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martedì 26 novembre 2013

CAPITOLO 6 IL GIOCO DEL RAGNO

                                                  6

Finalmente la settimana era quasi finita, il sabato sera giunse veloce! Erano le nove di sera, avevo appena fatto la doccia, e stavo preparandomi per andare a prendere Sofia, quando ricevetti un messaggio al telefonino.
Andrea, ciao, scusami, ma non mi sento di uscire sono molto stanca ho avuto una giornata molto pesante e non sto molto bene, mi dispiace, tu comunque vediti con gli altri, mi dispiace tanto alla prossima Sofia.
Quel messaggio mi gelò, da tre giorni immaginavo questa uscita, la vivevo e la rivivevo nella mia mente, il suo invito mi aveva dato una carica. Mi sembrava di toccare il cielo con un dito, adesso invece, lei di colpo mi toglieva tutta la forza che mi aveva donato. Mi buttai sul letto, avevo ancora i capelli bagnati, rimasi immobile a fissare il tetto,
“ Andrea di cosa ti meravigli, ogni volta va così. Lo sapevi anche tu che sarebbe andata così. Cosa speravi? Già cosa speravo?” chiusi gli occhi, ero deluso, la voglia di uscire e di divertirmi era improvvisamente svanita, sentivo solo il desiderio di dormire. Chiamai gli amici e gli comunicai che non mi sentivo più di uscire, in cuor mio non avevo voglia di far niente.
Presi un libro cominciai a sfogliarlo, ma non riuscivo a concentrarmi sulla lettura. Chiusi il libro, rimasi immobile disteso sul letto, quando ad un certo punto Chimay salì sopra e festante cominciò a tentare di leccarmi il viso. Questi cagnolini sono provvidenziali, quando tutto va storto te li ritrovi sempre accanto e basta uno scodinzolio che ti strappano un sorriso.
- Chimay, sai che facciamo?- dissi al mio cane – scendiamo e ti faccio fare due passi.- Finii di vestirmi e scesi con Chimay. La cagnetta era festante, cominciò a tirarmi e a farmi fare tutto il marciapiede di fronte al mio palazzo.
“ Dico, almeno dimmelo prima, che ti costa, sono tre giorni che non penso che a questa uscita, ma poi almeno una telefonata, o magari mi avrebbe potuto scrivere rinviamo alla prossima settimana.. boh!” ero deluso, triste, cercai di distrarmi, guardai la facciata del palazzo, vidi il piano del mio appartamento, il salotto di casa di Alessio che era acceso. Nell’appartamento di Sergio invece sembrava non esserci nessuno, così anche le serrande delle  finestre della casa di Serena e Domenico erano tutte abbassate, i ragazzi ancora non si erano del tutto trasferiti, erano  intenti a completare il trasloco, non li avevo più visti da quella volta che gli riportai Titti.
I miei pensieri stavano per tornare su Sofia, quando riconobbi la macchina di Sergio. Stava posteggiando, probabilmente era di ritorno a casa.
Il mio amico, sistemata l’auti, mi vide subito, si avvicinò a me, si chinò per fare un po’ di feste a Chimay, che gradì molto. Poi si alzò mi squadrò e disse.
– Ho lasciato Sabri a casa, abbiamo cenato a base di sushi. Ma tu che ci fai qui col cane, non avevi quell’appuntamento? – “Ecco infatti avevo”
– No Sergio, ha avuto un contrattempo.. –
- Ho capito ti ha dato un bidone! Andrea, ma non ti stufa?- disse Sergio quasi con rassegnazione, con lui mi ero confidato tante volte, e tante volte mi aveva detto di lasciare perdere, e sempre io facevo il contrario.
– Ora che intendi fare? Non ti vorrai mica andare a coricare, o a buttarti a letto e chiederti in cosa hai sbagliato questa volta?- Continuò il mio amico- eh no caro mio!- Non avevo mai visto Sergio tanto deciso in vita mia e continuò – Non sono nemmeno le dieci, ora sai che facciamo? Usciamo, ci andiamo a prendere qualcosa da bere! -
Francamente l’idea di Sergio non mi parve cattiva, avevo bisogno di distrarmi, così non ci pensai su tanto e risposi – va bene Sergio! Riporto su il cane e andiamo. Che ne dici se chiamiamo pure Alessio? –
Sergio fece un mezzo sorrisetto e disse – Certo, ma lo chiami tu.. anche se posso immaginare quale sarà la risposta.. tu comunque provaci. –
Composi il numero di Alessio, attesi a lungo, poi dopo un po’ di tempo rispose..
