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martedì 12 novembre 2013

Capitoli 3 e 4 Gioco del Ragno


                                                  3

 Le cinque e mezzo del pomeriggio, ero appena tornato dal lavoro, una volta cambiatomi di abito e rinfrescato ero pronto per andare a comprare il tocco. Il tempo era contato, anche se prendevo la macchina il traffico di Palermo era incredibile, poi trovare  posteggio in quelle strade del centro storico, così strette e trafficate era una vera impresa.
Chimay, capì che stavo per uscire e iniziò a fare i suoi consueti balletti e saltelli, mi voleva dire che voleva seguire il suo padrone. Il cane aveva ragione, ma non potevo proprio portarlo con me.
– No, Chimay, non posso portarti, appena torno ti porterà fuori.- Mi mancava solo il cane..
Scesi velocemente le scale, uscendo dal portone notai Serena, stava passeggiando un cane. “Anche lei ha uno yorkshire, questo palazzo e questa città ne sono pieni! Ormai ci saranno più yorkshire che uomini!”.
Andai verso la macchina e le accennai un saluto con la mano, mentre stavo proseguendo per raggiungere l’auto, vidi che rispondeva al telefonino ed iniziava una discussione piuttosto animata, iniziò ad agitarsi, il suo viso assunse un’espressione preoccupata. Vedendola così agitata, mi diressi verso di lei.
– Serena, tutto a posto? Qualcosa non va?-
-No, cioè sì. Ho ricevuto una telefonata dall’allenatore di calcetto di Domenico, mi ha detto che mio fratello giocando ha sbattuto la testa e l’hanno portato al pronto soccorso per accertamenti. Niente di grave, ma dovrei correre da lui subito.-
“Quando è agitata è ancora più carina” pensai.
-Andrea mi puoi fare un favore? So che non ci conosciamo da molto- lo disse abbozzando un sorriso, come a dire mi sento una sfacciata, lo so – mi potresti tenere il cane, mentre vado a prendere mio fratello?-
Rimasi spiazzato lo ammetto - Eh?! Si certo, non ci sono problemi.-
Lei accennò un sorriso, mi mise il guinzaglio del cane in mano. Prima di voltarsi e andare via mi disse – Grazie! Devo scappare-.
-Prego, te lo riporto stasera.-
Stava per allontanarsi, quando le  chiesi una cosa importante – Serena, come si chiama il cane?- quasi urlai, perché mi sentisse, lei si girò e con un sorriso rispose – Titti!-.
Così rimanemmo io e Titti a guardare Serena allontanarsi velocemente, puntando con decisione verso la sua macchina. Quando mi fui ripreso e mi accorsi della situazione in cui mi ero trovato pensai “Sì, non ci sono problemi un cacchio, ora come faccio con sto cane? Non posso lasciarlo con Chimay, si ammazzerebbero e distruggerebbero tutta la casa, non posso rinviare, perché domani c’è la laurea..”, l’unica cosa che potevo fare era portarlo con me. “Ma dico io, come se non mi mancassero i cani!”.
Il problema era che, come tutti i cani di questa razza, Titti era molto vivace, tra lei il traffico il posteggio ei posteggiatori, il tragitto fu un vero inferno.
Riuscii a trovare un posto a piazza Bologni, diedi una moneta al posteggiatore, feci scendere Titti, notai che portava un fiocchetto rosa in testa, questo mi fece muovere la testa in segno di disapprovazione, sorvolo le considerazioni che feci.
Mi trovavo nel cuore di Palermo, il centro storico, tutte stradine, palazzi dell’ Ottocento. Incastonate in queste strade vi si trovano delle chiese di rara bellezza. Piazza Bologni dà su corso Vittorio Emanuele, l’antico Cassaro. Il Cassaro è la strada che collega il palazzo dei sovrani, posto nella parte più alta della città, e il mare. Questa strada lunga poco più di un chilometro e mezzo, è un concentrato di architettura urbana. Vi si trovano infatti palazzi aristocratici, chiese, monasteri alberghi, piazze. Il cuore del Cassaro è piazza Vigliena conosciuta come I Quattro Canti. Questa piazza nacque nel Seicento con l’intersezione tra il Cassaro con la barocca via Maqueda. Questa piazza che si venne a formare ebbe anche un altro nome quale quello di Teatro del Sole, perché in ogni ora della giornata il sole la colpisce in uno dei quattro cantoni.
