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sabato 15 marzo 2014

PAROLA AL LETTORE: Il GIOCO DELL'ANGELO riflessioni di NeoArgo


                                                                                     








"Sai qual'è il bello dei cuori infranti?
che possono rompersi davvero 
soltanto una sola volta. Il resto sono 
graffi." 
























Finendo di leggere il gioco dell’angelo ci si rende conto di esser stati protagonisti di una storia incredibile, che si dipana all'interno di una città gotica e cupa quale la Barcellona di Zafòn. 
Attraverso un tratto più maturo l’autore, tenendoci per mano ci trasporta all’intero di questa storia, facendoci conoscere per la prima volta attraverso le pagine del libro il giovane David Martin scapestrato giornalista di un giornale locale, il quale sogno è quello di scrivere un libro ed essere così ricordato per sempre, occasione che tra l’altro avrà nel momento stesso che un misterioso editore straniero interessato e affascinato dallo suo stile “maledetto” , vorrà ingaggiarlo per commissionargli un’opera immensa e di grande morale. 
Da questo punto in poi, la vita del nostro protagonista cambierà radicalmente, tra amori struggenti che non posso essere consumati, se no tra le pagine di ricordi sbiaditi e misteriosi omicidi che hanno le loro origini nei più bui anni venti della Barcellona che conta, prende il via quello che è considerato il prequel dell’ombra del vento.

                                                  NeoArgo
                                                      

giovedì 13 marzo 2014

IL GIOCO DEL RAGNO CAPITOLO 23

                                         23

“Ha dimenticato la sua foto..”, quell’uomo era glaciale, “è una carogna..
però rispetto a De Felice, non mi ha mentito, è stato sincero, ha ammesso senza esitazione di riconoscere gli uomini nella foto.”
Queste erano le considerazioni che stavo sviluppando il giorno dopo, seduto al mio posto di lavoro. La sera prima avevo raccontato tutti i particolari dell’incontro a Serena. Lei era certa di una cosa, Lo Vecchio non lo convinceva. Lo trovava sfuggente, troppo indifferente alla vicenda.
“Quest’uomo forse vuole apparire diverso da quello che in realtà è.”
La mia sensazione era quella che il professore indossasse una maschera.
“E’ abituato a portarla, si vede da come si comporta con i suoi allievi”.
Il fatto che potesse esistere un uomo talmente cinico e distaccato da tutto ciò che non era lui stesso, per me era inconcepibile.
“Quelle sue caramelle.. erano ottime, mi hanno sistemato la gola.. le devo comprare.”
Non facevo che pensare all’incontro con Lo Vecchio, rivivevo ogni particolare. Il turno stava quasi per finire, tra un’ora avremmo chiuso.
“Basta pensare a questo tizio.. è che è la routine a fregare..”
I miei pensieri continuavano a seguire la loro strada, indifferenti a ciò che accadeva intorno. Si interruppero quando sentii vibrare nella tasca del pantalone il cellulare. Era un messaggio inviato da Sofia.

Domani sera andiamo a mangiare un panino a Sferracavallo, pare ci sia una fiera di fine inverno! Non mancare!