- Pronto? Sono Alessio, Andrea che vuoi?- Il vocione di Alessio attestava che stava benissimo, e che sarebbe stato durissimo convincerlo ad uscire, deglutii e dissi.
 – Ciao, lo so che sei tu, ti ho chiamato io! Come stai?-
- Bene che vuoi? – rispose velocissimo, voleva arrivare al sodo.
 – Senti, Alessio, siamo io e Sergio qui sotto casa e stavamo pensando di andare a prendere qualcosa da bere insieme, una cosa tranquilla- sottolineai il tranquilla, per rassicurarlo. Dall’altro capo del telefono si sentì una sorta di grugnito, come se accanto ad Alessio ci fosse un orso.
- Andrea ma siete pazzi?- rispose – Ma me lo dite a quest’ora? Ma poi non me la sento, sto male, cioè non benissimo, ma poi che dovete fare? Chi siete, quanti siete, dove dovete andare?-
Cominciai a spazientirmi- Alessio, siamo solo io e Sergio, volevamo prendere una cosa da bere e stop. Ma poi non avevi detto che stavi bene?-
Alessio comincio a borbottare e a farfugliare parole e concluse – No ragazzi non me la sento, sono stanco, un’altra volta organizziamo, ciao salutami Sergio.- detto questo buttò giù.
-       Allora?- chiese Sergio.
– Niente, siamo solo noi due.- gli risposi. Sergio si mise a ridere e disse – E ne avevi dubbi? -
Lasciata Chimay a casa, ci mettemmo in cammino verso la movida palermitana. Andammo in direzione dei Candelai. Via dei Candelai è un’ arteria di via Maqueda, la strada che poi intersecandosi con corso Vittorio Emanuele, da vita ai Quattro Canti, in pieno centro storico quindi. La particolarità di questa strada, oltre la sua lunghezza, è che è piena di locali uno accanto all’altro, tutti hanno i tavolini fuori, e ogni locale la sua musica sparata ad alto volume, così passeggiando lungo questa via si possono ascoltare tutti i generi musicali, ma proprio tutti.. un’altra caratteristica sono le persone che la frequentano, infatti è piena di giovani, ragazzi universitari e non, ragazzi stranieri che fanno l’erasmus a Palermo, punk, hippy, rockettari, ragazzi della Palermo bene, extracomunitari, intellettualoidi in loden, prostitute, turisti che finiscono coinvolti lì per caso. Si fonde tutto in via dei Candelai, i generi musicali e le persone e ne viene fuori un gran casino! Qualcosa di impensabile per una città borghese, tradizionalista e conservatrice come Palermo. Un mio amico di Catania, città segnata dalla lava dell’ Etna, che la rende scura e annerita, diceva che  Catania e Palermo sono come due donne, la prima, dall’aspetto austero ma dal carattere dolce e gioviale, la seconda invece dall’aspetto bellissimo ma con un animo triste e introverso. Quindi questa strada era  qualcosa di strano, di particolare, una vena di follia nel cuore della città.
Io e il mio amico decidemmo di entrare in un locale, ci facemmo largo tra tutta la bolgia e arrivammo a fatica al bancone. Dietro il bancone, serviva una ragazza che ricordava una delle ragazze del Coyote Ugly, bionda pelle chiara occhi chiari formosa, un vero piacere allo sguardo, si rivolse a noi chiedendoci cosa volevamo bere.
– Due cervelli di scimmia!- urlò quasi Sergio per farsi sentire. – Andrea ci vogliono proprio due cervelli stasera – continuò il mio amico, io assentii abbassando la testa e abbozzando un sorrisetto complice.
La ragazza prese due bicchierini, versò vodka poi dello sciroppo di fragola che si andò a depositare subito sul fondo, poi prese un cucchiaino che interpose tra il bicchierino e la bottiglia di bayles e fece scendere con maestria il liquido che abbandonando la bottiglia, prima di immergersi nella vodka incontrava il cucchiaino, in questa maniera il bayles scendeva più lentamente e diffondendosi nel liquido assumeva la forma di un cervelletto.
La ragazza, una volta terminata la preparazione, disse – Forza ragazzi! Tutto d’un sorso! – Detto fatto, ci strizzò l’occhio – Ve ne preparo subito un altro! –
- Furba la ragazza! – esclamò Sergio.