Questa strada, è stata la prima a godere dell’illuminazione artificiale. Il Cassaro era residenza dei più importanti poteri della città e della Regione Siciliana.
C’era la presenza del palazzo Reale, che esprimeva il potere dello Stato, palazzo Pretorio, sede prima del Senato Siciliano e poi del municipio ed infine anche il potere religioso con la presenza del Palazzo Arcivescovile e della Cattedrale. Nel passato avere un palazzo in questa strada era un segno di prestigio sociale, e a contendersi un posto nel Cassaro non erano solamente le famiglie aristocratiche, ma soprattutto gli ordini ecclesiastici.
Per la festa della Santa Patrona di Palermo, Santa Rosalia, per il cosiddetto festino, la strada si trasforma in un grande palcoscenico, in cui si rivive il dramma del diffondersi del contagio della peste e la grande gioia della liberazione per l’intervento della Santa. In quei giorni dei primi di Luglio si può assistere a spettacoli di luci, di colori e di suoni. Il momento culminante del festino si ha con la sfilata del Carro trionfale per tutto l’antico Cassaro. Il carro trascinato dai buoi ha la forma di un vascello alla cui sommità è issata una statua di Santa Rosalia nel pieno della sua gloria. Questo Carro ha due interpretazioni simboliche. La prima vede il Carro come mezzo per i palermitani di riaffermare la gloria della propria città un tempo capitale del mondo. L’altra interpretazione vede il Carro come metafora della voglia della città di trionfare sui propri mali così come la sua Santuzza lo fece sulla peste.
E di mali sui quali si doveva trionfare ce ne erano tanti..
Palermo è una tra le città più belle e ricche di monumenti del mondo. “Se solo amassimo maggiormente e valorizzassimo quello che già abbiamo..” questo era un pensiero che mi affiorava ogni volta che mi trovavo a girare a piedi per le strade della mia città. Ed invece tutto era trascurato, degradato, ricoperto da immondizia e ciò che era peggio da indifferenza. “Abbiamo un tesoro sotto i piedi, altro che petrolio.. se le cose funzionassero bene, molti giovani non sarebbero costretti ad emigrare e abbandonare la propria terra. Ma l’uomo crede ad un altro tipo di sviluppo, e purtroppo questa società ignorante facilona e ottusa ha presunzione di credere che la cultura non porta denaro e lavoro.. Lo sviluppo per loro invece sono centri commerciali e colate di cemento.”          
Attraversavo tanti negozi, che vendevano squallidi souvenir per turisti, magliette con l’immagine di Don Vito Corleone, carrettini in plastica, posacenere a forma della Sicilia e altra chincaglieria simile, questi negozietti si alternavano agli ormai immancabili negozi cinesi, che si stavano specializzando anche loro in souvenir siciliani.
Mi ritrovai, finalmente di fronte al negozio che cercavo. La vetrina esponeva varie divise dell’esercito e della polizia, coltellini svizzeri, torce e un sacco di altri accessori militari e non. Entrai, al bancone c’era un ragazzo impostato e completamente rasato, stava servendo due ragazzi in divisa da marinai. Appena sentì i miei passi che si avvicinavano al bancone, il ragazzo mi squadrò con dei occhi azzurri, così penetranti, che sembravano mi stessero facendo una radiografia.
­- Desidera?-
- Buona sera desideravo un tocco, un cappello per laureati che..-
-Sì, certo, papà vieni, puoi servire il ragazzo?- il giovane mi interruppe bruscamente e chiamò il padre, che stava lavorando in una stanza che dava sul negozio. Mi apparve un vecchietto arzillo e dall’aspetto simpatico, trasudava tanta esperienza nel suo campo, aveva un sorriso sornione e un’aria del tipo ora ti spiego tutto sui tocchi, divise e sartoria in generale.
-Cosa ti serve?- mi chiese, notai che aveva gli stessi occhi del figlio.
 –Desideravo.. un tocco.-
-Certamente! È per lei?- l’omino era felice di servirmi, doveva essere proprio un gran chiacchierone!
