio postale dove lavoravo era vicino casa, tre isolati che
percorrevo quasi sempre a piedi, tranne in quei giorni nei quali scoppiavano
violenti temporali, talmente violenti da far saltare i tombini. Ormai conoscevo
tutte le persone, che venivano all’ufficio, conoscevo i loro caratteri, i loro
problemi, persino gli alberi genealogici. E di tipi particolari ce ne erano un
bel po’, tra questi il più simpatico è il professor Nicolò. Questo signore
frequentava spesso l’ufficio postale, era sposato con due figli, è un
professore di storia dell’arte in un liceo scientifico, ha una cinquantina di
anni, una espressione stralunata, va sempre di corsa, effettua sempre un sacco
di pagamenti, ogni volta esce un mazzo di carte costituito da bollette,
bollette fresche e more. Le particolarità del professore sono soprattutto due,
la prima sono la sua gentilezza e cortesia, due cose molto rare in questa
città, non è facile vedere nell’orario di punta una persona che cede il suo
turno ad un’altra, che vero o falso dice di avere problemi. Ebbene il
professore era così, era di una cortesia unica. L’altra caratteristica erano le
sue domande! Arrivato allo sportello, faceva domande assurde, del tipo posso
pagare? Oppure rimaneva bloccato a guardarmi e dopo un minuto mi diceva è il
mio turno? Col banco posta posso ritirare il contante alla posta? Le sue
domande, mi davano buon umore, non lo faceva apposta, o perché era rinco, era
così, facevano parte del personaggio. Ricordo un volta che mentre faceva il
turno, fece una chiamata col cellulare, a quanto pare doveva andare in
Inghilterra e doveva effettuare una prenotazione di biglietti ferroviari; stava
parlando con l’addetto inglese, aveva prenotato due biglietti interi per
adulti, e doveva chiederne altri due ridotti.. Ricordo ancora le sue parole in
inglese che risuonavano all’interno dell’ufficio postale - .. Ok and two
tickets for Churcill!- voleva chiedere due biglietti per bambini, solamente che
invece di dire per children gli scappò Churcill! Immaginavo lo stupore
dell’interlocutore inglese, non riuscivo a trattenere le lacrime. Il
professore, che quel giorno era con la moglie, non sentendosi capito dal povero
interlocutore era entrato in confusione e iniziò a farfugliare una lingua che
era un misto tra l’italiano e l’inglese. La moglie cominciò a vociare contro il
marito, e chiese se c’era qualcuno che sapesse parlare l’inglese. Le persone
presenti si preoccuparono vedendo il teatrino che ne era sorto, allora si
videro anziani che in dialetto dicevano “cu sapi sto inglise?” “amuni aiutiamo
a sti cristiani” ed “cu è stu inglese?
E’ su figghiu?”.
Mentre ripensavo a questa
vicenda, stavo percorrendo la grande strada che dall’ufficio postale portava a
casa mia. La strada è molto trafficata, piena di negozi, venditori ambulanti di
frutta e verdura sui marciapiedi, bar, mini market, e tanti altri negozi, ed in
mezzo a tutto questo spuntavano diverse ricevitorie, punti scommesse.
Questi erano piene di
persone, che entravano ed uscivano, operosi come tante formiche nel scegliere
combinazioni di numeri “vincenti” o di possibili esiti di partite, anche di
campionati improbabili, tentavano in tal modo la fortuna. In questo Paese ormai
si sforna una estrazione al minuto. Gli italiani sperano quotidianamente nel
colpo di fortuna che gli possa cambiare la vita, e si gioca, si gioca, si
scommette su tutto, e si partecipa a mille lotterie.. è un fenomeno talmente
diffuso, che ancora non riesco a capire perché tutti questi giochi sì e i
casinò no. “Boh, francamente non lo so”. Avevo appena finito di fare questa
considerazione che mi ritrovai davanti al portone di casa.. attraversai il
corridoio che portava all’ascensore e mi imbattei davanti a due ragazzi.
Una ragazza che poteva avere poco più di
venti anni, e un ragazzo che dimostrava non più di sedici anni. Il ragazzo, era
molto alto e magro, carnagione scura, sguardo sveglio e simpatico. La ragazza
era molto carina, castana, carnagione
chiara, occhi castano scuri, aveva un’aria di semplicità e simpatia.
–Salve- dissi.
-Prende l’ascensore pure
lei?- rispose la ragazza. Feci si con la testa e dopo pochi secondi ci trovammo
tutti e tre nell’ascensore.
– Che piano va?- continuò
la ragazza.
–Quarto, voi?-
-Terzo- rispose il
ragazzino mostrando un bel sorriso.
– Terzo? Ma voi siete i
nuovi inquilini dell’appartamento che apparteneva alla signora Sarastro?-
La ragazza sorrise,
mostrando dei denti bianchissimi – Sì, siamo i nipoti, ci siamo trasferiti
questa mattina! Comunque possiamo anche presentarci- continuò, sempre
sorridendo – io mi chiamo Serena, e lui è mio fratello Domenico.-
-Piacere Andrea!-
L’ascensore si era fermato
al terzo piano, così mi affrettai a salutarli.
-Per qualsiasi cosa io sto
sopra, è stato un piacere!-
I due ragazzi mi
salutarono, notai l’emozione che avevano nell’aprire la porta di casa.. “Chissà
che storia avranno alle loro spalle.. Ogni uomo una storia..”
Non conoscevo, bene la
signora Sarastro, mi ero trasferito da due anni in quel palazzo, la mia natura
introversa, e la riservatezza della signora, hanno fatto in modo di non
incontrarci quasi mai. Appena presi possesso del mio appartamento, la donna
precipitò in una malattia che pian piano la costrinse a non potersi più
muovere, andava sempre aggravandosi, fino ad una domenica di maggio, quando il
suo cuore cessò di battere.
Ero contento, che i nuovi
inquilini fossero dei ragazzi, c’era bisogno di persone giovani. E poi lei era
veramente carina.. “Che occhi, che sorriso..”.
A casa, diedi da mangiare a
Chimay, stavo per aprire i rubinetti della vasca, per potermi fare un bagno
caldo, quando sentii un bip proveniente dal mio cellulare. Mi era arrivato un
massaggio, presi il telefonino e lo lessi:
“Ti ricordo, che dopodomani mi laureo, alle otto e
trenta all’Ateneo.. mi raccomando non mancare. Sofia.”
Mi spogliai, mi immersi
nella vasca. Finalmente mi rilassavo, tutto il peso della giornata si
scioglieva dalle mie spalle. “E chi se lo era dimenticato..” pensavo,
riferendomi al messaggio. “Dunque, che sorpresa posso farle” non mi andava di
farle solamente il regalo con gli altri amici.. ma non mi veniva niente in
mente.. avevo scartato regali impegnativi, che ovviamente le potevano risultare
pesanti, ad un certo punto pensai al regalo adatto “le posso regalare il tocco,
il cappello tipico di chi si laurea” un pensiero simpatico e di buon auspicio.
“Domani dopo il lavoro,
passo da casa, prendo l’auto e vado in corso Vittorio Emanuele, li è pieno di
negozi che vendono divise militari, toghe da avvocato, sicuramente troverò un
tocco.”
La schiuma del bagnoschiuma
fuoriusciva dalla vasca, il calore dell’acqua era proprio protettivo e
rassicurante.. “E sì, farò proprio così..”.
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