Alla fine la tipa del Coyote Ugly ce ne fece scolare altri tre, e i suoi effetti iniziavano a farsi sentire, uscimmo da locale, prendemmo la prima stradina che portava verso Monte Vergini, la confusione era tanta, vedemmo un pub frequentato da rockettari ci infilammo dentro. Il posto aveva un’atmosfera soft, le luci erano molto basse le pareti erano coperte da pannelli di legno scuri, vi erano divani con tavolini bassi, e un gruppo suonava pezzi di Sherman Robertson. Un rock blues molto caldo e vellutato, si diffondeva sul locale dandone un grande senso di accoglienza. Dietro al bancone c’era questa volta un tipo imponente, indossava una felpa di pail nera, la barba ei capelli castani, ci servì due birre Quack, ne prendemmo altre due. L’atmosfera del locale, il suo blues così inebriante, e molto probabilmente tutto quello che fino ad ora avevamo bevuto, ci trascinò via dalla realtà, eravamo assenti, persi nei nostri pensieri, poi d’un tratto Sergio, mi riportò nella realtà chiedendomi – Perché Andrea? Perché perdi tempo con quella ragazza? Voglio dire il mondo è pieno di ragazze. Non vedi che ti fa solo soffrire? – Diressi lo sguardo verso il gruppo che riproduceva alla perfezioni i pezzi di Sherman e risposi secco
– Sergio, la risposta è ovvia, perché ne sono innamorato, è normale che soffro, ma riuscirò a dimenticarla. –
Sergio scosse il capo e continuò – Sarebbe ora! –
Il gruppo finì di eseguire I wonder why, io mi chiedo perché, e ne stava attaccando un altro, quando il mio amico disse – Basta andiamo, questa musica ci sta ipnotizzando, andiamo alla Vucciria, c’è un posto dove si vende un bicchiere di vino ad un euro! – Abbandonammo il locale superammo la chiese del Monte Vergini e ci ritrovammo in via Maqueda, stavamo scendendo verso la cattedrale, mi ricordai di quella giornata quando Titti mi era scappata dalle mani, stavamo superando il vicolo del Santissimo Salvatore alzai lo sguardo verso la finestra dell’appartamento dove si era infilata Titti quel pomeriggio, era illuminato. Ad un tratto mi venne come un flash in testa! Mi fermai di colpo.
– Sergio aspetta fermati! Ora ricordo dove ho letto quel nome! –
Sergio sorpreso, mi guardò in modo strano – Andrea sei ubriaco? Ma di che parli? –
Sì, ero sicuro, forse sarebbe stata una follia, ma il bere mi aveva tolto quasi il senno, dovevo farlo, ma come avrei potuto presentarmi lì di nuovo?
– Sergio che ore sono? – chiesi, guardò il display del telefonino e rispose -  Sono le undici? Perché? –
– Bene ancora non è molto tardi!- Mi guardai intorno, e vidi un ragazzo che vendeva rose, stava scendendo verso i Candelai, lo fermai e tornai da Sergio con cinque rose. Mi guardò perplesso, e disse – Andrea vuoi portare questi fiori a Sofia? – lo disse col timore che la mia risposta sarebbe stata affermativa.
– No credimi, ho intenzione di fare di peggio! – esclamai ridendo.
Mi avvicinai al portone e senza pensarci schiacciai il pulsante, sentii gracchiare qualcosa, ma non si riusciva a capire niente, bussai di nuovo due volte, dal citofono uscì sempre un suono incomprensibile, e alla fine si sentì un secco click.. avevano aperto il portone. Il mio amico rimase a fissarmi incredulo, non stava capendo niente, mi voltai verso di lui e gli dissi – Sergio ci impiego due minuti poi ti spiego! –
-Andrea spero che tu non sia ubriaco o impazzito di colpo, se vedo arrivare la polizia o dei medici in camice bianco e camicia di forza in mano, beh io scappo! –
– Non ti preoccupare, tra due minuti sono qui.-
Feci la rampa di scale che portava all’appartamento, di corsa, senza pensare a niente, eccitato e sorpreso dalla fermezza e incoscienza con cui avevo preso la decisione di salire. Mi ritrovai davanti al campanello, ecco ora le mie incertezze e la mia sfrontatezza si erano dileguate. “E ora? Ok, torno indietro” ecco la mia Caporetto, stavo per tornare indietro, quando la porta di aprì.
- Ingegnere, perché non si è portato le chiavi? Santa miseria, lo sa che sono vecchia, e lei mi tiene sveglia fino a quest’ora di notte!-
Erano le urla della vecchia signora che avevo già incontrato quel pomeriggio con Titti. La donna, però con sua gran incredulità non si trovò di fronte l’ingegnere, ma con sommo stupore e preoccupazione si trovò me. Incominciò a balbettare e chiuse subito la porta. “Prima che le venga un infarto è meglio che le spieghi tutto, oh mio Dio, ma in che storia mi sono cacciato?”