Provai due sensazioni dopo che lessi l’sms, la prima di stupore, la seconda di contentezza. Ripensai al testo di una canzone di Tenco che diceva: ho capito che ti amo quando ho visto che bastava una tua frase per far sì che una serata come un’altra cominciasse per incanto ad illuminarsi.
“Ma non diciamo sciocchezze.. per me Sofia è solo un’amica.”
Il mio trainer di auto convincimento che la natura del sentimento fosse di amicizia, si interruppe quando la voce di un uomo mi chiese di effettuare dei pagamenti. Come di incanto i pensieri svanirono.
-Sì, mi scusi, la servo subito. –
Alzai lo sguardo, e riconobbi la persona che avevo di fronte a me allo sportello. Era il professor Nicolò, come ogni mese si presentava con un bel mazzo di bollette da pagare.
-Professore come sta? Mi scusi ero sovrappensiero! –
-Beata gioventù che ha il tempo di perdersi nei propri pensieri! – disse sorridendo.
Effettuati i pagamenti, gli feci segno di accostarsi di più a me.
-Professore, posso chiederle un favore? Si tratta di una curiosità. –
-Certo, mi dica pure. –
-Ecco guardi, si tratta di una frase in latino. Se cortesemente me ne può spiegare il significato. –
Porsi al professore il foglietto che aveva trovato Serena accanto al corpo dell’ingegnere Tommasini. Inforcò gli occhiali da lettura, si mise in disparte, mi chiese qualche minuto per poter esprimere un parere. Mentre, il professore pensava entrò nell’ufficio postale Serena.
Aveva un sorriso raggiante, si avvicinò a me senza esitazioni e mi diede un sonoro bacio sulla guancia.
-Andrea devo darti due notizie meravigliose! –
Non l’avevo mai vista così felice.
-La prima è che oggi ho dato l’ultimo esame. È andato benissimo. –
-Brava, ma che bella notizia! Non mi avevi detto niente che avevi l’esame oggi. –
-Scaramanzia, ma ora posso finalmente dirlo: ho finito! E tu sei stato il prima a
saperlo! –
-Serena dobbiamo festeggiare, dove vuoi andare? –
-Andrea, ora sono in uno stato pietoso per uscire, vieni invece a cenare a casa mia e magari dopo ci vediamo un dvd di un film che ho comprato qualche giorno fa. Domani invece se tu sei disponibile usciamo! –
-Perfetto, appena termino il turno vado in rosticceria e compro della pizza a taglio e poi ci vediamo il film. Per domani sera ho ricevuto un invito per andare a Sferracavallo, a quanto pare c’è una festa, non sarà come quella di San Cosmo e Damiano che si tiene a Settembre, ma se ti va ci potremmo andare insieme, altrimenti possiamo fare altro. –
Serena sorrise piena di entusiasmo, le sembrò un’ottima idea, mi raccontò dell’esame, poi passò a descrivermi sommariamente la trama del film che avremmo visto la sera. Era carica di adrenalina post esame.
-Scusate se vi interrompo ragazzi. – intervenne il professor Niccolò – ho analizzato la frase. –
-Scusi professore, vorrei spiegare a Serena che le ho dato la frase in latino trovata in un foglio di carta lasciato su un banco della sua facoltà.- le strizzai l’occhio, Serena capì al volo.
-Oh sì, professore, grazie, la mia era solo curiosità e Andrea ha pensato che lei avrebbe potuto decifrare il testo. –
-Ma si figuri, piuttosto spero di esserle d’aiuto. La frase non ha un gran significato, il testo dice: in girum imus nocte, ecce et consumimur igni, ora sebbene non insegni latino, e non ricordo bene le sue regole grammaticali, in girum non mi sembra sia una parola latina, questa frase in italiano suona come: in giro andiamo di notte, ecco si consuma con il fuoco. La frase di per se ha poco significato, almeno senza il contesto. La cosa particolare invece è che questa frase è.. aspetti provi a leggerla da destra verso
sinistra.. –
Feci come mi disse il professore, e con mio grande stupore leggendola da destra verso sinistra era sempre la stessa frase.
-Ma se la leggo al contrario è la stessa cosa! – esclamai.
Il professore ridacchiò compiaciuto – Si esattamente, si tratta di un palindromo, è una frase che letta al rovescio rimane identica. –
Serena prese il foglio la lesse al contrario, poi mi guardò con aria sorpresa.
-Ragazzi per ora frasi come queste vanno di moda. Con quello che sta succedendo, con tutti questi misteri a scuola mia gli studenti sono in fibrillazione. Vogliono sapere di massoneria, di riti esoterici, dei Beati Paoli, ogni giorno spunta una nuova setta. Molti si divertono a crearseli i misteri.- ridacchiò – Se volete posso chiedere un parere a mia moglie, lei insegna latino.. –
-Professore lei ha fatto tanto non c’è bisogno di altro, anzi la ringrazio per il tempo che ci ha concesso. –
Il professore sistemò gli occhiali nel taschino della giacca, mise in borsa le ricevute dei pagamenti e ci salutò calorosamente.
-Hai capito? È un palindromo. – dissi rivolgendomi a Serena.
-Sì, e penso che siamo di fronte ad un pazzo che si sta divertendo a terrorizzare la città. –
-Ormai ne siamo fuori Serena. – “Almeno spero” – pensiamo al film. –
La mia amica non ne era del tutto convinta, dalla faccia che assunse. La felicità era scomparsa dal suo viso.
-Allora vado a casa, appena finisci vieni direttamente da me. –
Si stava dirigendo verso l’uscita con passo sicuro e spedito, aveva un bel portamento.
“ E’ una bellissima ragazza” .
-Serena aspetta – si girò “E’ ancora più bella”, mi guardò con aria interrogativa.
– Mi dovevi dare la seconda notizia. –
-Ah sì, ma dovrai aspettare a domani sera! –
Mi strizzò l’occhio e uscì.        