– No, è per una mia amica che domani si laurea - risposi, temendo una serie di domande infinite da parte del venditore. E infatti..
- Ah è per una ragazza! Allora la 52 come taglia dovrebbe andare benissimo! Ma sicuro non è per lei? È la sua ragazza? No, perché se è invece per lei potrebbe anche andare bene la 53!-
“Ma perché questo pazzo pensa che sia per me?” –No guardi, non è per me, la 52 per una ragazza dovrebbe andare bene?- chiesi, sperando in una risposta concisa
– Sì certo, poi guardi si usa solo per un giorno è più che altro una cosa simbolica-
“Ma va! Non lo sapevo!”
– E poi - continuò - vede che meraviglia, che tessuto, questi li facciamo noi, molte divise le facciamo noi, sono stupende, non se ne fanno più come una volta. Guardi- l’omino si avvicinò e fece come se mi stesse per svelare il Terzo Mistero di Fatima – Purtroppo oggi, una divisa la puoi trovare anche ad un costo irrisorio, però ti dura niente, la gente non capisce il rapporto qualità prezzo, e così noi artigiani del mestiere saremo costretti a chiudere! Comunque ritornando al tocco, se lo provi.. - e prima che potessi dire una sillaba, mi calzò il tocco in testa, mi guardò con aria soddisfatta e disse - perfetto! Questa misura va bene anche per una ragazza!-
Ormai ero stremato, tagliai il discorso e chiesi il prezzo al figlio.
Uscito dal negozio, nella stessa mano avevo il sacchetto con l’oggetto appena acquistato e il guinzaglio di Titti, che devo dire la verità, a parte qualche saltello in macchina mentre guidavo, si era comportata fin li bene. Attraversai la strada, e iniziai a scendere verso piazza Bologni. Cominciai a pensare a Sofia, alla giornata che avrei vissuto l’indomani, ai suoi occhi, alle cose che ancora dovevo sbrigare.. ero preso dai miei pensieri, pensavo a lei, e tutto il mondo poteva aspettare. Il risveglio fu brusco, Titti cominciò a tirare il guinzaglio, mi scivolò la presa dalla mano, e vidi il cane scappare, corse scodinzolando e abbaiando.
– Titti, torna qui ubbidisci!- “Maledetto cane, tutti uguali!” – Ma dove vai?! Titti!-
Il cane superò la chiesa del Santissimo Salvatore, si fermò un secondo, la richiamai, ma invece di tornare indietro continuò la corsa ed entrò in un una stradina sulla destra. Arrivai davanti la strada era la via del Santissimo Salvatore, una strada molto stretta e poco illuminata, il cane si era fermato davanti ad un portone aperto, appena mi vide entrò dentro. “Se la prendo l’ammazzo! Giuro che stasera mangio yorkshire!”.
Entrai nel palazzo, vi era subito una scala con gradoni in cemento alti e tozzi, le pareti erano di un intonaco bianco consumato dall’umidità, percorsi la rampa di scale che mi portarono davanti la porta accostata di un appartamento. “Il cane sarà entrato, che situazione…”.
Bussai, attesi un po’, ma non venne nessuno, decisi di entrare, aprii la porta. L’appartamento era molto accogliente, il soffitto era basso, ero sicuramente nel salotto studio, mi trovavo in una stanza piena di tappeti persiani, un divano bianco in pelle molto elegante, ai lati vi erano una serie di librerie a giorno piene di libri, l’ambiente era illuminato da due lumi, che creavano una atmosfera rilassante. Titti era sotto un tavolo di legno scuro, su cui erano posti dei porta fotografie e degli oggetti d’argento. Osservai che la stanza era piena di foto, alcune erano in bianco e nero, mi avvicinai incuriosito ad una di esse, era una foto di gruppo, nella quale erano raffigurati diversi uomini in giacca e sopra di loro si leggeva dopo lavoro ferroviario. In un'altra c’erano quattro giovani uomini in giacca con le camicie col collo sbottonato, senza cravatta, erano in una specie di deposito ferroviario, sopra di loro la sigla P.M.T. . Nella foto vi era anche una sorta di didascalia aggiunta a penna, ogni ragazzo era segnato da una freccetta che ne indicava il nome. “Ing. Tommasini, ing. Leone, ing. Ciro Lo Vecchio, Pasquale De Felice”. Sulle librerie invece vi si trovavano libri di ingegneria, matematica, ma anche di storia, enciclopedie, libri sulla mafia, gialli di Sciascia, e anche testi di opere greche. La camera aveva una finestra che dava sul cortile interno, c’era una porta chiusa e poi un’altra che la collegava con un'altra stanza, i due ambienti erano divisi da una tenda. Da questa penetrava un ottimo odore di ragù, una luce e il rumore di una televisione accesa ad alto volume. Il cane, naturalmente entrò in quella che doveva essere la cucina. Si sentirono le urla di una donna.