– Signora buonasera, non so se si ricorda di me, sono quel ragazzo che le ha dato del fastidio col  cane, che insomma, non so se ricorda ha fatto la pipì sul tappeto, per questo, sono passato per scusarmi con lei per il danno che le ho recato, le ho portato dei fiori, la prego di accettarli. –
Sapevo che mi stava osservando dallo spioncino, così sollevai il mazzo di rose in modo tale che lo potesse vedere.
– Si mi ricordo di lei, e mi ricordo anche del suo cane, la ringrazio, comunque non si deve scusare solo con me, ma anche con l’ingegnere Tommasini, visto che la casa è sua, vede io sono la, diciamo, come si dice? – la vecchia si interruppe, non trovava le parole, avevo paura di intervenire, preoccupato di non fare una gaffe che sicuramente avrebbe compresso definitivamente tutto. Cosa poteva essere? Amante, spasimante, sorella, zia, figlia, nonna, assistente, colf.. “Boh meglio, aspettare che si autodefinisca” pensai sarcasticamente.
Finalmente, trovò la parola – Sono la colf dell’ingegnere. Non fraintenda, l’ingegnere, benché disordinato e sciattone, potrebbe essere completamente autosufficiente se avesse maggior amor proprio, e non pensi che sia una sorta di serva, ormai c’è un rapporto di amicizia e stima reciproca. –
La signora si stava dimostrando piuttosto logorroica, dovevo cercare di stringere, così intervenni – Signora, allora non mi potrebbe fare entrare così le do i fiori e mi scuso anche con l’ingegnere? –
Ci fu un silenzio lungo un minuto, poi rispose - Senta, io non apro mica al primo che porta a pisciare il suo cane a casa mia, e poi l’ingegnere non c’è, è uscito circa un’ora fa. Se mi dice il suo nome, lo scrivo e appena torna l’ingegnere riferirò. –
-Andrea Restivo – dissi senza pensarci.
Me ne pentii immediatamente, abbassai la testa non avevo altro da fare – Signora ha ragione la capisco, mi scuso ancora per l’inconveniente dell’altra volta e del disturbo che le ho arrecato stasera, le lascio i fiori sul pianerottolo. Buona serata, mi saluti l’ingegnere. –
Stavo scendendo le scale, quando sentii rumori di chiavistelli e la porta aprirsi. Mi fermai, la signora si sporse verso di me e mi disse – Ragazzo aspetta, scusami, entra pure se vuoi puoi aspettare l’ingegnere a casa. –
Mi voltai, e non ci pensai due volte, entrai dentro. La casa era esattamente come la ricordavo, accogliente, col camino acceso, il divano, i tappeti persiani, la libreria a giorno e il tavolo pieno di oggetti. La signora era ancora con i vestiti della giornata, indossava in più una vestaglia blu. Sentii rimorso per averla disturbata, e per averla ingannata, non ero lì ne per scusarmi ne per portarle i fiori, volevo solo placare la mia curiosità.
– Scusami, se sono stata diffidente, ma sa, in questa vecchia palazzina abitiamo solo noi, c’è un solo altro appartamento al piano di sopra, ma non vi ha mai abitato nessuno da dopo la guerra. Grazie per i fiori sono molto belli – gli aveva dato un’occhiata però indagatrice.
 – Sa’ mi ricorda mio nipote, ha su per giù la sua età.  Non lo vedo da molto tempo! Ma si accomodi sul divano, il mio nome è Rosa. –
- Signora Rosa – esordii – lei è stata gentilissima, è una cara persona. E mi scuso ancora della mia invadenza, ha ragione ad essere diffidente, con tutto quello che succede. -
La signora Rosa assentiva con la testa alle mie parole e aggiunse – Lei sicuramente ha sentito parlare dell’omicidio di quell’uomo, è stato assassinato proprio qui vicino, al municipio. Mamma mia, come lo hanno ridotto quel poveretto, e non le dico quanta gente è venuta in questa zona, già che è sempre trafficata, c’è un traffico e un rumore che è diventata invivibile. Dopo il fatto dell’omicidio, si sono aggiunti anche curiosi e giornalisti. Le dico la verità, io e l’ingegnere siamo terrorizzati. Per me si tratta di questione di furto. –
La signora era un fiume in piena, amava parlare evidentemente, io ero sprofondato sul divano, seguivo il suo discorso, ma con lo sguardo scrutavo il tavolo, dove ricordavo essere ciò che cercavo. Allungai lo sguardo e.. eccola era lì. Appena la individuai la mia curiosità aumentava, così come il desiderio di prenderla.