La festa di San Cosmo e Damiano era proprio cominciata. Sarebbe durata giorno e notte. Sarebbero continuate le danze, sarebbe continuato il bere, non sarebbe cessato il rumore. Alla fine tutto divenne irreale e sembrava che niente potesse avere conseguenze. Per tutta la durata della festa, avevo la sensazione che dovevo urlare per farmi sentire. Era la stessa sensazione che si provava durante un combattimento. La calca era tale che un cameriere, tenendo la bottiglia sopra la testa, faticava a raggiungere il tavolo dove eravamo seduti io e Serena. La gente affluiva da tutte le parti, e dal fondo della strada udimmo avvicinarsi i tamburi. I tamburi con suoni sordi e sopra di loro i Santi che ballavano. Nella folla si vedevano i portatori della vara, che rappresentavano i pescatori, che andavano su e giù, il tutto illuminato da un immenso riflettore formato dalle luci di tutti i balconi di Sferracavallo. La strada era una massa compatta di danzatori, tutti uomini. Ballavano a tempo dietro altri pifferai e tamburini, indossavano abiti bianchi con fazzoletti rossi al collo. Nella mia testa risuonava il grido viva San Cosmo e Damiano! Viva!
Avevo paura di perdermi e di lasciami trasportare via dalla marea di gente, mi voltavo sempre verso Serena, era il mio punto di riferimento.
Tra la gente festante noto il professore Lo Vecchio, felice, ha lo sguardo rapito dall’immagine dei Santi. Dietro di lui un’ombra nera avanza, socchiudo gli occhi li sforzo per cercare di vedere chi si cela sotto quel cappuccio nero. Dalla manica della sua tunica spunta qualcosa di lucente, è la lama di un pugnale, il cui riflesso mi abbaglia. L’uomo sferra una pugnalata alle spalle del professore. Io urlo, urlo con quanto fiato ho in corpo, ma nessuno mi sente, nemmeno io riesco a udire la mia voce. Il rumore della festa sovrasta ogni cosa. Cerco di precipitarmi verso il professore. Ci metto una vita per arrivare da lui. Lui non c’è più, e nemmeno quella figura nera. Guardo per terra, vedo una gran pozza di sangue.. ha ucciso l’ingegnere! Cerco con lo sguardo Serena, non è più al suo posto, il tavolino dove era seduta è libero. Mi allontano da questa massa di gente. Sono da solo, la festa è davanti a me. Ora sento. È Serena. La voce proviene da una stradina alla mia destra, corro, devo raggiungerla. Li vedo, vedo Serena spalle al muro, davanti a lei l’uomo incappucciato. Perde sangue, l’uomo la sta accoltellando all’altezza dello stomaco più e più volte. Mi sente arrivare, scappa, mi butto su Serena. Urlo, urlo, non le esce che un ultimo sospiro, sono pieno del suo sangue, me lo sento addosso, me lo sento ovunque. Mi è morta tra le braccia.


Mi svegliai di botto, mi misi seduto sul letto, aprii gli occhi “è solo un sogno”. Lanciai un’occhiata ai piedi del letto, dove sapevo di trovarvi Chimay, che infatti stava dormendo lì. Avevo le spalle sudate, c’era caldo, scostai il piumone. Afferrai la sveglia sul comodino, erano le quattro. Si trattava solamente di un incubo questa volta. Mi rasserenai, mi distesi sul letto, mi abbracciai al cuscino e ripresi sonno.

sabato 8 marzo 2014

PAROLA AL LETTORE: L'OMBRA DEL VENTO recensione di NeoArgo













"Aveva, come altre persone,  l'abitudine di 
sorridere esageratamente  quando voleva 
trattenere il pianto."
























