Translate

martedì 4 febbraio 2014

IL GIOCO DEL RAGNO CAPITOLO 18

                                                        18

  Entrò nel suo studio chiuse la porta a chiave, era stanco, sentiva la testa scoppiargli, non accese la luce, cominciò a camminare avanti e indietro. Sentiva caldo, si slacciò un bottone della camicia, sudava, la fronte era perlata. Pensava e camminava avanti e indietro. “Michè, Michè ma dov’è tuo padre? Michè hai detto che è imbarcato? Michè non ti crediamo!” e giù botte, Michè alzati reagisci difenditi, niente..
Pianto.. “Michè che fai piangi? Ti hanno di nuovo picchiato?” era la sua migliore amica, l’unica amica. “Lasciali perdere, i nostri compagni sono ignoranti come capre. Sai perché ti picchiano?” “No” “Perché sfogano su di te le legnate che ricevono dai loro genitori”.
Sua madre no, però, sua madre non lo aveva mai picchiato, ecco perché non sono cattivo.
“Ma poi basta con questa storia. Tuo padre è partito si trova in India fa il marinaio. Così ti ha detto tua madre e così è. Pensa a me che mio papà è morto ed ho sofferto tanto. Tu il papà ce l’hai.”
Lei era buona, l’unica persona buona che conosceva, quante volte avrebbe voluto rincontrarla. E quella volta che aveva trovato l’indirizzo dove viveva, il tempo era passato, ora era grande, aveva anche dei figli, non trovò il coraggio nemmeno di salutarla e chiederle se di ricordasse di lui, di Michè. Di dirle che quell’uomo che si trovava ora davanti era quel bambino che piangeva sempre, che prendeva tante botte dai compagni, che cercava sempre suo padre e che lei sapeva sempre consolare.
“Michè, perché piangi? Ancora per tuo padre?” “Si mamma” “Senti Michè, quando senti nostalgia di tuo padre, vai al porto, guarda il mare, e pensa che lui è lì lontano lontano” “Ma tornerà?” “Si Michè” “Ora vai a prendere il pane, è già pagato”.
Provava una rabbia soffocante, le gambe gli facevano male, era sempre nella stessa stanza ma aveva percorso chilometri. Si fermò, si buttò a peso morto sulla poltrona. Doveva porre termine a tutto, lui non era il male, lui non era cattivo, la sua amica glielo aveva detto, i bambini diventano cattivi se i genitori li picchiano.. ma sua madre non lo aveva mai picchiato. No lui non poteva essere strumento del male.
L’oscurità dello studio lo avvolgeva totalmente, era diventato un tutt’uno col nulla. Amava quel silenzio che si creava quando tutto diventava buio, poteva sentire dentro la sua testa la musica che amava tanto, la musica classica, quella che suonava Mozart. Ma preferiva immaginarla e crearla nella sua testa, la pensava anzi che sentirla alla radio o in televisione.
Ora si sentiva rilassato, incominciò a ridere. Rise in modo isterico.

Poi si alzò, si riabbottonò la camicia asciugò la fronte con un fazzoletto che teneva sempre in tasca, aprii la porta ed uscì.

Nessun commento:

Posta un commento