– Ha visto qualcosa? – chiese la vecchietta.  
-No, no – dissi, distogliendo lo sguardo dal tavolo.
– Mi deve scusare se c’è disordine, cerco di tenerla sempre in ordine questa casa. –
La vecchietta, si stava scusando per un disordine, che in realtà non c’era, e forse grazie a lei non c’era e non ci sarebbe mai stato.
– No, questa casa è molto ordinata e accogliente – la rassicurai– vivete solo lei e l’ingegnere qui? –
-Sì, io e lui. Sa l’ingegnere è rimasto vedovo nove anni fa, i figli sono grandi, si sono fatti una loro famiglia, e vivono all’estero. La figlia, che è la più grande è andata a vivere in Australia sei anni fa, il figlio si è trasferito con la famiglia in Germania. – Senza volerlo, stavo entrando nella vita di altri, questo un po’ mi imbarazzava, erano fatti che non mi riguardavano, però vedevo che la donna era contenta di aver trovato una persona con la quale parlare, così la spronai a continuare.
– Così, siete rimasti solo voi due? –
La signora annui – L’ingegnere non vede sua figlia e così pure i suoi nipoti da ben sei anni. Col figlio si vedono a Natale e a Pasqua. Prima, quando ancora lavorava, stranamente l’ingegnere era più attivo, appena aveva le ferie partiva e andava a trovare il figlio, spesso lo accompagnavo pure io. Ora che invece avrebbe più tempo libero non viaggia più. Così si vedono, per le feste, quando il figlio può scendere con la sua famiglia. –
- E’ andato in pensione? – chiesi.
– Sì, due anni fa. Lavorava alle ferrovie, come dirigente. Io lavoro in questa casa da otto anni, un anno dopo la morte della povera signora. Il figlio già si era sposato e aveva una sua famiglia, la ragazza invece si trasferì in Australia sette anni fa. –
La signora, si interruppe e continuò chiedendo – Le posso offrire qualcosa da bere? Ho del limoncello fatto da me. –
“Ecco il limoncello mi mancava, dopo tutto quello che ho bevuto, ma voglio assecondarla” – La ringrazio, lo accetto volentieri. –
La donna, si allontanò verso la cucina, era l’occasione giusta per avvicinarmi al tavolo, presi quello che cercavo, l’osservai con attenzione, un senso di eccitazione mi stava attraversando per quello che stavo per fare. D’istinto, senza pensare, staccai la foto dal porta fotografia e la feci scivolare nella mia tasca. Misi il porta fotografia su uno scaffale in alto della libreria. Guardai l’ora. Era già  trascorsa mezz’ora da quando ero entrato in quella casa, dovevo andare. Mi feci trovare in piedi davanti il divano, la vecchietta entrò con un bicchierino di vetro pieno di limoncello, lo bevvi in un sorso, ringraziai la signora e mi licenziai da lei.
 – Va già via? - disse – Non aspetta l’ingegnere? –
- No signora, è tardi, la ringrazio di tutto e complimenti per il limoncello. - 
Scesi di corsa le scale, uscii e trovai Sergio appoggiato ad un palo, appena mi vide disse – Andrea, ma che hai fatto? È quasi un’ora che ti aspetto! –
- Ho trovato quello che cercavo, domani ti spiegherò tutto. Ora continuiamo la serata, non eravamo diretti verso la Vucciria? -  dissi  tagliando corto.
Sergio stizzito e stupito si fermò davanti a me e disse – Spiegami cosa sei andato a fare in quella casa e cosa cercavi. –
-       Domani! Domani a casa di Alessio ti spiegherò tutto! –
Il mio amico a questo punto si era rassegnato a dover aspettare per sapere, si girò e disse – Beh allora, dai sbrighiamoci che la nottata è lunga! –

Una volta a casa, mi sdraiai sul divano, ed estrassi dalla tasca l’oggetto che avevo preso dalla casa dell’ ingegnere Tommasini. Avevo tra le mani quella sua foto nella quale era insieme ad altre persone, tra le quali, una  era indicata con una freccia che ne indicava il nome, ing. Leone. Presi un vecchio giornale con la foto dell’ uomo che era stato ucciso, l’ingegnere Vincenzo Leone. Di tempo ne era passato tanto tra le due foto, in una c’era l’immagine di un giovane che poteva avere al massimo venticinque anni, nell’altra un uomo che aveva da poco superato la sessantina. Eppure questi due uomini avevano qualcosa di simile, lo sguardo, gli occhi. L’istinto mi diceva che erano le stesse persone.     

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