Ho finito l’ombra del vento, un romanzo che per certi versi potrei definire con la parola ineluttabile. Perché tutto quello che è iniziato per gioco e divenuto con lo scorrere delle pagine qualcosa di più complesso e pericoloso di qualsiasi altra cosa. 
Con lo scorrere degli anni e delle pagine, l’autore tenendoci quasi per mano ci fa addentrare in una Barcellona gotica e quasi surreale, dove prende il via la storia di un libro maledetto dimenticato dentro il cimitero dei libri dimenticati, dove tutto tace e l’unica voce è quella delle pagine di quei libri dimenticati della polvere che li ricopre. 
Almeno fino al giorno in cui un bambino di undici anni lo ritrova quasi per caso o per fato scopre il mistero che vi è dietro, dando il via a una storia ricca di intrighi e di amori perduti nel tempo e poi ritrovati attraverso il ricordo, che strugge il lettore fino al finale elettrizzante e pieno di emozioni, regalandoci così una pietra miliare del nuovo millennio.


                                                    NeoArgo

giovedì 6 marzo 2014

IL GIOCO DEL RAGNO CAPITOLO 22

                                                22   

Alle dieci del mattino mi trovavo all’entrata del dipartimento di meccanica della facoltà di ingegneria. Il bidello era dentro il gabbiotto, aveva uno sguardo spento e sonnolento, fisso alla parete di fronte.
-Mi scusi, cerco il professore Lo Vecchio. –
Il bidello si destò dal suo torpore, sbadigliò e disse –Secondo piano, si sbrighi perché sta facendo esami. –
Salii al secondo piano, ero già stato lì, ricordavo quel pomeriggio con Serena quando Lo Vecchio non ci potette ricevere, lì c’era infatti lo studio del professore, stavolta la porta era chiusa. Era invece aperta la porta di un'altra stanza, e attorno ad essa vidi una grande concentrazione di ragazzi. Alcuni stanziavano davanti l’ingresso, altri chiacchieravano fuori, altri ancora ripassavano sfogliando quadernoni pieni di appunti, c’era anche chi passeggiava avanti e indietro per smaltire la tensione.
Mi feci largo ed entrai, la stanza era molto grande, più di quanto mi aspettavo. C’era una grande finestra da cui entrava la luce che irradiava l’ambiente, due grandi librerie in ferro a giorno, un grande tavolo in legno al centro e accanto a questo una lavagna. Seduti ai due capi del tavolo c’erano l’ingegnere Lo Vecchio e il suo assistente Uva. L’ingegner Uva era intento a correggere un esercizio, aveva accanto un ragazzo che probabilmente lo aveva appena svolto. Dall’altra parte vicino alla lavagna si trovava il professore.
Aveva uno sguardo da rapace, immobile con la pipa spenta in bocca, sembrava un busto di marmo, con gli occhi grigi fissi sullo studente che in piedi col gesso in mano attendeva le domande.
Notai che l’attenzione degli studenti era rivolta tutta sul professore, c’era un silenzio e una tensione che si tagliava col coltello.
-Senta – il professore pronunciò questa parola in modo quasi faticoso, come se sapesse già come sarebbe finito l’esame, con una pausa che sembrò durare un’eternità – mi parli del diametro economico di una tubatura e dello spessore economico del coibente. –
Tutti si appuntarono le domande sul quaderno. Il ragazzo cominciò a scrivere delle formule nella lavagna.
L’ingegner Uva nel frattempo continuava l’esame all’altro ragazzo. Uno studente accanto a me aveva finito di prendere appunti e tamburellava con la penna sul quaderno.
-Scusa, come sono andati gli esami fin’ora? – gli chiesi.
-Male, su otto ha promosso solo il primo. –
Ripensavo a com’ era stato apostrofato il professore dal figlio dell’amica della vedova di Vincenzo Leone “è una carogna”.
-Ma non sta’ esaminando anche l’ingegner Uva? –
-Sì, ma lui fa svolgere solo la prova scritta, poi suggerisce un voto che riguarda solamente lo scritto al professore. Se il professore ritiene almeno sufficiente lo scritto gli fa sostenere la prova orale, ed è lui ad esaminarlo. –