– Ma chi è sto cane! Esci fuori, madre mia sembra un topo!-
Vidi il cane sbucare dalla cucina come una saetta, impaurito cercava di nascondersi tra le mie gambe.
Un istante dopo uscì una donna minuta, molto bassa, brandendo una scopa, appena mi vide incominciò a urlare.
– E tu chi sei? Che vuoi? Come sei entrato? Vuoi svaligiarmi la casa?-
- No scusi signora- tentavo di dare una spiegazione – mi è scappato il cane e si è intrufolato a casa vostra.- La signora era paralizzata dal terrore, sicuramente era talmente terrorizzata che non aveva compreso niente di quello che le stavo dicendo.
- Ma che vuoi? Non ho niente in casa!- la donna non aveva capito nulla, cercai allora di rassicurarla, e ricominciai.
– Signora mi scusi prendo solo il cane e me ne vado, scusi per il disturbo.-
- Non prendere il mio cane!- mi intimò lei.
– No signora, il mio! Questo è il mio cane- doveva essere un po’ svampita.
– Giovanotto ora chiamo i carabinieri e vediamo. Tu ora rimani qui, aspettiamo anche che torna l’ingegnere!- “Ma che sta dicendo? Ma chi devo aspettare?”
– Signora, guardi prendo il cane e vado via.- Appena dissi queste parole Titti allargò le zampe posteriori e fece la pipì sul tappeto, la signora se ne accorse e buttò l’ennesimo grido.
– Il tuo cane, sta pisciando il tappeto!- “Oh Dio mio! Ora sono rovinato, almeno però ha ammesso che il cane è mio...”. La donna vociando andò in cucina, si sentiva un rumore di acqua, cose che cadevano per terra, probabilmente stava prendendo l’occorrente per pulire.
Era l’occasione perfetta, presi Titti in braccio e me ne andai di corsa, scendendo urtai un uomo che stava salendo, doveva essere l’ingegnere proprietario dell’appartamento. Giunto sulla soglia del portone sentii l’uomo che sgridava la donna, le diceva che doveva stare attenta, che quando tornava doveva chiudere la porta di casa – E’ sempre la solita storia!- urlò.
Mi allontanai a passo svelto, ormai dovevano essere quasi le otto, i negozi stavano chiudendo, arrivai alla macchina salì e mi diressi verso casa.
Impiegai circa mezz’ora per tornare, Titti, capito il danno che aveva causato per tutto il tragitto rimase silenziosa e tranquilla “Questi cagnetti sono molto furbi..”. Pensai di passare da Serena, per riportarle il cane, e per chiedere informazioni su Domenico. Bussai, Titti cominciò a scodinzolare sentendo i passi di uno dei suoi padroni avvicinarsi alla porta. Mi aprì Serena, mi sorrise, si accovacciò per accarezzare Titti festante, poi si alzò di scatto e con un po’ di imbarazzo si rivolse a me.
– Andrea scusami, sono stata una sfrontata a chiederti di tenere il cane, ma non sapevo cosa fare ero confusa, non sarei potuta entrare al pronto soccorso col cane e..-
La bloccai e le dissi - Serena, non ti preoccupare, non mi ha creato nessun disagio – “sapessi, che figura mi ha fatto fare” - pure io ho un cane.. ma piuttosto Domenico? Come sta?-
- Due punti sul gomito, la testa per fortuna non se l’è rotta questa volta. Ma vuoi entrare? Non ho molto da offrirti, praticamente solo acqua- disse abbozzando un sorriso. – Ti ringrazio, ma è tardi, e domani ho sveglia presto.. - I suoi occhi caddero sul sacchetto che tenevo in mano.