Uva aveva finito di esaminare il suo studente, ora era intento a seguire l’interrogazione del professore. Il ragazzo alla lavagna stava annaspando, Lo Vecchio era visibilmente spazientito.
-Senta, vediamo se sa meglio quest’altro argomento. Vede cosa c’è disegnato nella parte sinistra della lavagna? E’ lo schema di un circuito ad anello, bene mi calcoli la perdita di potenziale nel punto indicato con la lettera A. –
Il tempo sembrava non passare mai, il ragazzo cominciava a sudare, cercava di argomentare tesi che però trovavano solo la bocciatura da parte di Lo Vecchio.
-Senta.. –
Il ragazzo accanto a me, mi tirò leggermente il giubbotto per attirare la mia attenzione.
-Il terzo senta è sentenza, guarda. – ridacchiò.
-.. forse è meglio che vada a studiarsela meglio. Va bene? –
Domanda retorica.
-Visto, anche lui bocciato. Oggi non è giornata, pensa che io sono il penultimo ad essere interrogato, speriamo che non sia oggi. –
Il professore si rivolse ad Uva.
-Allora, Paolo come è andato questo ragazzo? Che scritto ha fatto? –
L’ingegnere scosse la testa –Professore, possiamo arrivare a stento a quindici. – sentenziò.
Il professore si rivolse direttamente allo studente. – Se vuole, l’orale lo può sostenere. Ma guardi, visto lo scritto le consiglio di andare a studiare la materia. Allora cosa vuole fare?-
Lo studente disse che voleva sostenere lo stesso l’orale, il professore si irritò. Gli chiese la rete ad anello, al primo errore lo mandò.
Mandato anche questo studente Lo Vecchio si alzò e rivolto alla platea di ragazzi che dovevano essere esaminati disse:
-Bene, ora facciamo una pausa, il tempo di un caffè e riprenderemo con gli esami. Oggi devo terminare l’appello, quindi continueremo di pomeriggio. –
La cosa fece mugugnare i ragazzi. Una studentessa chiese se poteva interrogare il giorno dopo o la settimana successiva. Il professore fu categorico, doveva finire entro quel giorno.
Appena uscii dalla stanza mi avvicinai a Lo Vecchio.
-Professore mi scusi. –
-Cosa vuole? – disse senza rivolgermi uno sguardo.
-Dovrei parlarle. –
-Se si tratta dell’esame, come ho appena detto, non posso spostarlo. –
-No, dovrei parlarle di un’altra questione. –
-Senta, passi alle due al mio studio. -  
Alle due meno dieci ero già davanti la stanza del professore, la porta era aperta. Lo trovai intento a scrivere al computer. Bussai, senza distogliere lo sguardo dal monitor, mi fece segno di entrare. Lo studio era ricco di oggetti, sulla parete dietro la scrivania erano appese diverse foto, che avevano come soggetto principale il professore, spiccava anche una grande riproduzione del celebre quadro di Klimt il bacio. Dopo circa un minuto il professore, si girò verso di me.
-Ah è lei! – esclamò, girandosi nuovamente verso il monitor.
-Professore, scusi se la disturbo.. ecco sono venuto per.. – la voce mi tremava, quell’uomo mi metteva soggezione e poi avevo paura che mi prendesse per pazzo - .. le vorrei fare vedere una foto. –
-Una foto? – finalmente riuscii a catturare completamente la sua attenzione.
-Si segga prego, di che foto parla?-
Non sapevo da dove iniziare, il professore dimostrava dieci anni in meno rispetto a De Felice e Tommasini, aveva un aspetto molto più curato, un fisico asciutto, si vedeva che praticava sport e poi due occhi grigi magnetici che ti catturavano.
-Guardi, sono venuto in possesso casualmente di una foto, dove sono raffigurati quattro giovani, è presente anche una sorta di didascalia nella quale sono indicati i nomi di questi quattro ragazzi. La foto è in bianco e nero, e sarà stata scattata un quarantina di anni fa. Penso che uno di questi uomini presenti nell’immagine sia lei, quanto meno c’è il suo cognome. Ma la cosa curiosa, ed anche macabra, è che.. le altre tre persone sono, e lo dico con certezza, l’ingegnere Leone, il professor De Felice e l’ingegner Tommasini.. che come saprà sono tutti e tre vittime di quei misteriosi omicidi che stanno gettando la città nel panico. –