– Sai cosa c’è qui dentro?-  dissi alzando il sacchetto, con la testa fece un no, incominciò ad incuriosirsi.
– E’ un tocco, lo regalerò domani ad una mia amica che si laurea!- Rimase a guardarlo, a rigirarlo tra le mani, si vedeva che aveva una voglia matta di indossarlo.
– Che regalo carino! – disse – spero che presto anch’io possa riceverne in regalo uno, mi sto laureando in architettura, ormai mi mancano poche materie, spero entro l’anno di laurearmi. Tu studi? lavori?-
- Io mi sono laureato in economia, e ora lavoro alle poste, lavoro qui vicino.-
- Che bello, lavori!- ormai avere un posto di lavoro normale, è qualcosa di raro, questi tempi ci hanno ormai abituato che  questo aggettivo normale accanto alla parola lavoro, non fa più per la nostra generazione e per quelle future: “I giovani, devono inventarselo il lavoro, devono diventare imprenditori di se stessi! Voi giovani dovete andare all’ estero.. dovete imparare le lingue! Voi giovani dovete capire che oramai tutto si basa sul merito!” così dicevano..
Serena, mi fissò negli occhi, era la prima volta che i nostri sguardi si soffermavano per così tanto tempo. Sembrava che in quell’attimo stesse leggendo tutta la mia vita, fece un altro sorriso e mi disse – Andrea devi tenerci molto a questa persona, beh da donna ti dico che è un bel gesto, è una cosa che colpisce.- Mi strizzò l’occhio, diventai rosso “Ma come fanno le donne a capire sempre tutto?” 
– E’ solo un’amica- abbozzai - vado.-
Le diedi un bacio sulla guancia, lei mi sussurrò in bocca al lupo, e mi regalò un ultimo sorriso.







                                                        4

Una figura vestita di nero stava percorrendo via Maqueda, aveva lasciato piazza Pretoria e si dirigeva verso la stazione centrale. Una pioggia fittissima, spazzava la città da ore, la via era deserta, e la luce giallognola degli antichi fanali, risultava ancora più fioca per la copiosità della pioggia. I passi erano lenti. L’uomo sembrava che avanzasse quasi strisciando i piedi, quasi come se i suoi vestiti fossero zavorrati dall’acqua che assorbivano.. I suoi occhi, neri come due tizzoni  di carbone, brillavano nell’oscurità, il vento forte cercava di strappargli di mano l’ombrello, e lo rendeva ingovernabile, aprì la mano e lo fece rapire dal vento. Tanto non sentiva più la pioggia, il freddo, niente.. ormai il destino si era compiuto. Non si sentiva però libero, aveva pensato tante volte a questa possibilità, non sapeva poi che sensazione avrebbe provato. E ancora adesso non riusciva a capire cosa provava, si sentiva solo svuotato, era stato solo partecipe? O come sempre, la vita gli aveva fatto da complice? Comunque sia un’altra verità era stata smentita, non esisteva il libero arbitrio, la sua vita gli aveva sempre negato la possibilità di scegliere, e quella notte era testimone della veridicità del suo pensiero. Sentiva l’acqua scorrergli su tutto il corpo, quasi come se quella pioggia servisse a purificarlo, il guanto destro sporco di sangue. Questo spirito nero attraversò senza fermarsi mezza città, adesso era arrivato, fece scattare la serratura, e si diresse verso il suo letto, accese la luce sul comodino, e così tutto bagnato senza togliersi gli indumenti si lasciò cadere sul letto, premeva il viso contro il cuscino, come a volersi soffocare, poi dentro di se sentiva nuovamente quei mostri che lo perseguitavano da sempre, le voci del passato, le immagini di una vita che voltava sempre verso il male, una lacrima abbandonò quegli occhi votati al male, percorse il suo profilo, per poi lasciarlo definitivamente e farsi assorbire dalla fodera del cuscino.

Solo un rantolo uscì dalla sua bocca: -Perdonami-.

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