Il professore rimase impassibile al mio racconto, non mi tolse nemmeno per un secondo lo sguardo.
-Lei ha con sé la foto? Può mostrarmela? –
Gliela porsi, la analizzò con quei suoi occhi che sembravano uno scanner, non disse nulla per qualche minuto, poi la posò sopra la carpetta che aveva sulla scrivania, prese la sua pipa spenta che riposava dentro un portacenere vuoto, la mise in bocca, poi se la allontanò dalle labbra.
-Perché è venuto da me con questa foto? –
-Perché, anche se penso che tutto questo sia solo una coincidenza e che mi sono fatto congetture sbagliate. Qualche dubbio dopo la morte di Tommasini mi è venuto. E mi sentivo in dovere di avvertirla. Sta a lei adesso decidere come comportarsi. –
Lo Vecchio tirò fuori da un cassetto uno stick aperto di caramelle per la tosse. Me ne offrì una –Stia attento che sono forti, non amo le caramelle o i dolci, ma di queste non posso farne a meno. –
Ne presi una, che scartai e misi subito in bocca, sapevano di menta balsamica molto forte, tossii un poco. L’ingegnere sorrise, poi si fece di nuovo serio.
-Si sono io quello in foto, e riconosco anche gli altri. Con Leone sono rimasto
amico praticamente fino alla morte. Gli altri non li ricordo, eravamo giovani, dovrebbe risalire a più di quaranta anni fa. Ci trovavamo al dopo lavoro ferroviario. Iniziai a lavorare alle ferrovie, poi mi dedicai all’insegnamento. No gli altri non mi vengono in mente. In ogni modo penso che sia solo una casualità. –
-Ma non si è chiesto perché l’ingegnere Leone sia morto in quella maniera? Non si è chiesto se gli altri omicidi siano collegati a quello del suo amico? –
-Certo che mi sono posto queste domande. Ma il fatto è che mi sono anche dato una risposta. Una risposta diversa da quelle che ipotizzano i media o i palermitani. Vuole sapere qual è?  Sarà morto perché incappato in qualche situazione poco limpida. E non mi riferisco certo, a sette, riti, ordini oscuri o sciocchezze di questo genere. Ma in cose che accendono meno le fantasie, ben più banali. Come, donne, gioco o debiti. Non penso nemmeno alla criminalità organizzata, Vincenzo non era proprio il tipo. –
-E gli altri omicidi? E la strana coincidenza che tutti e tre i morti siano raffigurati in questa foto? –
-Senta – era un senta tra lo stanco e lo scocciato, quello che generalmente usava prima di mandare un suo studente – mi creda sono tutte stupidaggini, non nego che il dubbio che siano in qualche maniera collegati non mi sia venuto, però il motivo sarà molto banale. La gente però si esalta anche di fronte al male, anzi forse si esalta maggiormente davanti al male che al bene. Li vede? Sono tutti frenetici, si parla solamente di questi delitti e si seguono le piste più disparate. Più oscure sono, più le persone le credono plausibili, il mondo è assetato di irrazionalità. –
Riposò la pipa nel posacenere, guardò l’orologio che aveva al polso, erano già le due e mezza. Si sentivano i ragazzi parlottare nel corridoio in attesa della ripresa degli esami.
-A momenti dovrebbe arrivare l’ingegner Uva. Sente? Ecco chi mi vorrebbe fare fuori.. i miei allievi. – disse ridendo.
-Comunque, la ringrazio del suo scrupolo. In fondo tutto è possibile. È stato cortese, signor? –
-Restivo, Andrea Restivo. – mi alzai, gli strinsi la mano, feci per andare, quando mi fermò .
– Signor Restivo aspetti.. ha dimenticato la sua foto. –
Non riuscivo a capire come quell’uomo potesse rimanere così calmo e indifferente alla morte del suo amico e dei suoi ex colleghi, tanto da avere un totale distacco dai fatti che erano accaduti.
Nel corridoio una ragazza mi fermò e mi chiese di che umore fosse il professore.

 – Ottimo. – risposi.